• Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti
Email:
[email protected]
Fondazione San BenedettoFondazione San Benedetto
  • Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti

Fissiamo il Pensiero

  • Home
  • Fissiamo il Pensiero
  • Cristo si è fermato a Timor Est

Cristo si è fermato a Timor Est

  • Data 21 Settembre 2024

C’è la fede semplice e genuina delle 600 mila persone di Timor Est  o dei poverissimi abitanti dei villaggi fra la foresta e il mare in Papua Nuova Guinea che hanno accolto Papa Francesco durante il suo recente viaggio in Asia e Oceania. E pochi giorni fa, nell’udienza del mercoledì, ricordando il suo viaggio, il Papa si è detto «colpito dalla bellezza» di quei popoli «provati ma gioiosi». «Ho respirato aria di primavera», ha aggiunto, sottolineando di aver trovato una Chiesa «molto più viva in quei paesi». Una Chiesa che cresce non per proselitismo ma «per attrazione».

Alcune immagini dei 600mila fedeli presenti alla messa del Papa a Dili, capitale di Timor Est

E poi c’è la Chiesa stanca e autoreferenziale dei paesi europei che, nel deserto di umanità del mondo occidentale, sembra aver dimenticato l’originalità della fede in Gesù Cristo, preferendo occuparsi di altro. È un raffronto spiazzante che costringe chi crede a interrogarsi su cosa ne ha fatto della propria fede. Scrive Matteo Matzuzzi nell’articolo apparso sul Foglio di cui vi proponiamo la lettura: «Si è proprio sicuri che la fede genuina e semplice sia quella dei Sinodi infiniti che producono documenti, tabelle, schemi, strumenti di lavoro. Sinodi che vorrebbero combattere l’autoreferenzialità e poi finiscono per chiudersi in Vaticano per settimane a discutere di questioni che il mondo, fuori, conoscerà solamente attraverso sintesi e mediazioni? Si è proprio certi che ai popoli di Timor Est, di Singapore, ma anche al piccolo gruppo di fedeli della Mongolia o a quelli di Bangui interessino le elucubrazioni sul diaconato femminile, sul celibato sacerdotale, sulle attese del Cammino sinodale tedesco che tra un cenacolo sulla collegialità e l’istituzione di un Comitato ad hoc punta a rovesciare la struttura gerarchica della Chiesa? S’è mai domandato, qualcuno, perché i seicentomila cattolici riuniti per accogliere il Papa e pregare con lui siano tutti a Timor est e non nelle spianate bavaresi o nella Grand Place di Bruxelles?»

Elezioni USA, verso lo scontro finale: incontro il 27 settembre 

A grande richiesta dopo quello dello scorso maggio la Fondazione San Benedetto propone un nuovo incontro pubblico sulle presidenziali americane per capire da vicino cosa sta succedendo negli USA. In questi mesi i colpi di scena non sono mancati, dagli attentati a Trump al ritiro di Biden e alla candidatura di Kamala Harris.
Ne parleremo con l’aiuto di due esperti che conoscono bene gli Stati Uniti e che chi era presente al precedente incontro di maggio ha potuto apprezzare. Vi aspettiamo venerdì 27 settembre alle 18, a Brescia al Centro Paolo VI, in via Gezio Calini 30. Interverranno Marco Bardazzi, giornalista che sta seguendo le elezioni USA per il quotidiano Il Foglio, e Lorenzo Pregliasco, analista politico, co-fondatore e direttore di YouTrend.

PER PARTECIPARE È NECESSARIO REGISTRARSI A QUESTO LINK.


