Dalla Madonna di Benigni a Taylor Swift che bellezza cerchiamo?
Dalla Madonna di Benigni a Taylor Swift che bellezza cerchiamo?
Data 27 Luglio 2024
Quella di oggi è l’ultima newsletter domenicale prima della pausa estiva, il nostro appuntamento settimanale riprenderà regolarmente a inizio settembre. Nell’augurarvi buone vacanze vi segnaliamo due testi ripresi dalla stampa di questi giorni su temi apparentemente molto diversi, ma in realtà molto collegati. Il primo è l’intervento a braccio fatto da Roberto Benigni in occasione del conferimento della laurea honoris causa da parte dell’University of Notre Dame, pubblicato sull’ultimo numero della rivista Vita e Pensiero.
Roberto Benigni (courtesy of creative commons)
Un discorso appassionato dedicato alla figura della Madonna nell’arte attraverso l’incontro con tre capolavori (la Madonna del parto di Piero della Francesca a Monterchi, la Madonna dell’Annunciazione di Recanati di Lorenzo Lotto e la Madonna Sistina di Raffaello) per arrivare poi ai versi di Dante sulla Vergine Madre. È una testimonianza di come la nostra vita si nutra di bellezza e di come l’esperienza di questa ci consenta, più di mille discorsi, di cogliere la verità della nostra umanità che non può mai essere appagata da nulla che abbia la misura corta dei nostri calcoli, dei nostri progetti o delle nostre effimere soddisfazioni.
La seconda segnalazione è un articolo di Antonio Socci pubblicato da Libero sul fenomeno Taylor Swift.
La cantante americana Taylor Swift
Il caso della cantante americana – scrive – «è esemplare e fa capire bene come funziona la macchina del desiderio mimetico, ovvero come si creano i miti (dello spettacolo e non solo) e come si affermano le mode (anche ideologiche). È una questione che non ha a che fare solo con il costume, con le canzoni o con la politica. Ma con la confezione sociale del prodotto, perché quella attrae la natura stessa dell’uomo. I nostri miti (ideologici, idolatrici) nascono dal contagio mimetico ma sempre deludono il nostro desiderio di felicità che è infinito».
Infine alcuni suggerimenti di lettura per l’estate, proposte di approfondimento per affrontare con maggiore consapevolezza la nostra storia e il momento che stiamo attraversando. Il primo è il libro di Antonio Polito «Il costruttore» (Mondadori) nel quale ripercorre l’itinerario umano e politico di Alcide De Gasperi a settant’anni anni dalla sua morte.
Oggi è una figura dimenticata, ma alla quale l’Italia deve la sua rinascita molto più che a chiunque altro. È stato l’unico vero statista italiano, ne abbiamo già scritto in una nostra precedente newsletter poche settimane fa.
Il secondo libro è «Una rivoluzione di sé» (Rizzoli) di Luigi Giussani.
Negli anni incandescenti del Sessantotto, gli impetuosi venti di cambiamento che agitano la società si insinuano anche tra le fila del «movimento» di Gioventù Studentesca, sorto più di dieci anni prima al Liceo Berchet di Milano: un migliaio di liceali e alcune centinaia di universitari se ne allontanano per aderire al Movimento studentesco. È lo «scossone più grosso» mai subìto dall’esperienza di Gioventù Studentesca, come dirà in seguito il suo fondatore, don Luigi Giussani. Dopo aver lasciato la guida di GS, in quegli stessi anni Giussani frequenta con assiduità il Centro Culturale Charles Péguy. Fondato nel 1964 a Milano da un gruppo di laureandi, laureati e assistenti universitari, di fatto rappresenterà la prosecuzione dell’esperienza iniziata nelle aule del Berchet e, al contempo, l’inizio di quella realtà che di lì a poco assumerà il nome di «Comunione e Liberazione». Questo volume raccoglie per la prima volta le trascrizioni delle lezioni tenute da Giussani al Centro Péguy dal 1968 al 1970, incontri e riflessioni intorno a un’intuizione che sarà gravida di conseguenze: solo nella comunione cristiana possiamo sperimentare la liberazione, cioè l’avvento di un mondo più umano.
