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  • Tra Mese Letterario e Premio Strega, cercando la letteratura 

Tra Mese Letterario e Premio Strega, cercando la letteratura 

  • Data 13 Aprile 2024
Continua con grande successo di pubblico la 14esima edizione del Mese Letterario. Giovedì si è tenuto il secondo appuntamento dedicato a James Joyce con l’intervento molto apprezzato di Enrico Terrinoni fra i maggiori conoscitori dello scrittore irlandese, oltre che suo traduttore.

La sala gremita per l’incontro su James Joyce

L’ultima serata sarà giovedì 18 aprile su T.S.Eliot con Edoardo Rialti. In questa newsletter vogliamo tornare sul tema della letteratura con un articolo, tratto dal quotidiano online ilsussidiario.net, del poeta e traduttore Gianfranco Lauretano, che prende spunto dalla recente pubblicazione dei finalisti del Premio Strega. Una «magnifica grancassa pubblicitaria» che sembra ormai rispondere quasi esclusivamente alle mode e alle logiche del marketing editoriale. «Il tutto – scrive Lauretano – serve all’unico vero scopo: far vendere copie ad un genere artistico, la letteratura, sempre più agonizzante, periferico rispetto al dibattito culturale della società e preda di giochetti editoriali e concorsi che non servono ad altro». Un articolo provocatorio per andare alla ricerca di cosa sia davvero la letteratura come gli incontri del Mese Letterario ogni volta aiutano a scoprire in modo sorprendente.

 Il 5 per mille? Quest’anno diamolo alla Poliambulanza 

È una proposta che facciamo a chi segue le nostre iniziative: devolvere il 5 per mille, in occasione della prossima dichiarazione dei redditi, alla Fondazione Poliambulanza di Brescia. È possibile farlo indicando a scelta uno dei due codici fiscali che trovate sotto destinati rispettivamente al finanziamento della ricerca scientifica oppure al sostegno del volontariato e delle onlus. Come Fondazione San Benedetto abbiamo sempre avuto grande stima per l’operosità intelligente, creativa e attenta all’uomo concreto, in questo caso mossa da una fede sincera, che ha contraddistinto madre Eugenia Mennie tutti coloro che fino ad oggi hanno portato avanti l’esperienza della Poliambulanza. Mentre si discute molto sul futuro della sanità, il semplice gesto di devolvere il 5 per mille a una realtà come questa è un modo fattivo per sostenere un sistema di cura vicino alle persone nel nostro territorio.


La letteratura non passa dal Premio Strega

di Gianfranco Lauretano – da ilsussidiario.net – 11 aprile 2024
Puntuali come le allergie di primavera, sono arrivati i finalisti del Premio Strega, sia quelli di narrativa, di poesia, sia dei giovani o della sezione internazionale. E puntuali arrivano le polemiche. Per il premio maggiore, quello di narrativa, quest’anno c’è chi si è preso la briga di contare quante pagine ogni giurato dovrebbe leggere quotidianamente perché le cose siano fatte in maniera corretta e secondo statuto. La risposta è nell’ordine delle migliaia, cioè un’impresa impossibile.
Degli oltre 80 romanzi proposti in prima battuta, è più che probabile che i primi 12 siano stati scelti individualmente dai giurati, tant’è che nella motivazione viene indicato il nome del proponente. Ci sarebbe da pensare che ora tutti leggano tutti i romanzi, per giungere alla cinquina, ma difficile metterci la mano sul fuoco. La passata edizione registrò anche una dichiarazione in diretta di un giurato della fase finale, politicamente altolocato, che ammise di non aver letto il libro per cui aveva votato.

Per la sezione Poesia il meccanismo è ancora più misterioso. Tra le 12 raccolte poetiche superstiti delle 14p4 iniziali si notano strane coincidenze. Alcuni giurati, infatti, sono consulenti editoriali, direttori di collane di poesia o addirittura editori e, guarda caso, gli stessi libri da loro consigliati o editati risultano tra i dodici big. Si potrebbe parlare di conflitto di interesse? Chissà…

Il criterio delle vendite, che interessa poco la poesia e molto la narrativa, non sembra essere importante nella compilazione delle rose dei finalisti. Tra i romanzi prescelti, alcuni vendono qualche migliaio di copie, altre non vanno oltre qualche centinaio. La direzione del Premio si è affrettata a ricordare che la nomina di un romanzo tra i finalisti, tantopiù nella cinquina finale, moltiplica le vendite a dismisura, fino anche al 500 per cento. E qui sta il vero motivo della corsa alla selezione e all’inclusione di autori ed editori, e di chissà quali manovre sotterranee, che ci limitiamo a congetturare, per accaparrarsi un posto al sole dello Strega.

Si tratta in realtà di qualcosa di misterioso. Perché all’evocare il Premio Strega in migliaia corrono in libreria, soprattutto se la dicitura compare sulla fascetta dei libri? Da dove viene questa grande potenza mediatica, questa autorevolezza indiscussa, se poi i meccanismi di selezione sono quelli che sono? C’è stata indubbiamente un’epoca in cui lo Strega era tutt’altro, ma si parla degli anni Quaranta e Cinquanta, quando a vincerlo c’era gente come Cesare Pavese. Già pochi anni dopo Pier Paolo Pasolini tuonava sui giornali contro il Premio, appannaggio a suo dire di una consorteria borghese per cui non valeva la pena sprecarci i libri. Ma Pasolini è passato e il Premio è ancora lì, magnifica grancassa pubblicitaria. Anche se chi ci casca non saprebbe dire neppure perché.

Si dovrebbe parlare di letteratura. L’anno scorso è stato pubblicato un libro di Gianluigi Simonetti, professore di letteratura italiana all’Università Svizzera di Losanna, dal titolo provocatorio: Caccia allo Strega, anatomia di un premio letterario (edizioni Nottetempo). L’autore si è preso la briga di leggere tutti i romanzi delle cinquine finaliste degli ultimi anni, di commentarli uno ad uno, chiedendosi quanti sono durati oltre il tempo effimero della competizione letteraria. Risultato: zero.

Quindi la letteratura non passa di qui. Dal Premio Strega passano libri che inseguono qualche tema di moda, tant’è vero che lo stesso Simonetti dimostra come i romanzi parlino sempre più di relazioni in crisi, famiglie sfasciate, identità di genere. Talvolta una spruzzatina di storia: quest’anno della dozzina fa già polemica un romanzo revisionista con una storia legata all’attentato comunista di Acca Larentia del 1978 contro alcuni militanti dell’MSI. È chiaro: bisognava che qualcuno desse una botticina al governo di destra. Il tutto serve all’unico vero scopo: far vendere copie ad un genere artistico, la letteratura, sempre più agonizzante, periferico rispetto al dibattito culturale della società e preda di giochetti editoriali e concorsi che non servono ad altro.

Tag:Letteratura, Mese letterario

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piergiorgio

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È la letteratura la vera educazione affettiva
15 Novembre, 2025

In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
8 Novembre, 2025

Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

Il Cristo di Manoppello e Sgarbi trafitto dalla bellezza
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«Nei mesi attuali di oscurantismo, immersi nell’orrore di Gaza, nella guerra in Ucraina, nell’oppressione della cronaca, anche personale, mi convinco che vi sia molto più Illuminismo cioè quella tendenza a invadere il reale di razionale – nel pellegrinaggio al Cristo di Manoppello che non nella realtà di oggi, che sembra imporci comportamenti irrazionali». Lo scrive Vittorio Sgarbi in un articolo sul settimanale «Io Donna» a proposito del Volto Santo di Manoppello, il velo che porta impressa l’immagine del volto di Gesù, custodito nella chiesa di un piccolo paese in provincia di Pescara. Una reliquia di origine misteriosa di fronte alla quale passa in secondo piano se sia l’impronta di un volto o un’immagine dipinta. Per Sgarbi «quel volto è il volto di Cristo anche se non è l’impronta del suo volto, perché è ciò che la nostra mente sente essere vero, non la verità oggettiva di quella cosa». Si dice trafitto dalla «sua bellezza, che splende più della sua verità, cioè della sua vera o presunta corrispondenza al volto del vero Gesù, “veramente” risorto». Ecco oggi l’esperienza di cui più la nostra vita ha bisogno è proprio questo essere feriti dal desiderio della bellezza. Solo questa esperienza può mobilitare ragione, intelligenza e volontà a prendere sul serio la nostra sete di infinito, spingendo a non accontentarsi di false risposte tanto comode quanto illusorie. E si può solo essere grati che a ricordarcelo sia un inquieto e un irregolare come Sgarbi.

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