Un’isola a messa dal Papa, «per vedere Gesù»

di Matteo Matzuzzi – da Il Foglio 14 settembre 2024

Una distesa infinita di ombrelli bianchi e gialli a riparare una spianata di seicentomila fedeli giunti a Taci Tolu per assistere alla messa celebrata dal Papa. Poco meno di un terzo della popolazione di Timor est, che in tutto ne conta un milione e mezzo. Erano tutti lì, a salutare Francesco e a pregare con lui. Lembo estremo d’asia, il più cattolico e il solo – con le Filippine – ad avere una maggioranza di cattolici. I preti sono 347, tre i vescovi, sessantasei le parrocchie. Più un migliaio fra religiose e religiosi. Su quella spianata hanno trovato ossa umane, resti della guerra civile che ha devastato l’ex colonia portoghese che ha saputo, a fatica, riconciliarsi. “Qui il Vangelo è fonte di concordia sociale”, ha detto il Pontefice prima di ammonire sui rischi ancora presenti: povertà, alcol, abusi. E pure i coccodrilli, che fra i laghi salati che circondano la capitale Dili potrebbero avere la tentazione di farsi una passeggiata sulla terraferma e mordere. Non era un semplice avvertimento per così dire faunistico, quello di Francesco: “State attenti! Perché mi hanno detto che in alcune spiagge vengono i coccodrilli; i coccodrilli vengono nuotando e hanno il morso più forte di quanto possiamo tenere a bada. State attenti! State attenti a quei coccodrilli che vogliono cambiarvi la cultura, che vogliono cambiarvi la storia. Restate fedeli. E non avvicinatevi a quei coccodrilli perché mordono, e mordono molto. Vi auguro la pace. Vi auguro di continuare ad avere molti figli: che il sorriso di questo popolo siano i suoi bambini! Prendetevi cura dei vostri bambini; ma prendetevi cura anche dei vostri anziani, che sono la memoria di questa terra”. Chiaro riferimento a quelle colonizzazioni ideologiche contro cui Bergoglio si scaglia fin dal primo giorno che siede sul trono di Pietro.

Non c’è cronaca dell’infinito tour papale in estremo oriente che non abbia rimarcato la straordinarietà delle folle di Timor est. Eppure qui un Papa l’hanno già visto, Giovanni Paolo II nel 1989. Ma era tutt’altra faccenda, c’era la guerra, le divisioni evidenti, anche se quella visita segnò un passo fondamentale nel processo di autodeterminazione. Migliaia di persone di tutte le età assiepate lungo le strade attendendo il vescovo di Roma: festose ma ordinate, composte. Devote. Più interessate a sentire Francesco e a celebrare con lui l’eucarestia che a immortalarsi in selfie con croci, vescovi e parvenu per suggellare l’evento. “Timor è un piccolo paese, un’isola lontana, però la sua gente semplice vive l’originalità della fede in Gesù Cristo”, ha detto nel suo messaggio di ringraziamento l’arcivescovo di Dili, il cardinale Virgílio do Carmo da Silva.

Quanto stridono queste immagini, questa profonda devozione, con il deserto d’occidente, abitato dai “popoli dell’opulenza”, come li definì Paolo VI nella Populorum progressio. Oggi, a più di mezzo secolo di distanza da quel documento, si può dire senza pericolo di fraintendimento che quell’opulenza non è solo la ricchezza materiale, ma è molto di più. Drammaticamente, di più. E’ l’assuefazione a un modo di vivere in cui le domande ultime sono infilate a forza in un cantuccio, dove non ci si domanda più nemmeno se Dio esiste: semplicemente, il tema non interessa. Un mondo in cui ai dogmi di fede se ne sono sostituiti altri, estremizzando a tal punto concetti come laicità, uguaglianza e inclusività da non ricordarsi più neppure cosa volevano dire in origine. L’europa che nei sogni di Robert Schuman era quelle delle cattedrali, oggi si arrovella su tecnicismi e regolamenti. Dei due polmoni di fede e cultura che tanto a cuore stavano a Giovanni Paolo II, non c’è più traccia. Di radici, di qualunque origine fossero, neanche a parlarne. “Dove sei finita, Europa?” si chiese (e chiese agli astanti) Francesco quando ebbe occasione di parlare del Vecchio continente. I suoi valori, i suoi ideali, la sua anima. La fede profonda che aveva permesso di costruire Notre-dame – senza vetrate “contemporanee” – e decine di altre cattedrali con le guglie puntate verso le cose di lassù, oggi è retaggio di una storia perduta. Bisogna andare a Dili, nella piccola isola di Timor est per ritrovarla. Senza tanti orpelli, vero. Ma anche senza tanto interrogarsi su aggiornamenti, cambiamenti, sistemazioni, rivoluzioni, riforme. La fede semplice. Che poi è quella dei contadini che si fermavano in mezzo al campo mentre le campane del villaggio richiamavano alla preghiera dell’angelus di mezzogiorno, delle beghine che non capivano niente di quel che bofonchiava il prete in latino, ma intanto sgranavano il Rosario. A Dili, tra i coccodrilli veri o metafora delle colonizzazioni ideologiche, bastava la croce e il Papa, rappresentante di Cristo. Nient’altro.