L’ultimo libro è «Amar» (ed. Marsilio) di Rossana Rossanda, storica fondatrice del Manifesto e protagonista della stagione del ‘68. È uno dei suoi ultimi scritti, una favola «immaginifica e politica» sulla vita e sulla morte. Nell’introduzione definisce questo libro «un frutto del disagio», del confronto continuo e drammatico che Rossanda ha ingaggiato col mistero della morte nel corso delle diverse fasi della sua vita, sfidando il senso comune secondo il quale «pare che per vivere bisogni dimenticare di morire». Un confronto che ha portato lei, non credente, a interrogare su questo tema i monaci camaldolesi del monastero benedettino di Monte Giove vicino a Fano in provincia di Pesaro, proprio mentre si era trovata a vivere due esperienze private molto dolorose.
La Madonna nell’arte, una vera rivoluzione
di Roberto Benigni
discorso per il conferimento della laurea honoris causa – University of Notre Dame – Roma, 29 gennaio 2024
Non ci posso credere, sono laureato in Belle arti! Ho detto, ma che posso dire all’Università di Notre Dame, per cui veramente ho un’ammirazione, per questa università immensa, e vorrei venire a trovarvi nell’Indiana una volta. Veramente, mi piacerebbe tanto, mi piacerebbe tanto. So che è bellissima. E ho detto: che posso dire ora, sono laureato in Belle arti e all’Università di Notre Dame, Nostra Signora, non ci rimane che parlare della Nostra Signora nelle belle arti, della Madonna. E io vorrei parlarvi veramente della Madonna in tre momenti, perché la Madonna, Notre Dame, è vita, dulcedo et spes nostra.
Ed è una cosa bellissima essere qui, a parlare della Madonna, ma chi se lo sarebbe mai aspettato! È una cosa bellissima! Vi racconto tre cose della Madonna, veramente brevi brevi. Io sono nato in provincia di Arezzo, in Toscana, vicino a Monterchi, ma la mia famiglia veniva da Sansepolcro, il luogo di Piero della Francesca. E allora c’era a Monterchi una sua opera.
La Madonna del parto di Piero della Francesca
Quando mia mamma era incinta, che mi stava aspettando, aveva paura, non aveva da mangiare. Non poteva mangiare niente, era poverissima, ma una povertà, veramente una povertà aristocratica. Non ho mai visto io una principessa come la mia mamma. Così tutta la mia vita nella povertà. Mangiava solamente cocomero, anguria, non aveva nient’altro da mangiare e aveva paura che il parto andasse male. Allora le sue amiche le hanno detto «Vai a pregare a Monterchi», alla chiesa – mi sono scordato il nome! – la Momentana! Nella chiesa di Santa Maria della Momentana c’è una Madonna che fa dei miracoli, ma proprio forte forte forte, ed è la Madonna del parto di Piero della Francesca, niente meno, si fa per dire, a Monterchi. Io poi ho tentato quell’affresco di rubarlo tutta la vita. Sono andato a vederlo, sono svenuto per la bellezza: con il ventre, qui c’è la veste strappata, la mano… e sono andato a vederla spesso io. Il parto è andato bene; fisicamente il parto è andato bene.
Io non so poi, se con quello che è nato, il miracolo è riuscito al cento per cento, però la Madonna le ha fatto fare un parto bellissimo. Quando sono andato a vederla, la cosa incredibile è che su quel volto non c’è niente di regale, è proprio una, diciamo, dolcissima bellezza giovanile… come la mia mamma. È diventata unica e universale quella Madonna lì. È diventata la mia personale Madonna universale.
Non potevo fare a meno di andare a guardarla. Quante volte sono andato a vederla! Le hanno cambiato luogo, ma quella Madonna è rimasta nel mio cuore. È proprio una Madonna talmente umana, talmente umana, che era quasi “atea”, nel senso di Dio – che era talmente umana che non c’è posto per il divino, come se fosse proprio la mia mamma. Uguale identica, la sua faccia, perché Piero della Francesca era di quel luogo e disegnava le donne di quel luogo, e la mia mamma era di quel luogo.
E quindi, io la Madonna del parto l’ho avuta sempre nel mio cuore, è proprio la mia mamma, la mia personale Madonna universale! La seconda Madonna che ho visto, l’ho vista a Roma – una di quelle che sono rimaste nella mia vita – alle Scuderie del Quirinale: è la Madonna dell’Annunciazione di Recanati di Lorenzo Lotto: mamma mia, quanto mi è piaciuta anche quella! Perché ho visto per la prima volta la Madonna turbata, la Madonna che ha paura.
