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L’attentato a Trump e il nuovo ordine mondiale

  • Data 20 Luglio 2024

L’attentato a Trump è solo l’ultimo colpo di scena della campagna per le presidenziali Usa. Fino al voto di novembre c’è da prevedere uno scenario carico di sorprese. Per questo la Fondazione San Benedetto ha voluto proporre, dopo quello organizzato nello scorso maggio, un nuovo incontro sulle elezioni americane che, ve lo anticipiamo perché possiate già fissarlo in agenda, si svolgerà venerdì 27 settembre alle 18 a Brescia al Centro Paolo VI. Ritorneranno a darci un quadro aggiornato sulla corsa alla Casa Bianca due relatori estremamente qualificati come Marco Bardazzi, giornalista che sta seguendo le elezioni Usa per il Foglio, e Lorenzo Pregliasco, analista politico e fondatore di YouTrend. Il risultato delle presidenziali americane avrà conseguenze che andranno ben oltre i confini degli Stati Uniti e che incideranno sugli assetti del mondo occidentale e sugli equilibri globali. Tutto questo in un momento in cui «la democrazia non gode di buona salute» (come hanno detto in questi giorni il Papa e il presidente Mattarella), le controversie internazionali crescono, la diplomazia viene emarginata e si spalancano le porte alla guerra. Se si guarda cosa sta succedendo c’è da chiedersi se non si stia costituendo un nuovo ordine mondiale in chiave antioccidentale. In tale situazione continuare a ragionare con i vecchi modelli significa scomparire. Serve un nuovo pensiero che sappia guardare lontano. Lo sottolinea Luciano Violante in un articolo pubblicato pochi giorni fa sul Corriere della Sera di cui vi proponiamo la lettura. «Senza un pensiero superiore che si alzi dalle contingenze e proponga un nuovo futuro – scrive -, l’Occidente rischia di finire nelle grandi mostre di antiquariato, alle cui inaugurazioni saranno certamente presenti Putin, Xi, Modi e Kim Jong-un».


L’Occidente deve pensare in modo nuovo

Non può essere solo la guerra a risolvere le controversie internazionali. La politica occidentale si suiciderebbe se continuasse a pensare, per forza di inerzia, con i vecchi modelli del razionalismo illuministico

di Luciano Violante

dal Corriere della Sera – 17 luglio 2024

L’occupazione militare da parte di uno Stato di territori appartenenti ad altre popolazioni costituisce oggi il carattere dominante della geopolitica. il diritto è uscito di scena e la forza ha preso il sopravvento. Carl Schmitt ci ha spiegato che l’occupazione della terra produce fatti politici perché le forme del dominio diventano pubblicamente visibili. È quello che sta accadendo in Ucraina, a Gaza, nella Transnistria e nelle relazioni sempre più difficili tra Cina a Taiwan. Ed è quello che potrebbe avvenire tra Ungheria e Ucraina perché nei giorni scorsi Viktor Orbán ha rivendicato l’annessione all’Ungheria della Transcarpazia, una regione dell’Ucraina dove vivono un milione e duecentomila persone, 157 mila di origini ungheresi. È una rivendicazione che potrebbe cementare il comune interesse di Putin ed Orbán alla revisione dei confini dell’Europa centro-orientale.

D’altra parte la Nato e l’Ue, che si sono sentite minacciate dall’intervento di Putin, non hanno proposto una nuova dottrina delle relazioni internazionali; hanno risposto con una moneta analoga, allargando o promettendo di allargare i propri confini. Emarginata la diplomazia, irrise le regole del diritto, è rimasta la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Le controversie potrebbero moltiplicarsi, seppure per altre ragioni.

Nel 2050, ad esempio la popolazione del mondo sorpasserà i 9 miliardi di abitanti che avranno bisogno di acqua e di cibo; ci sono, dati Fao, circa 2.600 milioni di ettari utilizzabili per l’agricoltura, non ancora utilizzati. Una qualche potenza in grado di farlo, prima o dopo cercherà di occuparli, rivendicandone il possesso, se necessario, anche per via militare.  Problemi analoghi si potranno porre per lo spazio. Da oggi sino al 2032 partiranno 13 missioni, per la utilizzazione di risorse spaziali. Secondo un rapporto firmato quest’anno dal World Economic Forum e da McKinsey, l’economia spaziale, che oggi si assesta intorno ai 630 miliardi di dollari, dovrebbe raggiungere 1,8 trilioni di dollari entro i prossimi dodici anni. Nel passato si riteneva che lo spazio fosse un bene comune dell’umanità; ma oggi le tensioni politiche, economiche e militari che si sviluppano sulla Terra e l’entità delle ricchezze acquisibili hanno aperto la strada a un libero diritto di appropriazione.

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Tag:democrazia, elezioni americane, Luciano Violante, Occidente

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piergiorgio

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È la letteratura la vera educazione affettiva
15 Novembre, 2025

In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
8 Novembre, 2025

Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

Il Cristo di Manoppello e Sgarbi trafitto dalla bellezza
1 Novembre, 2025

«Nei mesi attuali di oscurantismo, immersi nell’orrore di Gaza, nella guerra in Ucraina, nell’oppressione della cronaca, anche personale, mi convinco che vi sia molto più Illuminismo cioè quella tendenza a invadere il reale di razionale – nel pellegrinaggio al Cristo di Manoppello che non nella realtà di oggi, che sembra imporci comportamenti irrazionali». Lo scrive Vittorio Sgarbi in un articolo sul settimanale «Io Donna» a proposito del Volto Santo di Manoppello, il velo che porta impressa l’immagine del volto di Gesù, custodito nella chiesa di un piccolo paese in provincia di Pescara. Una reliquia di origine misteriosa di fronte alla quale passa in secondo piano se sia l’impronta di un volto o un’immagine dipinta. Per Sgarbi «quel volto è il volto di Cristo anche se non è l’impronta del suo volto, perché è ciò che la nostra mente sente essere vero, non la verità oggettiva di quella cosa». Si dice trafitto dalla «sua bellezza, che splende più della sua verità, cioè della sua vera o presunta corrispondenza al volto del vero Gesù, “veramente” risorto». Ecco oggi l’esperienza di cui più la nostra vita ha bisogno è proprio questo essere feriti dal desiderio della bellezza. Solo questa esperienza può mobilitare ragione, intelligenza e volontà a prendere sul serio la nostra sete di infinito, spingendo a non accontentarsi di false risposte tanto comode quanto illusorie. E si può solo essere grati che a ricordarcelo sia un inquieto e un irregolare come Sgarbi.

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