Non è questione di povertà materiale, non solo almeno: le stesse scene si sono viste in Corea del sud, terra di evangelizzazione giovane e di fede dinamica. Allora torna alla mente una delle più antiche interviste rilasciate da Francesco, quasi agli albori del pontificato. Il Papa conversava con una rivista pubblicata in Argentina, nelle ville miseria di Buenos Aires: “Quando parlo di periferie, parlo di confini. Normalmente noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controlliamo. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso, scopriamo più cose e, quando guardiamo al centro da queste nuove cose che abbiamo scoperto, da nuovi posti, da queste periferie, vediamo che la realtà è diversa”. Aggiungeva, il Papa, che “una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo posto dove tu sei arrivato”. “L’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa”.

Colpirà ancora di più, allora, l’inevitabile paragone che si farà a fine mese, quando Francesco per la prima volta metterà piede nel cuore di quell’Europa che fino ad ora ha toccato solo marginalmente, nelle sue periferie. E non inizierà un viaggio entrando dalla porta laterale, bensì da quella frontale: Bruxelles, dopo il Lussemburgo. La capitale dell’unione che è al contempo l’emblema più evidente di come il cattolicesimo in Europa sia declinante e arranchi stanco verso qualcosa che lo ridesti, non sapendo però bene cosa. Nei mesi scorsi, al Foglio, l’arcivescovo emerito di Bruxelles, il cardinale Jozef De Kesel, ammise che “in una società secolarizzata la sensibilità religiosa non è più così grande come un tempo. La Chiesa e la sua fede non sono più onnipresenti. La fede cristiana non è più la convinzione dell’intera società. Ma questo non significa che Dio sia assente. Dio è all’opera in questo mondo, anche oltre i confini della Chiesa. Che le chiese siano vuote e scompaiano silenziosamente è semplicemente non vero. Naturalmente, in una società in cui tutti sono cristiani, le chiese sono necessarie ovunque. Non è così in una società secolare e pluralista. In questo senso, le chiese sono occasionalmente ritirate dal culto. E si presta molta attenzione alla destinazione che viene loro assegnata. Ma la grande maggioranza delle chiese rimane un edificio di culto. Anche a Bruxelles ci sono chiese molto affollate”.

Alla radice della stanchezza, forse, c’è anche quello che De Kesel definiva “un malinteso sul termine ‘aggiornamento’ tanto usato riguardo al Concilio Vaticano II: Papa Giovanni voleva effettivamente avvicinare la Chiesa al mondo. Fare in modo che non sia un mondo a sé stante accanto al mondo reale. Aggiornamento significa apertura al mondo. Ma non significa adattamento al mondo. Nella Bibbia, la tentazione del popolo di Dio è sempre stata quella di essere come le altre nazioni. Ma se la Chiesa deve offrire solo ciò che si può ascoltare altrove, non avrà alcun fascino. Ecco perché alla fine del mio libro scrivo che la Chiesa del futuro dovrà essere una Chiesa più confessionale: testimoniare il Vangelo nel modo più autentico possibile attraverso le parole e le azioni”.