Particolare dell’Annunciazione di Recanati
Un quadro memorabile! Ma una cosa, che io sono rimasto! Per dire la rivoluzione che ha fatto la Madonna, diciamo, per le donne nel mondo. Si parla del femminismo, ma la Madonna quello che ha fatto per il femminismo! Il pensiero filosofico non è andato in profondità sulla rivoluzione straordinaria che ha fatto la Madonna, mentre le arti figurative sì. Ecco i quadri sì, sono andati al di là del pensiero filosofico. Voi immaginate questa Madonna, il suo sì, quando ha detto il sì, il fiat, l’eccomi limpido come quello di Abramo. L’Annunciazione ha cambiato il mondo totalmente. Poi con le arti figurative solo donne si rappresentavano, ma quello che ha fatto, alcuni papi, non ricordo il nome di chi ha deciso che dopo che la Madonna aveva detto «Sì, eccomi!» all’Annunciazione, tutte le donne dovevano dire sì al matrimonio, che prima non lo dovevano dire. È un papa di cui non ricordo il nome. Voi mi direte: ma come, ti danno il dottorato, e non ricordi il nome del papa? È da stamattina che ci penso, ma non mi viene in mente. È uno dell’epoca di Gregorio VII, o Leone II, decise che le donne dovevano dire sì. E in quel quadro di Lotto si vede la Madonna – se lo avete in mente, perché è famosissimo – che fa così, quasi che abbia paura… incredibile! Quel sì non è scontato, non è banale. È un sì sofferto, sentito, ci ha pensato.
È come se dicesse «Oh, Signore, proprio a me questa cosa?» – all’Annunciazione – con Dio dietro, con le mani così, congiunte, che sembra che si tuffi su di lei; non vede l’ora di avere quella donna, che gli dica sì. Oppure con le mani quasi rivolto in preghiera che dica il Signore: «Ti prego, dimmi sì!». È un quadro incredibile. Quello con il gatto. Ricordate? C’è anche un elemento ironico, è anche ironico quel quadro. E la Madonna che volta le spalle al Signore e quel sì, dico quel sì che ha rivoluzionato la storia del mondo, di tutti noi, di tutta la nostra vita, ci fa vedere che non è che sia andato a casa di Gioacchino e Anna e abbia detto loro «Guardate, mi hanno fatto questa proposta» – no, ha deciso lei, con sofferenza, e ha deciso per il sì! Una cosa incredibile, il sì della Madonna che ha cambiato il mondo. È un quadro straordinario. E il terzo incontro con la Madonna nelle Belle arti riguarda una volta che ero al festival di Berlino, nella giuria per il cinema, avevo un giorno libero e allora l’ho preso per andare a vedere la Madonna Sistina di Raffaello a Dresda. Quello è stato un momento che non si può descrivere, avevo letto il libro di Vassilij Grossman, ma non si può…
Quando si vede quella Madonna di Raffaello io veramente, dico a tutti voi, è un quadro che quando si arriva lì davanti si ha subito presente una cosa: che siamo immortali, che la vita non finirà mai. Siamo davanti a un’opera – subito si ha quell’impressione – che se anche finisse il mondo, e l’umanità non ci fosse più, andrebbero gli animali, i topi, i cavalli, a vedere questo quadro. È un quadro immenso, incredibile! Io ho avuto un’emozione quando mi avvicinavo. Tra l’altro avevo l’impressione che la Madonna si avvicinasse. Ed è l’unico quadro al mondo che fa questa impressione, che il soggetto del quadro si muove verso di te, col bambino in mano. E ho visto una cosa irripetibile, quello è – credo – l’apice, il punto più alto della storia dell’arte nella storia dell’umanità. È un quadro insuperabile. La faccia della Madonna e del bambino sono serene, invincibili, immortali nella loro serenità.
La Madonna Sistina di Raffaello oggi esposta a Dresda
Una forza prodigiosa e quieta si sprigiona. Proprio la gioia di essere creature vive in questo mondo, non so se ve lo ricordate, ma guardate, è un quadro immenso quel quadro lì! Ed è immortale veramente; loro sono sereni perché sanno che nemmeno la morte vincerà. D’altra parte, il cristianesimo, la religione cristiana è l’unica religione al mondo, diciamo, che si basa sulla risurrezione dei corpi. L’unica. E io sono contento di questo – ci ho sempre creduto – perché ho visto che siccome la nascita è stata una sorpresa, non vedo perché la morte non potrebbe essere una sorpresa ancora più grande. Mi è sempre piaciuta questa cosa. E in questa Madonna Sistina del Raffaello, ho visto questo: proprio il non aver paura nemmeno della morte.
È incredibile la grandezza di questo quadro. E allora mi è venuto in mente che il pensiero davvero non è mai arrivato alla profondità della figura della Madonna a cui sono arrivate le arti figurative; non ci è arrivata la filosofia e ci è arrivata l’arte figurativa e anche la poesia di un altro italiano che è Dante Alighieri, che ha descritto, con la stessa grandezza della Madonna Sistina di Raffaello – sono le due opere insuperabili al mondo sulla Madonna – con quella poesia che è anche una preghiera al tempo stesso, insuperabile, ho avuto la stessa emozione quando l’ho letta di quando ho visto la Madonna Sistina di Raffaello.
E se voi avete pochi secondi di tempo, ve la ripeto, perché non posso farvi vedere questi quadri di cui ho parlato – ma tutti li conoscete – ma vi posso far sentire, con la fortuna di farvelo sentire nella lingua in cui il poeta l’ha scritta, le sette terzine del nostro Dante Alighieri alla Vergine Madre: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio,/ umile e alta più che creatura,/termine fisso d’etterno consiglio,/ tu se’ colei che l’umana natura/ nobilitasti sì, che ’l suo fattore/ non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l’amore,/ per lo cui caldo ne l’etterna pace/ così è germinato questo fiore./ Qui se’ a noi meridiana face/ di caritate, e giuso, intra ‘ mortali,/ se’ di speranza fontana vivace./ Donna, se’ tanto grande e tanto vali,/ che qual vuol grazia e a te non ricorre/sua disianza vuol volar sanz’ali./ La tua benignità non pur soccorre/ a chi domanda, ma molte fiate/ liberamente al dimandar precorre./ In te misericordia, in te pietate,/ in te magnifi cenza, in te s’aduna/ quantunque in creatura è di bontate».
Come e perché si inventa un idolo per la venerazione delle masse
di Antonio Socci – da Libero 20 luglio 2024
Un anno fa sui media italiani si è cominciato a parlare della cantante Taylor Swift che negli Stati Uniti aveva acquisito una straordinaria popolarità. Da noi era dunque famosa per essere famosa (oltreoceano). In Italia – come è stato notato – nessuno conosceva le sue canzoni (poche le eccezioni). Eppure quando – poco dopo è stato annunciato il suo tour europeo è iniziata la “febbre” che poi ha portato migliaia di persone allo stadio milanese di San Siro per ascoltarla. Il caso di Taylor Swift è esemplare e fa capire bene come funziona la macchina del desiderio mimetico, ovvero come si creano i miti (dello spettacolo e non solo) e come si affermano le mode (anche ideologiche). È una questione che non ha a che fare solo con il costume, con le canzoni o con la politica. Ma con la confezione sociale del prodotto, perché quella attrae la natura stessa dell’uomo.
Per capirlo occorre riferirsi all’opera di René Girard (1923- 2015), un pensatore francese che, iniziando dalla critica letteraria, ha elaborato la teoria del desiderio mimetico la quale ha abbracciato poi anche antropologia, sociologia, teologia, psicologia e altre discipline. Girard – Accademico di Francia – ha insegnato perlopiù negli Stati Uniti ed ha avuto un’influenza tale, in quel Paese, da tornare oggi d’attualità come il pensatore di riferimento del designato vice presidente di Donald Trump, James Vance. Una premessa generale per capire il suo pensiero. Tutti gli animali hanno dei bisogni che trovano appagamento qui sulla terra. Solo gli uomini fanno eccezione perché, oltre ad avere bisogni, sono abitati da un desiderio infinito che non ha un oggetto naturale (e che resta sempre insoddisfatto) e – siccome fin da neonati essi scoprono e conoscono la realtà attraverso l’imitazione imitando altri – cercano di individuarlo imitando altri. «Una volta che i loro bisogni naturali sono soddisfatti» scrive Girard «gli uomini desiderano intensamente ma senza sapere con esattezza che cosa, dato che nessun istinto li guida. Essi non hanno alcun desiderio proprio. Ciò che è proprio del desiderio è di non avere nulla di proprio. Per desiderare veramente, noi dobbiamo ricorrere agli esseri umani che ci circondano, dobbiamo prendere in prestito i loro desideri».
Il “mediatore” può essere anche l’arte: nella storia dantesca di Paolo e Francesca ad accendere il desiderio è il romanzo cavalleresco di Lancillotto e Ginevra (“galeotto fu il libro”). Lo stesso meccanismo è scatenato dai romanzi cavallereschi letti da Don Chisciotte e da quelli romantici letti da Madame Bovary. Però può anche esserci la volontà deliberata di suscitare desideri mimetici. La pubblicità funziona così, come macchina dei desideri. Non pubblicizza un certo prodotto per le sue qualità ma uno stile di vita o un’atmosfera. Cosicché non si desidera quella bibita, ma la vita di altri che la desiderano: “il desiderio” scrive Marco Dotti spiegando il pensiero di Girard «non esiste in sé. Per esistere ha bisogno dell’esistenza dell’altro. O meglio, di un altro che desidera. […] Un oggetto, uno status, un simbolo, una persona sono dunque appetibili solo se un altro, che io assumo come modello, li desidera prima di me, (…) ecco perché il vero oggetto del desiderio non è mai l’oggetto in sé».
I nostri miti (ideologici, idolatrici) nascono dal contagio mimetico, ma sempre deludono il nostro desiderio di felicità che è infinito. Girard aprì la sua prima opera con una frase di Max Scheler: «L’uomo ha o Dio o un idolo».
Del tema dell’immigrazione sentiamo parlare di continuo, ma spesso il dibattitto pubblico e le prese di posizione risentono di un punto di vista ideologico nel modo di affrontare il problema. E, comunque la si pensi, questo approccio impedisce di guardare un fenomeno molto complesso nelle sue mille sfaccettature e senza ricadere nelle solite semplificazioni. Di fronte a una delle sfide più grandi del nostro tempo è invece interessante l’analisi che ne fa la scrittrice Susanna Tamaro in un ampio articolo pubblicato pochi giorni fa sul Corriere della Sera. Un’analisi fondata anche sulla sua diretta esperienza personale, che si sottrae alla trappola dello scontro ideologico pro o contro l’immigrazione. Si chiede subito se «è possibile parlare del problema dell’immigrazione incontrollata senza dare un calcio al principio etico della nostra civiltà — la sacralità della persona — e al tempo stesso senza continuare ad aggirarsi come sonnambuli tra le nebbie del multiculturalismo?». In particolare Tamaro invita a considerare i migranti come persone e non come una categoria sociale generica o astratta, senza nascondere le criticità che emergono soprattutto quando l’immigrazione sia incontrollata. «Santificare un’intera categoria, tendenza sempre più in voga – scrive -, vuol dire non essere in grado di vedere la realtà e dunque l’incapacità di relazionarsi in modo sano con essa». Proprio di questo approccio realista abbiamo bisogno per affrontare una questione decisiva per il nostro futuro.
«L’infinita distrazione che ci viene offerta in ogni istante in cui siamo a portata di telefono significa che non dobbiamo mai fare il difficile lavoro di capire come vivere con la nostra mente». Il difficile lavoro di capire come stare con noi stessi. «Facciamo tutto il possibile per assicurarci di non provare mai la noia». Lo scrive sul New York Times lo scrittore e reporter americano Chris Hayes in un lungo articolo dedicato proprio al tema della noia e di cui vi riproponiamo alcuni passaggi salienti. «Quando di tanto in tanto mi sono messo a considerare le diverse distrazioni degli uomini – scriveva Pascal citato da Hayes – ho scoperto che tutta l’infelicità degli uomini deriva da un unico fatto: che non possono stare tranquilli nella propria camera. Da qui deriva che gli uomini amano tanto il rumore e l’agitazione; da qui deriva che la prigione è una cosa così orribile; da qui deriva che il piacere della solitudine è una cosa incomprensibile». L’irrequietezza delle nostre menti e la voglia di svago nascono dall’angoscia spirituale per la nostra mortalità.
Pochi giorni fa Einaudi ha pubblicato «Il tagliapietre», libro finora inedito in Italia dello scrittore americano Cormac McCarthy scomparso nel giugno del 2023. Si tratta di un dramma teatrale in cinque …