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  • Il diritto all’aborto e l’infinita gratitudine di Giovanni Allevi

Il diritto all’aborto e l’infinita gratitudine di Giovanni Allevi

  • Data 10 Febbraio 2024
Questa settimana vogliamo proporvi la lettura di due articoli su fatti che apparentemente sembrano non avere alcun collegamento fra loro, ma che in realtà hanno la stessa radice. Il problema non è infatti essere credenti o non credenti, ma rispondere alla domanda se l’uomo sia un mistero o non lo sia. E se si pensa che non lo sia, qualunque cosa diventa possibile a un uomo che si illude di essere padrone di sé stesso. Il primo articolo è un editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio nel quale si commenta il recente voto dell’Assemblea nazionale francese che con una maggioranza schiacciante ha approvato la proposta del presidente Emmanuel Macron di inserire nella Costituzione il diritto all’aborto. Adesso toccherà al Senato francese esprimersi e se dovesse confermare il voto favorevole, la Francia sarebbe il primo paese al mondo a garantire l’interruzione volontaria di gravidanza come diritto costituzionale. Il secondo articolo di Maurizio Vitali, tratto dal quotidiano online ilsussidiario.net, è dedicato alla partecipazione del pianista e compositore Giovanni Allevi alla seconda serata del Festival di Sanremo. Reduce da una lunga malattia, in modo umile e vero ha raccontato sul palco dell’Ariston la sua esperienza della sofferenza che l’ha portato come un dono inaspettato a scoprire l’infinito che c’è in ogni persona. Dentro queste due vicende ci sono due modi opposti di guardare la realtà. Nel primo caso, in nome della filosofia dei diritti, abbiamo un uomo «idolatra di sé stesso». Scrive Ferrara: «Che infinita vergogna, che schifo, che condanna a morte di un’intera sensibilità e cultura, che campione perverso dell’ideale di laicità, che delirio irreligioso. E non ci saranno vescovi e parroci e beghine sante e intellettuali a fare le barricate, né popolo né i suoi eletti né partiti insorgeranno in nome dell’ovvio scientifico, della fotografia banale di un bambino cromosomicamente puro e unico destinato al macello. La rivoluzione dei diritti omicidi ha trionfato». Nel secondo caso c’è un grande musicista di successo come Allevi che racconta la prova vissuta nella malattia: «All’improvviso mi è crollato tutto. Ho perso molto: il mio lavoro, i capelli e le mie certezze ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse degli inaspettati doni». Il primo dono è stata la scoperta che non il successo o il risultato stabilisce il valore della persona. Capitò ad Allevi di notare con un certo disappunto una poltrona vuota, «oggi dopo la malattia non so che farei per suonare davanti a quindici persone. I numeri non contano, sembra paradossale detto da Sanremo, perché ogni individuo è unico, irripetibile e a suo modo infinito». E dentro questa esperienza si apre lo spazio di un’infinita gratitudine. Ecco due modi opposti di guardare la realtà che riguardano da vicino la vita di ciascuno di noi.

Trionfa in Francia la rivoluzione dei diritti omicidi

L’Assemblea nazionale mette in Costituzione l’aborto: un omaggio blasfemo all’amor proprio, nella sua versione seriale, massificata. Che infinita vergogna, che campione perverso dell’ideale di laicità, che delirio irreligioso 
di Giuliano Ferrara – da Il Foglio 4 febbraio 2024
Maggioranza schiacciante, appena due dozzine di no, l’Assemblea nazionale francese mette in Costituzione la ghigliottina per i bambini concepiti ma non ancora nati, l’aborto o interruzione volontaria di gravidanza. Questo sarebbe il compimento della patria rivoluzionaria dei diritti, sotto l’egida (e mi dispiace ma era prevedibile) di un presidente che non osa dirsi liberale ma in economia e società lo sarebbe pure, salvo allearsi con la più massiccia, travolgente ondata di conformismo lugubre e trasversale, niente più distinzioni politiche o ideologiche o culturali, niente discussione, si fa perché si può, si deve perché il corpo è mio, anche quello di un altro che ho concepito io con l’aiuto determinante e condiviso, come si dice ora, di un maschio, sotto lo schermo ormai evanescente del piacere e dell’amore. Se in Francia fosse sopravvissuto, oltre il velo della chiacchiera intelligente, un poco del potente e amaro moralismo del Grand Siècle, del Seicento, i deputati di Palais Bourbon avrebbero saputo che questo premio alla filosofia dei diritti cosiddetti è solo un omaggio blasfemo all’amor proprio, nella sua versione seriale, massificata, obbligata.

Manifestazione a favore del diritto di aborto (foto H. Soete)
La Rochefoucauld: “L’amor proprio è amore di sé e di ogni cosa per sé; rende gli uomini idolatri di sé stessi, e li renderebbe tiranni degli altri se la fortuna ne desse loro i mezzi; non indugia mai fuori di sé, e si sofferma su argomenti estranei come le api sui fiori, per trarne ciò che gli è necessario. Nulla è più impetuoso dei suoi desideri, nulla è più segreto dei suoi progetti, nulla più astuto della sua condotta; le sue sottigliezze non si possono descrivere, le sue trasformazioni superano quelle delle metamorfosi, le sue finezze quelle della chimica. Non si possono sondare le profondità né penetrare le tenebre dei suoi abissi. Là è al riparo dagli occhi più perspicaci; egli vi compie mille giri viziosi. Spesso è invisibile anche a sé stesso, vi concepisce, vi nutre, vi alleva, senza saperlo, un gran numero di affetti e di odi; ne forgia di così mostruosi che, quando vengono alla luce, li rinnega o non può risolversi ad ammetterli”.
L’idolatria di sé stessi, il maschio irresponsabile e complice e la femmina che si fa vittima e carnefice della sua libertà, la Costituzione che taglia ogni obiezione di coscienza possibile, stabilisce anzi l’obbligo di coscienza a uccidere futuro e sopravvivenza, una metamorfosi dell’orrore, un cinismo e un desiderio spietati di appagamento a spese della vita, impetuoso, segreto, astuto, sottile, chimico, carico d’odio, vizioso, invisibile anche a sé stesso: tutto è già stato scritto, mancava solo la sanzione costituzionale in nome della fraternità, dell’eguaglianza e naturalmente della libertà. Che infinita vergogna, che schifo, che condanna a morte di un’intera sensibilità e cultura, che campione perverso dell’ideale di laicità, che delirio irreligioso. E non ci saranno vescovi e parroci e beghine sante e intellettuali a fare le barricate, né popolo né i suoi eletti né partiti insorgeranno in nome dell’ovvio scientifico, della fotografia banale di un bambino cromosomicamente puro e unico destinato al macello. La rivoluzione dei diritti omicidi ha trionfato, l’intendance suivra.

Il senso religioso sul palco dell’Ariston

A Sanremo 2024 Giovanni Allevi, reduce da una lunga malattia, ha paragonato il dolore a un dono che permette di scoprire l’infinito che siamo

di Maurizio Vitali

da ilsussidiario.net – 8 febbraio 2024

Il senso religioso sul palco dell’Ariston e Sanremo 2024 ha fatto il botto. Dico di Giovanni Allevi e della sua strepitosa, umile e vera testimonianza: due anni di grave malattia e la sorpresa di avere ricevuto, dall’esperienza della sofferenza, doni inaspettati e preziosissimi. All’artista era stato diagnosticato, nel 2022, un mieloma multiplo, tumore al midollo osseo.

“All’improvviso mi è crollato tutto – ha confidato Allevi –. Ho perso molto: il mio lavoro, i capelli e le mie certezze ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse degli inaspettati doni”.

Il pianista e compositore Giovanni Allevi

Il primo dono è stata la scoperta che non il successo o il risultato stabilisce il valore della persona. Capitò ad Allevi di notare con un certo disappunto una poltrona vuota, “oggi dopo la malattia non so che farei per suonare davanti a quindici persone. I numeri non contano, sembra paradossale detto da qui, perché ogni individuo è unico, irripetibile e a suo modo infinito”.

Unico, irripetibile e a suo modo infinito! Grandioso. Le altezze a cui può arrivare un uomo sono forse quelle che raggiunge la musica. Non credo sia un caso che l’eccezionale sentire musicale sia compenetrato con il modo di sentire se stesso, come uno che ha perso tutto ma a cui il profondo del cuore riaccende la speranza.

Mi ero rassegnato a girare sul primo canale Rai e sbirciare il Festival, un po’ di malavoglia, onestamente, aspettandomi prima o poi la solita (fintissima e scontatissima) trasgressione, vi ricordate i calci al vaso di fiori, il bacio omo tra Fedez e quell’altro, l’auto-battesimo, il finto disoccupato “salvato” da Baudo; insomma esibizioni in cui il massimo del comodo adeguamento al mainstream a beneficio di audience, social e “approfondimenti” cerca di farsi passare per rivoluzione progressista. Rivoluzione con la benedizione del parroco e la scorta dei carabinieri, naturalmente. Che se poi qualche tradizionalista ci casca ed esplode in critiche morali, il gioco riesce meglio. Il progressista ha estremo bisogno di un qualche reazionario, se no che progressista è? Scusate la digressione, ma mi stava proprio qui.

Giovanni Allevi in pochi minuti di parole e poi di musica – il suo Tomorrow – ci ha portati di colpo in alto. “In più spirabil aere”. E ci ha raccontato degli altri doni, all’insegna tutti di una grande parola: gratitudine.

La “gratitudine per la bellezza del creato”, per il rosso dell’alba che è diverso dal rosso del tramonto. La gratitudine, poi, verso altre persone che ci sono compagnia essenziale, e che si svolge come “riconoscenza”: a medici e infermieri (quante volte invece ci accade di essere solo pretenziosi), ai ricercatori scientifici; gratitudine verso gli altri pazienti per la forza, l’affetto e l’esempio che riceve, e per la propria famiglia per il sostegno che non gli fa mancare.

Citando  Kant, Allevi ha detto: “Il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, immerso in una condizione di mutamento continuo ma in me qualcosa permane. Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno”.

Ho sempre pudore a citare don Giussani, ma non ho potuto fare a meno di vedere documentati nelle parole di Allevi gli argomenti sviluppati nel capitolo quarto de Il senso religioso. In estrema sintesi: si rintraccia il senso religioso partendo da sé stessi impegnati con la vita, e scoprendo in noi l’esistenza di una realtà irriducibile alla materia, non destinata alla corruzione, cioè alla morte.

Ovvero, Allevi: “È  ragionevole pensare che permarrà in eterno”. E “non potendo più contare sul mio corpo suonerò con tutta l’anima”. Con l’anima ha suonato per la prima volta davanti al pubblico dopo due anni. Ha suonato come danzando con l’anima sulla tastiera e sulle armonie. Ha suonato il suo Tomorrow, perché “domani ci sia sempre ad attenderci un giorno in più”.

Grazie, Giovanni.

Tag:aborto, diritti, Giuliano Ferrara

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piergiorgio

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In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
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