Ecco che tornano le parole dell’arcivescovo di Dili: qui si vive l’originalità della fede in Gesù Cristo. Ed è la stessa cosa che accade in tante parti d’africa, dove decine di famiglie ogni domenica camminano per chilometri pur di partecipare alla messa. Mentre qui, da noi, si mandano lettere al vescovo se qualche parroco osa alternare le celebrazioni festive fra due chiese distanti due chilometri. La messa espressa, sotto casa, comoda come sosta fra la colazione al bar e il pranzo al ristorante. Il sud del pianeta parla al nord e chissà che da laggiù non arrivi prima o poi una nuova onda evangelizzatrice, che non è certo l’uso di preti e suore africane o asiatiche per sopperire alla carenza di vocazioni occidentali. Diceva a tal proposito Adrien Candiard che se “l’idea è quella di riempire la crisi della Chiesa occidentale con manovalanza africana o asiatica”, è meglio lasciar perdere: “Le suore del Madagascar hanno tanto da fare in Madagascar, anche sul terreno della missione, non portiamole qui ad assistere le suore anziane nella vecchia Europa”.

Il discorso è più profondo. Si è proprio sicuri che la fede genuina e semplice sia quella dei Sinodi infiniti che producono documenti, tabelle, schemi, strumenti di lavoro. Sinodi che vorrebbero combattere l’autoreferenzialità e poi finiscono per chiudersi in Vaticano per settimane a discutere di questioni che il mondo, fuori, conoscerà solamente attraverso sintesi e mediazioni? Si è proprio certi che ai popoli di Timor est, di Singapore, ma anche al piccolo gruppo di fedeli della Mongolia o a quelli di Bangui interessino le elucubrazioni sul diaconato femminile, sul celibato sacerdotale, sulle attese del Cammino sinodale tedesco che tra un cenacolo sulla collegialità e l’istituzione di un Comitato ad hoc punta a rovesciare la struttura gerarchica della Chiesa? S’è mai domandato, qualcuno, perché i seicentomila cattolici riuniti per accogliere il Papa e pregare con lui siano tutti a Timor est e non nelle spianate bavaresi o nella Grand Place di Bruxelles?

Certo, i programmi di riforma e le lettere pastorali di vescovi e arcivescovi infarcite dell’aggettivo “sinodale” (ovunque presente e declinato a seconda dell’argomento specifico, usato per giustificare l’accorpamento di parrocchie o per invocare nuovi catechisti… si fa tutto in nome della sinodalità, tanto per rimanere tranquilli) puntano a un ritorno alle origini, alla fede semplice e pura, quella senza troppe inutili sovrastrutture, senza gli orpelli e tutto ciò che sa di barocco o di eccessivo. Ma il risultato qual è? Che a forza di parlare di semplificazione e purificazione, sono aumentati i convegni e i gruppi di lavoro, le assise sinodali e le assemblee più o meno deliberanti, i rapporti e i documenti. Spesso accompagnati dai moniti vaticani seguiti dalle controrisposte di qualche episcopato baricadero. La fede genuina e delle origini è quella dei quindici secondi di benedizione suggeriti in Fiducia supplicans? A sentire quel che dicono i pastori delle Chiese dove la messa non è ancora ridotta a routinario appuntamento domenicale e nulla più, la risposta è negativa.

Una delle tappe più significative dell’ultimo viaggio papale è stata a Vanimo, in Papua Nuova Guinea. Città poverissima, tre supermercati per 150 mila abitanti, infrastrutture inesistenti: per gli indigeni dei villaggi vicini accorsi per vedere Francesco sono state allestite tende (gli alberghi sono solo due e riservati a chi ha ragguardevoli disponibilità economiche). Eppure, questa “scomodità” è un dettaglio in confronto alla possibilità di guardare in faccia il Pontefice: “Chi desidera vedere il Papa dice che è Gesù che viene, vuole ascoltarlo e ricevere la benedizione”, diceva alla vigilia del viaggio intervistato da Vatican News padre Alejandro Diaz, di origini argentine, monaco dell’istituto del Verbo Incarnato, missionario da un anno nel villaggio di Wutung. E’ colui che propose tempo fa a Francesco di recarsi lì. Racconta di quando ci si inoltra nella giungla per raggiungere i villaggi sparsi e lontani da tutto: “E’ una Chiesa che sta nascendo, ha ottant’anni di vita, stiamo seminando e già ne vediamo i frutti: si fanno tanti battesimi, la partecipazione alle liturgie eucaristiche è affollata, soprattutto di giovani e bambini. Abbiamo addirittura dovuto dire ai chierichetti di non venire tutti insieme perché sono troppi, alla messa del mattino ce ne sono venticinque! Nessuno li obbliga ovviamente, lo fanno perché lo desiderano”. Nei villaggi si va nel fine settimana, percorrendo strade fangose con ostacoli d’ogni tipo: “Arriviamo alle volte la sera tardi ma la gente ci aspetta. Confessiamo, celebriamo la messa. La gente esce dal villaggio, acclamando vedendoci arrivare, questo ti spacca il cuore, non puoi fare altro che piangere. E’ così assetata di Dio che ci edifica l’anima”.

Tag:Chiesa, Papa Francesco

  • Condividi
piergiorgio

Articolo precedente

Ultima chiamata per l’Europa? Draghi dà la sveglia
21 Settembre 2024

Prossimo articolo

Uno sguardo sul mondo che ci riguarda molto da vicino
28 Settembre 2024

Ti potrebbe interessare anche

Grazie per questi vent’anni, la strada continua
31 Maggio, 2025

Giovedì 29 maggio a Brescia, a Palazzo Loggia, si è tenuto l’incontro in occasione dei vent’anni della Fondazione San Benedetto. Il Salone Vanvitelliano gentilmente messo a disposizione dalla sindaca Laura Castelletti, era al completo con una platea attenta che ha seguito per oltre un’ora e mezza il dibattito: prima il discorso del professor Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, poi il racconto di tre giovani cresciuti nella San Benedetto (Laura Ferrari, Matteo Comini e Nicola Aggogeri) e gli interventi dei tre ex sindaci di Brescia Paolo Corsini, Adriano Paroli e Emilio Del Bono e infine le conclusioni di Graziano Tarantini. Tra il pubblico presenti diverse personalità e rappresentanti del territorio a cominciare dal vescovo di Brescia monsignor Tremolada. Nei prossimi giorni sarà online sul nostro sito il video integrale. Oggi, anziché riproporvi un riassunto di quanto è stato detto che, vista la ricchezza di contenuti, sarebbe inevitabilmente incompleto e parziale, vogliamo soffermarci, senza la pretesa di un discorso organico, solo su alcune parole che, nei diversi interventi che si sono succeduti, hanno fatto da filo conduttore dell’incontro e che in qualche modo descrivono anche il percorso compiuto fino a oggi e quello che intendiamo fare. Nulla di autoreferenziale o di celebrativo, ma la condivisione di un percorso aperto a tutti.

I nostri vent’anni di presenza e le sfide di oggi
24 Maggio, 2025

La Fondazione San Benedetto è un tentativo libero e creativo di espressione della dottrina sociale della Chiesa per rispondere ai problemi e alle sfide del presente; quella dottrina sociale che sembra essere stata riscoperta nelle ultime settimane, con l’elezione di Leone XIV. Giovedì 29 maggio alle 17.30, in occasione dei nostri primi vent’anni di presenza, a Palazzo Loggia a Brescia, abbiamo promosso un incontro (i posti, lo ricordiamo, sono esauriti, ma per chi non ha potuto iscriversi nelle prossime settimane sarà disponibile sul nostro sito il video dell’evento) che vuole richiamare l’attenzione sul ruolo dei corpi intermedi nella nostra società. Si tratta di quelle realtà, di quei centri di vita e di azione, che nascono dalla libera aggregazione delle persone come contributo alla costruzione del bene comune in un’ottica di sussidiarietà. Proprio ai corpi intermedi la dottrina sociale della Chiesa ha sempre riservato una particolare attenzione. Non è la riproposizione di principi astratti, ma è l’indicazione di un percorso possibile. In questi primi giorni del suo pontificato, Leone XIV è tornato più volte sulla dottrina sociale, tema che gli è particolarmente caro a cominciare dalla scelta di richiamarsi a Leone XIII, il papa della questione sociale. In un discorso alla Fondazione Centesimus Annus ha chiarito che la dottrina sociale è l’opposto dell’indottrinamento, definito «immorale», che «rifiuta il movimento, il cambiamento o l’evoluzione delle idee di fronte a nuovi problemi». Proprio su tale discorso vi invitiamo a leggere il commento di Giuseppe Frangi, pubblicato sul quotidiano online ilsussidiario.net. Questo è anche il solco in cui come fondazione intendiamo muoverci nel prossimo futuro, in particolare con due sottolineature. Da un lato, oltre che a Brescia, rafforzeremo la nostra presenza anche a Milano (le nostre radici sin dall’inizio sono sempre state bresciane e milanesi), dall’altro lato, concentreremo l’attenzione con iniziative dedicate su due tematiche che riteniamo centrali: il futuro dell’Europa e il rapporto con l’intelligenza artificiale.

Rivoluzione digitale, una sfida per l’umano
17 Maggio, 2025

«L’era della rivoluzione digitale – l’era di Internet, degli smartphone e l’era nascente dell’intelligenza artificiale – sta costringendo la razza umana a quello che i biologi evoluzionisti chiamano un “collo di bottiglia”, un periodo di rapida pressione che minaccia l’estinzione di culture, costumi e popoli». Lo scrive Ross Douthat, editorialista del New York Times, nell’articolo che vi segnaliamo questa settimana. Non si tratta di un banale intervento contro la tecnologia o il cambiamento in corso, ma di un’osservazione attenta e sicuramente molto critica di quanto sta accadendo che diventa un appello «contro la passività» con cui stiamo accettando che «l’era digitale prenda le cose incarnate» offrendoci in cambio dei «sostituti virtuali». Su questo tema ci siamo già soffermati anche in altre occasioni perché in ballo c’è una sfida cruciale che riguarda anzitutto l’umano. Con questo articolo vogliamo offrire un nuovo contributo alla riflessione e al confronto. Ci ha colpito che Leone XIV abbia spiegato la scelta del suo nome richiamandosi prima di tutto a Papa Leone XIII, che con l’enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale. Come fu allora – ha sottolineato – «oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro». E ieri in un discorso alla Fondazione Centesimus Annus Leone XIV è ritornato sulla questione invitando a riscoprire «il mandato di educare al senso critico» di fronte alla rivoluzione digitale in corso. Il tema è dunque più che mai centrale e come Fondazione San Benedetto non intendiamo sottrarci a questa sfida che ci riguarda tutti molto da vicino. Nei prossimi mesi proporremo iniziative specifiche che possano essere d’aiuto ad affrontare questa fase di cambiamento.

Cerca

Categorie

  • Fissiamo il Pensiero
  • I nostri incontri
    • I nostri incontri – 2015
    • I nostri incontri – 2016
    • I nostri incontri – 2017
    • I nostri incontri – 2018
    • I nostri incontri – 2019
    • I nostri incontri – 2021
    • I nostri incontri – 2022
    • I nostri incontri – 2023
    • I nostri incontri – 2024
    • I nostri incontri – 2025
  • Mese Letterario
    • 2010 – I Edizione
    • 2011 – II Edizione
    • 2012 – III Edizione
    • 2013 – IV Edizione
    • 2014 – V Edizione
    • 2015 – VI Edizione
    • 2016 – VII Edizione
    • 2017 – VIII Edizione
    • 2018 – IX Edizione
    • 2019 – X Edizione
    • 2021 – XI Edizione
    • 2023 – XIII Edizione
    • 2024 – XIV Edizione
  • Scuola San Benedetto – edizioni passate
  • Tutti gli articoli

Education WordPress Theme by ThimPress. Powered by WordPress.

VUOI SOSTENERCI?

Siamo una fondazione che ha scelto di finanziarsi con il libero contributo di chi ne apprezza l’attività

Voglio fare una donazione
Borgo Wührer, 119 - 25123 Brescia
[email protected]

Resta sempre aggiornato

Iscriviti subito alla nostra newsletter per non perderti le attività e gli eventi organizzati dalla Fondazione San Benedetto.

Iscriviti

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Copyright © Fondazione San Benedetto Educazione e Sviluppo

Mappa del sito | Privacy Policy | Cookie Policy

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy