• Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti
Email:
info@fondazionesanbenedetto.it
Fondazione San BenedettoFondazione San Benedetto
  • Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti

Fissiamo il Pensiero

  • Home
  • Fissiamo il Pensiero
  • La solitudine del Natale e i 50 anni di Arcipelago Gulag

La solitudine del Natale e i 50 anni di Arcipelago Gulag

  • Data 24 Dicembre 2023

Con la newsletter di questa domenica vogliamo anzitutto augurare buon Natale a tutti coloro che ci seguono. Ogni settimana cerchiamo sempre di offrire una proposta di lettura che possa essere significativa nelle circostanze in cui ci troviamo per aiutarci a vivere più consapevolmente. Oggi vogliamo segnalare anzitutto un breve testo di tema natalizio, pubblicato su Avvenire, di José Tolentino Mendonça, cardinale e poeta, prefetto per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede. Prendendo spunto da una lettera dello scrittore Jack London, l’autore di Zanna Bianca, si sofferma sul significato tutt’altro che accomodante del Natale, che non può essere ridotto a tradizioni che «ci consolano appena per qualche momento». La contemplazione del bambino di Betlemme, scrive Tolentino, «restituisce a noi adulti, induriti, la coscienza di quanto siamo insufficienti, indigenti, lacerati e soli davanti alla consumazione ultima del nostro destino». Una lacerazione dell’umano di cui è testimonianza sconvolgente l’Arcipelago Gulag di Aleksandr Solgenitsin. In questi giorni ricorrono i cinquant’anni dalla pubblicazione della prima edizione francese del libro, un saggio di inchiesta narrativa sul sistema di campi di lavoro forzato nei quali in Unione Sovietica furono recluse per quasi settant’anni centinaia di migliaia di persone. In un articolo uscito su Le Figaro, e ripubblicato dal Foglio, Georges Nivat, uno dei suoi traduttori, sottolinea come, oltre al valore storico, il libro sia «una sorta di lettera immensa indirizzata all’umanità, una lettera il cui destinatario non esce indenne se la apre e la legge. Accanto ad altri grandi libri come quelli di Vasilij Grossman e Primo Levi, potrà per molto tempo aiutare a capire chi è l’uomo e come liberare il genere umano dalla crudeltà, dal massacro, dall’organizzazione della schiavitù. E resistere».
Buon Natale e Buon 2024!

Incontri sull’Unione Europea, ultimi posti per partecipare

Rimangono solo gli ultimi posti per partecipare al ciclo di incontri di formazione sull’Unione Europea promosso dalla Fondazione San Benedetto a partire dal prossimo 19 gennaio che vedrà l’intervento di esperti molto qualificati. La partecipazione è gratuita e aperta a tutti, ma è necessario iscriversi. Cliccando su questo link potete iscrivervi oltre a trovare il programma dei quattro incontri.  Siccome i posti sono limitati chi volesse partecipare si iscriva quindi al più presto.  

La nostra newsletter tornerà domenica 7 gennaio.


Sopraffatti dal Natale

di José Tolentino Mendonça 

da Avvenire – 20 e 22 dicembre 2023

Ho letto in questi giorni una lettera dello scrittore Jack London. La scrisse con le viscere, quando aveva vent’anni, la mattina di Natale del 1898. Il Natale – confessa – lo obbliga a scambiare il vagabondaggio errante della sua natura con i noti protocolli delle celebrazioni domestiche. In mezzo ai rituali familiari egli scopre di essere sempre più un estraneo, e tutto quello che dovrebbe tranquillizzarlo lo fa sentire, invece, sopraffatto. Lui che aveva passato l’adolescenza a saltare da un centro di rieducazione all’altro, e che per sopravvivere aveva fatto lo strillone, il pescatore di frodo, l’agente assicurativo, il pugile e il cercatore d’oro, lui, uomo dal carattere duro, quella mattina si sente vacillare. C’è una domanda che non arriva a verbalizzarsi, che pare anzi fuori contesto rispetto allo scintillio dei messaggi augurali che ci scambiamo, ma che è forse il reale approccio al mistero dell’uomo (e al mistero di Dio). E quella domanda è: “Perché il Natale fa soffrire?”.

Taddeo Gaddi, Nascita di Gesù, Basilica di Santa Croce, Firenze (Images by Sailko)

Sì, perché non ci placano completamente i simboli, con il loro discorso incandescente; perché le tradizioni ci consolano appena per qualche momento; perché fare il presepio ci appesantisce e disarma; perché la contemplazione di quel bambino restituisce, a noi adulti, induriti come Jack London, la coscienza di quanto siamo insufficienti, indigenti, lacerati e soli davanti alla consumazione ultima del nostro destino?

Forse assetati, forse camuffando un imbarazzo che ci strazia, sentendoci incredibilmente soli anche se accompagnati da persone, simboli e cibarie, ci accostiamo alla mangiatoia e ci domandiamo: “Perché siamo qui?”,

“In che modo il mistero che qui si narra intercetta la nostra vita?”, “Che cosa possiamo segretamente sperare da tutto questo?”. L’unica ragione valida per stare qui è forse una ragione che fatichiamo a riconoscere: abbiamo bisogno di un salvatore. Ognuno di noi ha bisogno di essere salvato da una solitudine fondamentale, ontologica, irremovibile. La vita ha bisogno di essere liberata. Altrimenti, il nostro viaggio sarebbe solo incompiutezza, una sorta di ferita sempre aperta, una domanda senza risposta. Sarebbe come restare a insistere davanti a una porta ostinatamente chiusa o in una notte che non arriva a conoscere la metamorfosi aurorale. Anche a chi non crede la mangiatoia ripete il suo annuncio: che Dio ci ha dato un salvatore. E lo dice con un linguaggio che può essere inteso universalmente. Questo salvatore in effetti prende la nostra carne, fa proprie le nostre traiettorie, condivide le nostre speranze e scoramenti, i suoi passi calpestano questo mondo, con esso vibra, ama e soffre e, come qualsiasi essere umano, si ritrova tante volte ferito. E la nostra vita non solo comincia a valere di più: si trasforma anche in un’altra cosa. Acquista un senso, prende una forza, riceve un entusiasmo che solo Dio è capace di accendere.

 


Dopo mezzo secolo il messaggio di Solgenitsin è ancora attuale

Il libro di Aleksandr Solgenitsin usciva per la prima volta in Francia nel dicembre 1973. Uno dei suoi traduttori ricorda il suo ruolo nella caduta del regime comunista in Urss

da Il Foglio – 18 dicembre 2023 

“Non tutti moriremo, ma tutti saremo trasformati”. Così parlava ai Corinzi litigiosi e dissoluti l’apostolo Paolo. Aleksandr Solgenitsin lo cita all’inizio della quarta parte del suo “Arcipelago Gulag”, la cui edizione francese usciva nel dicembre del 1973, esattamente cinquant’anni fa – scrive su Le Figaro uno dei suoi traduttori, Georges Nivat, professore all’Università di Ginevra che una decina d’anni fa ha pubblicato un saggio sullo scrittore russo. Solgenitsin – continua – si rivolge naturalmente a tutti “gli ospiti di questo inferno”, le vittime, i carnefici, i ribelli dei “quaranta giorni di Kengir”, che hanno dimostrato che non tutti si sono arresi. Si rivolge anche a tutti i sopravvissuti, le vittime consumate dal senso di colpa: perché sono sopravvissuto? E si rivolge a tutti noi, lettori passati e futuri, perché “Arcipelago Gulag” è un libro che, dall’inizio alla fine, è una sorta di lettera immensa indirizzata all’umanità, una lettera il cui destinatario non esce indenne – se la apre e la legge. Certo, si rivolge anzitutto a se stesso: perché Aleksandr Isaevic si confessa, si autoaccusa, si rivolge a Ivan Denisovic, il suo personaggio, che gli ha aperto la strada della gloria mondiale, e che lo accompagna come Virgilio accompagna Dante nella sua discesa agli inferi. E poi si rivolge anche a noi. Naturalmente ai negazionisti dei campi, che non sono mancati e non mancano. Agli increduli come Bertrand Russel o Aragon o Sartre, che non volevano far disperare Billancourt (fabbrica e fortezza operaia della Renault, simbolo del ’68, ndr), e tutti gli indifferenti che pensavano: “Sono affari loro!”, o ancora, se erano “di sinistra”: “Ad ogni modo con i russi non poteva che essere un fallimento!”.

Ritratto di Aleksandr Solgenitsin (foto di Thierry Ehrmann)

Le questioni scottanti poste oggi dai massacri di Bucha, dal kibbutz Be’eri e da Gaza in macerie, sono le stesse che ritroviamo al centro di “Arcipelago Gulag”. E Solgenitsin non è affatto un ayatollah che impone sempre la sua risposta. In “Arcipelago Gulag”, ha molte risposte, talvolta in perfetta contraddizione tra loro. Per dirla con un’espressione, la sua risposta essenziale è: “Elevazione e depravazione vanno di pari passo”. Ma come, perché? La quarta parte di “Arcipelago Gulag”, “L’anima e il reticolato”, quella che comincia con San Paolo, prolunga le grandi riflessioni filosofiche e teologiche degli stoici, di Blaise Pascal e di Goethe – su ciò che rende l’uomo un uomo, e su quando smette di esserlo. Sul lato carnefice passivo che c’è in ognuno di noi. Dostoievski, in “Memorie da una casa di morti”, apporta una risposta netta: il lato carnefice nascosto in ogni uomo può sempre risvegliarsi. Solgenitsin ha avuto la stessa difficoltà di Dostoevskij ad aprire gli occhi, lo dice e lo ripete dall’inizio alla fine di “Arcipelago Gulag”. E ciò gli dà il diritto di denunciare carnefici e burocrati, di deridere gli increduli della “grande zona” (fuori dalla piccola; quella dell’immenso arcipelago “zek”), di compiangere le vittime, i torturati, ma anche di ammirare gli eroi e i saggi, e di celebrare i veri santi che ha incontrato nei gulag (…).

E’ “Arcipelago Gulag” che ha distrutto il regime comunista in Urss? Personalmente, è quello che penso e che ho scritto. “Arcipelago Gulag” mi è sembrato il grido che ha scatenato la valanga. Le contraddizioni del regime nei confronti di Solgenitsin erano in ogni caso flagranti e hanno a loro a volta avuto un ruolo. Se l’autore di “Una giornata di Ivan Denisovic” è stato proposto per il premio Lenin, per “Arcipelago Gulag”, che è in un certo senso lo sviluppo poetico, filosofico e satirico del libro precedente, si dovette riunire il Politburo per decidere cosa fare. E si decise, in mancanza di meglio, di non rimandarlo nuovamente nell’arcipelago che conosceva così bene. L’autore fu dunque arrestato una seconda volta, gli venne tolta la nazionalità sovietica, venne proscritto e mandato in aereo in Germania, dove il cancelliere aveva dichiarato pubblicamente che lo avrebbe accolto volentieri. Non c’è dubbio che “Arcipelago Gulag” sia stato più di un libro, e più di un “saggio di investigazione letteraria”, come recitava il suo sottotitolo. Perché ha fatto la storia, e resta un testo magnifico, contagioso, anche dopo la scomparsa di quel contesto immediato (che, tuttavia, è riapparso sotto altre forme).

E’ per questo che “Arcipelago Gulag”, accanto ad altri grandi libri come quelli di Vasilij Grossman e Primo Levi, potrà per molto tempo aiutare a capire chi è l’uomo e come liberare il genere umano dalla crudeltà, dal massacro, dall’organizzazione della schiavitù. E resistere. 

Tag:Arcipelago Gulag, Natale, Solzenicyn, Tolentino Mendonca

  • Condividi
piergiorgio

Articolo precedente

L'Europa dei cercatori
24 Dicembre 2023

Prossimo articolo

Riascoltando Gaber
7 Gennaio 2024

Ti potrebbe interessare anche

È la letteratura la vera educazione affettiva
15 Novembre, 2025

In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
8 Novembre, 2025

Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

Il Cristo di Manoppello e Sgarbi trafitto dalla bellezza
1 Novembre, 2025

«Nei mesi attuali di oscurantismo, immersi nell’orrore di Gaza, nella guerra in Ucraina, nell’oppressione della cronaca, anche personale, mi convinco che vi sia molto più Illuminismo cioè quella tendenza a invadere il reale di razionale – nel pellegrinaggio al Cristo di Manoppello che non nella realtà di oggi, che sembra imporci comportamenti irrazionali». Lo scrive Vittorio Sgarbi in un articolo sul settimanale «Io Donna» a proposito del Volto Santo di Manoppello, il velo che porta impressa l’immagine del volto di Gesù, custodito nella chiesa di un piccolo paese in provincia di Pescara. Una reliquia di origine misteriosa di fronte alla quale passa in secondo piano se sia l’impronta di un volto o un’immagine dipinta. Per Sgarbi «quel volto è il volto di Cristo anche se non è l’impronta del suo volto, perché è ciò che la nostra mente sente essere vero, non la verità oggettiva di quella cosa». Si dice trafitto dalla «sua bellezza, che splende più della sua verità, cioè della sua vera o presunta corrispondenza al volto del vero Gesù, “veramente” risorto». Ecco oggi l’esperienza di cui più la nostra vita ha bisogno è proprio questo essere feriti dal desiderio della bellezza. Solo questa esperienza può mobilitare ragione, intelligenza e volontà a prendere sul serio la nostra sete di infinito, spingendo a non accontentarsi di false risposte tanto comode quanto illusorie. E si può solo essere grati che a ricordarcelo sia un inquieto e un irregolare come Sgarbi.

Cerca

Categorie

  • Fissiamo il Pensiero
  • I nostri incontri
    • I nostri incontri – 2015
    • I nostri incontri – 2016
    • I nostri incontri – 2017
    • I nostri incontri – 2018
    • I nostri incontri – 2019
    • I nostri incontri – 2021
    • I nostri incontri – 2022
    • I nostri incontri – 2023
    • I nostri incontri – 2024
    • I nostri incontri – 2025
  • Mese Letterario
    • 2010 – I Edizione
    • 2011 – II Edizione
    • 2012 – III Edizione
    • 2013 – IV Edizione
    • 2014 – V Edizione
    • 2015 – VI Edizione
    • 2016 – VII Edizione
    • 2017 – VIII Edizione
    • 2018 – IX Edizione
    • 2019 – X Edizione
    • 2021 – XI Edizione
    • 2023 – XIII Edizione
    • 2024 – XIV Edizione
    • 2025 – XV Edizione
  • Scuola San Benedetto – edizioni passate
  • Tutti gli articoli

Education WordPress Theme by ThimPress. Powered by WordPress.

VUOI SOSTENERCI?

Siamo una fondazione che ha scelto di finanziarsi con il libero contributo di chi ne apprezza l’attività

Voglio fare una donazione
Borgo Wührer, 119 - 25123 Brescia
info@fondazionesanbenedetto.it

Resta sempre aggiornato

Iscriviti subito alla nostra newsletter per non perderti le attività e gli eventi organizzati dalla Fondazione San Benedetto.

Iscriviti

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Copyright © Fondazione San Benedetto Educazione e Sviluppo

Mappa del sito | Privacy Policy | Cookie Policy

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy