Le immagini dello scontro di venerdì in diretta tv fra Zelensky e Trump hanno reso plasticamente evidente la fase di profonda confusione (unita alla debolezza dell’Europa) che il cosiddetto mondo occidentalesta attraversando. È come se avesse perso la bussola e non riuscisse più a ritrovare la strada. Sulla crisi dell’occidente questa settimana vogliamo segnalare due letture come spunto di riflessione. La prima è un’intervista del filosofo e accademico di Francia Alain Finkielkraut alla Revue des Deux Mondes nella quale analizza l’attuale rifiuto dell’occidente, che attribuisce a una combinazione di ostilità esterna e autodenigrazione interna, alimentata da wokismo e populismo.
Alain Finkielkraut (Ump Photos)
Finkielkraut difende la necessità di preservare l’eredità intellettuale e culturale occidentale contro queste forze distruttive. La seconda lettura è uno stralcio di un recente intervento di Bari Weiss, giornalista che nel 2020 si era dimessa polemicamente dal New York Times per la deriva woke del quotidiano americano fondando il sito di analisi The Free Press.
Bari Weiss (foto bariweiss.com)
Ebrea, lesbica e millennial, nel suo intervento spiega come oggi con Trump ci troviamo di fronte a una deriva illiberale di destranata come reazione alla cancel culture. In questo quadro i fenomeni da baracconeche trasformano la menzognain verità sembrano avere campo libero. Solo le persone libere possono contrastare tale deriva. «Se abbiamo imparato qualcosa in quest’ultimo tumultuoso decennio – conclude Weiss -, è che gli esseri umani ben determinati sono l’unica cosa che si frappone al disfacimento. Le persone sono le uniche a presidiare il confine tra la civiltà e i suoi nemici esterni e interni».
Incontro con Sofri e Camisasca, posti in via di esaurimento
«Dal ’68 a oggi, il desiderio del cambiamento» è il titolo dell’incontro che la Fondazione San Benedetto in programma a Brescia giovedì 13 marzo alle 18.15 con l’intervento di due ospiti d’eccezione: monsignor Massimo Camisasca, allievo di don Giussani e vescovo emerito di Reggio Emilia, e Adriano Sofri, scrittore, editorialista ed ex leader di Lotta Continua. L’appuntamento è nell’aula magna del Centro Paolo VI, in via Gezio Calini 30. L’incontro è aperto a tutti previa registrazione al link che trovate sotto. Siccome in molti si sono già iscritti, i posti sono in via di esaurimento. Invitiamo perciò a registrarsi al più presto per predisporre, se necessario, una seconda sala.
L’occasione dell’incontro del tutto inedito è data dalla recente pubblicazione del libro «Una rivoluzione di sé»(Rizzoli editore) che raccoglie alcuni interventi di don Giussani, fra il 1968 e il 1970, in un periodo molto turbolento che vedrà anche la nascita del movimento di Comunione e Liberazione. Poterne parlare con due protagonisti di quella stagione, con storie molto diverse, è un’opportunità straordinaria anche per guardare in modo nuovo al momento che stiamo attraversando oggi segnato da grande incertezza.
L’allarme di Finkielkraut: «L’occidente si sgretola»
intervista di Alain Finkielkraut alla Revue des Deux Mondes
Per molto tempo l’occidente è stato visto come un esempio da seguire, un modello. Come siamo passati dall’ammirarlo al contestarlo e poi a odiarlo? Quali sono stati i punti di svolta?
Alain Finkielkraut – “L’europeo del Diciannovesimo secolo”, ha scritto Claude Lévi-Strauss, “si è proclamato superiore al resto del mondo, grazie alla macchina a vapore e ad altre prodezze tecniche di cui poteva vantarsi”. C’era arroganza in questa superiorità, ma non solo. Migliorando la sorte dell’umanità attraverso il controllo sempre più sistematico delle condizioni naturali della vita, queste prodezze tecniche conferivano all’Europa il primato del potere e, allo stesso tempo, una missione. Le si chiedeva di essere un faro per l’umanità. La colonizzazione appariva come un mezzo per unire l’umanità sotto la bandiera del progresso, per accelerare la marcia di tutti verso l’istruzione e il benessere. Ma i popoli colonizzati non erano soddisfatti di questo status di subalternità. E hanno lottato per la loro emancipazione. Le pratiche dell’occidente, che contraddicevano le sue buone intenzioni, hanno dato luogo a una legittima messa in discussione. Purtroppo, molti popoli, liberati dalla tutela occidentale, si sono ribellati contro i valori critici dell’occidente, ossia la capacità di mettersi in discussione, o, per dirla con le parole del filosofo polacco Leszek Kołakowski, “di non sussistere nella propria sufficienza e certezza eterne”. In molti casi, la strada scelta è stata quella di una modernizzazione senza occidentalizzazione. Abbiamo così visto il fondamentalismo religioso allearsi alla tecnologia più avanzata.
Chi sono oggi gli avversari dell’occidente? Cosa rende detestabile lo stile di vita occidentale?
Sayyid Qutb, l’ideologo egiziano dei Fratelli musulmani, non è stato traumatizzato dal giogo coloniale, ma dal suo soggiorno negli Stati Uniti tra il 1948 e il 1950. Il primo motivo di indignazione e persino di orrore: il massiccio sostegno dell’opinione pubblica americana al giovanissimo Stato di Israele. Ancora più significativo fu lo choc che provò per lo stile di vita americano, e, in particolare, per lo spettacolo di “quella libertà bestiale che chiamiamo promiscuità e quel mercato di schiavi chiamato emancipazione delle donne. La danza si infiamma sulle note del grammofono”, osservò con disgusto, “la sala da ballo si trasforma in un vortice di tacchi e cosce, braccia che abbracciano i fianchi, labbra che sfiorano i seni. L’aria è piena di libidine”. L’occidente ha molte cose da rimproverarsi, ma non sono i suoi crimini o la sua avidità a suscitare oggi un odio inespiabile: sono le sue libertà. Non è il suo rifiuto di fare spazio agli altri, ma lo spazio eccessivo che concede all’altro sesso.
È la condizione della donna il simbolo più importante delle nostre differenze?
È la differenza fondamentale tra l’occidente e il resto del mondo, diciamo soprattutto tra l’occidente e il mondo islamico. Questa sottomissione delle donne ha qualcosa di incomprensibile. La donna è percepita innanzitutto come oggetto di desiderio. Deve quindi coprirsi il capo e nascondere le gambe affinché l’uomo non ceda alle sue pulsioni.
Non ha l’impressione che l’occidente conosca i suoi vicini molto meno di quanto loro conoscano lui?
Io ho l’impressione opposta. Nel libro “Orientalismo”, l’accademico palestinese-americano Edward Saïd accusa l’occidente di aver sviluppato “discorsi di potere, finzioni ideologiche – manette forgiate dalla mente”. Lo storico americano Bernard Lewis ha dimostrato che questo libro, che pretendeva di essere erudito, era in realtà calunnioso. Aggiungendo che, alla curiosità dell’occidente nei confronti dell’islam, non è mai corrisposta una curiosità dell’islam nei confronti dell’occidente, perché ai suoi occhi la civiltà giudeo-cristiana è stata definitivamente superata dal Corano. I campus americani, purtroppo, hanno dato ragione a Edward Saïd contro Bernard Lewis. È nato così il wokismo. È una grande mistificazione. Oggi vediamo gli islamisti che affermano di sostenere i diritti umani per giustificare la sottomissione delle donne con il velo, l’abaya… E purtroppo, alcune persone in occidente, in nome della lotta contro le discriminazioni, cadono in questa trappola grossolana.
C’è il nemico esterno e il nemico interno. Chi sono i becchini dell’occidente qui da noi? Cosa cercano?
La sinistra radicale mette sotto processo l’occidente predatore, razzista, sessista ed eteronormato. Il maschio bianco europeo e americano è diventato il nemico dell’umanità. Il periodo antitotalitario, inaugurato dalla dissidenza nell’Europa dell’est, si sta chiudendo sotto i nostri occhi. Il mondo è nuovamente diviso in due blocchi: non più la classe operaia e la classe borghese, ma i dominati e i dominanti. Le minoranze sostituiscono il proletariato e l’essere bianco occupa il posto che l’ideologia marxista aveva assegnato al capitalismo. L’antioccidentalismo di una parte dell’élite occidentale rende la vita sempre meno respirabile.
Da un lato, l’occidente è odiato, dall’altro, milioni di persone vogliono unirsi ad esso. Come spiegare questo paradosso? Non c’è forse un’enorme discrepanza tra la retorica antioccidentale dei dirigenti e le aspirazioni delle popolazioni?
Molti nuovi arrivati vengono nei paesi occidentali per i benefici materiali, ma senza lasciarsi alle spalle l’odio o il disprezzo nei confronti di questi stessi paesi. Nel 2017, Élisabeth Badinter scriveva: “Una seconda società sta cercando di imporsi in maniera insidiosa all’interno della nostra Repubblica, voltandole le spalle, puntando esplicitamente al separatismo, o addirittura alla secessione, il tutto con la nostra complicità attiva o passiva”. Per una parte della sinistra, questo nuovo popolo è anche un nuovo elettorato. Essa accarezza il rifiuto dell’integrazione in nome dell’antirazzismo e si spinge fino ad abbracciare la giudeofobia che dilaga nei quartieri cosiddetti “popolari” da quando i più anziani li hanno lasciati. Qualche anno fa, la scrittrice Léonora Miano disse in televisione: “Avete paura di essere minoritari a livello culturale, non abbiate paura di ciò che accadrà, l’Europa sta per cambiare”. La sinistra, un tempo laica e repubblicana, punta ora su questa trasformazione. Spera che, grazie al nuovo popolo, potrà un giorno andare al potere in una Francia libera dalla Francia e libera dall’Europa.
Quali sono le radici filosofiche dell’autodenigrazione e dell’odio verso sé stessi?
Questo odio verso sé stessi è soprattutto un odio verso i nostri predecessori. Rispetto a noi, che ci battiamo per tutte le minoranze oppresse, loro sono necessariamente sessisti, razzisti, omofobi o tutte e tre le cose allo stesso tempo. Non leggiamo più per imparare, ma per eliminare i pregiudizi che i nostri poveri classici non sono riusciti a superare. La nostra epoca, che si vanta di combattere senza sosta l’etnocentrismo, sta cedendo all’etnocentrismo del presente. Occidente deriva dal latino occidere, che significa “tramontare” (in riferimento al sole). Nel corso del tempo, occidente è diventata una parola polivalente, una nozione vaga. Corrisponde più a un’idea o a un concetto piuttosto che a un luogo geografico. Qual è la sua definizione di occidente?
La mia definizione non è solo mia. L’ho presa in prestito da un filosofo oggi dimenticato, Éric Weil – mi rifugio dietro illustri pensatori! “Da quando i filosofi greci e i profeti ebrei si sono chiesti cosa fosse la giustizia e non cosa dettassero i costumi del loro tempo, la nostra tradizione non è mai più stata capace, e non lo sarà mai più se vuole mantenere il suo vero valore e non solo la sua forza materiale, di dire con la coscienza pulita: ‘Questo è giusto perché è il nostro modo di fare’. Ha sempre detto e non smetterà mai di dire di dire: ‘Dov’è il Bene che possiamo servire?’ (…). La nostra tradizione è la tradizione che mette costantemente in discussione la propria validità (…), che in ogni momento del suo destino storico ha dovuto decidere e continuerà a dover decidere cosa dobbiamo fare per avvicinarci alla verità, alla giustizia e alla saggezza. È la tradizione che non si accontenta della tradizione”.
Quali sono i legami tra la nostra crisi di civiltà e il crollo del cristianesimo in Europa?
Tra il cristianesimo e noi c’è stato l’umanesimo, ossia il principio secondo il quale è attraverso il confronto con i grandi testi che la mente ritrova sé stessa. “Nel Medioevo”, scrive Milan Kundera (in “Un occidente prigioniero o la tragedia dell’Europa centrale”, del 1983, ndr), “l’Europa si fondò su una religione comune. Nei Tempi moderni, quando il Dio medioevale si trasformò in Deus absconditus, la religione cedette il posto alla cultura, che divenne la realizzazione dei valori supremi attraverso i quali l’Europa si concepiva, si definiva, trovava un’identità”. Come risultato di ciò che Tocqueville chiamava “lo sviluppo graduale dell’uguaglianza delle condizioni”, la cultura a sua volta cede il passo al “qualsiasi cosa è cultura”. Nulla è superiore a nulla. Qualsiasi gerarchia è considerata antidemocratica. Ogni trascendenza è contestata. A ciascuno il suo: questa è la formula del nostro deserto spirituale.
La deriva illiberale è di sinistra ed è di destra, va combattuta sempre
dall’intervento di Bari Weiss, fondatrice e direttrice del sito di informazione e d’opinione The Free Press, alla conferenza dell’Alliance for Responsible Citizenship – Londra – 18 febbraio 2025
Non parlo solo agli storici – e ce ne sono molti a questa conferenza – ma a persone che hanno un senso del passato. Persone che conoscono il passato recente non soltanto come osservatori, persone come voi, che lottate instancabilmente con le vostre parole e le vostre idee per plasmare il nostro presente e il nostro futuro. Spero quindi che mi perdonerete se tornerò indietro per capire come siamo arrivati qui. E’ la storia di come un movimento politico possa perdere la direzione a una velocità vertiginosa, e un ammonimento su dove potremmo essere diretti.
Qualche anno fa, quasi tutti i millennialin quasi tutti i posti più importanti dell’America hanno deciso che i dipartimenti di polizia discendevano dai guardiani degli schiavi. Così ci è stato detto che dovevamo abolire la polizia. Dovevamo abolire le prigioni. Dicevano che l’esistenza stessa dell’America era un crimine. Che dovevamo fare i ringraziamenti alla nostra terra prima di ogni riunione e dichiarare il nostro genere sessuale nelle firme delle nostre e-mail. Dicevano che la decrescita e il socialismo erano l’unica strada da percorrere e che troppi figli avrebbero ucciso il pianeta. Dicevano che Marx, che nessuna di queste persone si prendeva la briga di leggere, doveva essere venerato e che i nostri fondatori, che non avevano alcun interesse al di fuori di uno spettacolo di Broadway, dovevano essere vilipesi. Ci sono state delle rivolte. Hanno abbattuto le statue. Ciò che non è stato rinominato è stato trasformato completamente dall’interno. Alla fine la gente si è stancata di questa follia. Le persone normali, quelle che decidono alle elezioni, hanno messo i loro limiti. Ma in America le elezioni si tengono ogni quattro anni. Nel frattempo, questo movimento ha distrutto più cose di quante sia possibile elencare in un solo discorso. Ha preso di mira le nostre più grandi aziende, i nostri media, le nostre università, le nostre facoltà di medicina, le nostre facoltà di legge, i nostri ospedali, i nostri governi locali, le nostre scuole elementari. Le nostre amicizie. Le nostre famiglie. Il nostro linguaggio. Hanno estromesso persone valide per falsi reati di pensiero e hanno cercato di rovinare le loro reputazioni e le loro vite. Molti di coloro che si sono rifiutati pubblicamente – tutti eroi – sono presenti in questa sala. Ma altri sono finiti sotto terra o hanno abbandonato la vita pubblica, traumatizzati dall’esperienza del rogo delle streghe.
L’altra cosa che ha distrutto, almeno per il momento, è stato il Partito democratico.Èdiventato irriconoscibile. La candidata democratica alla presidenza ha promesso per iscritto all’American Civil Liberties Union che la sua Casa Bianca avrebbe pagato gli interventi chirurgici per cambiare sesso agli immigrati clandestini in carcere per crimini violenti. Si è distaccata completamente dalla realtà.
In una riga: è successo che l’estrema sinistra ha distrutto il centrosinistra in America.
E così, pochi mesi fa, gli americani hanno scelto Donald Trump – che pochi anni prima aveva perso le elezioni per circa otto milioni di voti – come loro presidente. La sinistra ha perso la testa e Trump è stata la reazione più ovvia. Il presidente ha vinto il voto popolare per la prima volta in 20 anni e i repubblicani ora controllano ogni ramo del governo. Trump gode di uno dei suoi più alti indici di gradimento di sempre. Guardando indietro, sembra tutto così chiaro, una reazione del tutto inevitabile. Ma mentre accadeva – e ancora oggi alcuni si aggrappano a questa idea – i furbi sostenevano che si trattava soltanto di una frangia, di alcune voci bizzarre, probabilmente molte delle quali bot, online: non sarebbe mai riuscito a costruire un vero potere politico. Ora sappiamo quanto si sbagliavano.
Che cosa possiamo imparare da questa storia recente?Be’, un grande insegnamento è che se un movimento politico non controlla i suoi ranghi, non traccia linee di demarcazione, se trascura di proteggere i suoi confini, se non difende i suoi valori sacri, non può durare a lungo. Quali sono questi valori? Comprendono lo stato di diritto. La fiducia nei diritti inalienabili di ogni individuo. Che siamo tutti creati a immagine e somiglianza di Dio e che è questo – e non la nostra etnia o il nostro quoziente intellettivo – a darci il nostro valore e a renderci tutti uguali. È un rifiuto della violenza mafiosa. È l’idea che l’occidente sia buono e che l’America sia buona, e che ci meritiamo i nostri eroi insieme a tutta la nostra complessa storia. Questi valori non sono di destra o di sinistra. Sono fondamentali. Sono di civiltà. E hanno sempre richiesto una costante vigilanza per essere preservati. Se non siete consapevoli dei pericoli che derivano da un’apparente vittoria, se pensate che sia impossibile, credo che siate ingenui come i professori di Harvard che ancora mi mandano email per dirmi: “Riesci a credere a quello che sta succedendo?”.
A cosa assomiglia questo gruppo,che si differenzia dal resto della destra per il suo aperto abbraccio all’illiberalismo? Assomiglia molto all’estrema sinistra. Questo gruppo dice che siamo in guerra, una guerra qui a casa nostra, e che poiché è una guerra, poiché la posta in gioco è la vita o la morte, le normali regole del gioco devono essere sospese. Dicono che chi non è d’accordo è uno squilibrato o un traditore o è sempre stato segretamente di sinistra. Oppure li accusano di essere conservatori o repubblicani solo di nome, che è una versione della “falsa coscienza” stigmatizzata dai marxisti. Dicono che non è sufficiente tornare alla normalità – che tornare alla normalità non è un’opzione – e che invece è il momento di dare all’altra parte un assaggio della loro stessa medicina. Dicono che siamo stati trattati in modo crudele. E quindi la crudeltà è la risposta necessaria. Dicono che ciò che stiamo cercando di conservare è già stato distrutto e forse non è mai esistito. Dicono che la riforma è una strategia da perdenti e che bisogna bruciare tutto.
Come l’estrema sinistra, non hanno alcun uso della storia,ma giudicano persone vive e morte alla luce ideologica del presentismo, o semplicemente le reimmaginano da zero. Come la sinistra ha deturpato e profanato le statue di Churchill, i vandali di destra profanano il suo nome e la sua memoria.
Ancora una volta, è una questione di confini. In questo caso, cancellano attivamente la linea di demarcazione tra il bene e il male, e tra il passato e il presente, guardando all’indietro verso un luogo in cui “le cose sono andate male”, come se fosse possibile riportare indietro l’orologio. Mentre la sinistra, a lungo solidale con Stalin, oggi simpatizza con i nazisti moderni sotto forma di Hamas, questa nuova destra elogia quelli originali. E riabilitando Hitler non si limitano a demonizzare gli ebrei, ma demonizzano l’America, la Gran Bretagna e i milioni di persone che hanno combattuto e sono morte per preservare le nostre libertà.
Tutto questo mi sembra ovvio come l’idea che una ragazzanon possa diventare un ragazzo. Ma molte persone sembrano avere difficoltà a dire queste cose ad alta voce in questo momento. In parte è a causa della bile che ti viene data in cambio. In parte è perché molte delle cose che stanno accadendo in questo momento sembrano così belle, e le opportunità così grandi, che nessuno vuole fare la figura del guastafeste. In parte è perché molte delle persone disgustate dagli eccessi illiberali della passata Amministrazione, che amano la libertà, come noi, si trovano nel vecchio dilemma liberale che ha solcato la metà degli anni Sessanta.
Chi siamo noi per dire a quei ragazziche occupano la biblioteca che nessuno può imparare se fanno così? O che la pseudo-storia che stanno scoprendo, una “storia del popolo”, non è affatto storia, ma solo una lusinghiera estensione della loro politica attuale estesa al passato? In parte – e forse soprattutto – è perché siamo esseri umani. E gli esseri umani cercano il calore dell’essere in mezzo alla folla. Per tutte queste ragioni, c’è una forte tentazione di far finta di niente o, come fanno molti oggi, di accogliere tutto questo con un’alzata di spalle. Abbiamo la sensazione che sia troppo disgustoso per essere affrontato e che le bugie che vengono raccontate siano così grandi e così ovvie da risultare evidenti. E poi all’improvviso tuo cugino sedicenne ti dice che alle donne piace essere prese a schiaffi e che i nazisti sono stati solo fraintesi e che l’eugenetica ha soltanto una cattiva reputazione. So che non sembra mai un buon momento per combattere queste persone. Nessuno vuole essere vittima di bullismo online. Ogni volta che questi ragazzi vengono criticati, ti danno del venduto, del traditore, del doppiogiochista. Poiché hanno adottato la paranoia degli hippy boomer, insinueranno sempre che sei sul libro paga della Cia. O del Mossad. (A proposito, se qualcuno di voi è della Cia, vi prego di incontrarci: affittare un ufficio a Manhattan è estremamente costoso, soprattutto dopo che l’UsAid ha tagliato i nostri fondi).
Ma il tempo è come la fortuna. Si esaurisce più velocemente di quanto si pensi.(…)Quello che voglio dire è che questo è un momento raro e prezioso. I fenomeni da baraccone non resteranno nel loro tendone da circo. Si accaniranno su tutti noi, su tutti i presenti in questa sala. E lo faranno mentendo alla gente. Lo faranno ai vostri figli, ai vostri nipoti, ai vostri lettori, ai vostri elettori. E lo fanno per un motivo: demoralizzandoci, dicendo che probabilmente le cose sono già state salvate, diventano l’unica fonte di verità, anche se sono loro a dire le bugie.
I conservatori sanno soprattutto due cose: che il male è reale e che la nostra preziosa civiltà è umana e quindi fragile. Se abbiamo imparato qualcosa in quest’ultimo tumultuoso decennio, è che gli esseri umani ben determinati sono l’unica cosa che si frappone al disfacimento. Le persone sono le uniche a presidiare il confine tra la civiltà e i suoi nemici esterni e interni.
In attesa del Conclave che dovrà eleggere il nuovo papa, nella newsletter di questa settimana ci soffermiamo ancora sulla figura di papa Francesco proponendovi la testimonianza di due giovani siciliani, Giuseppe e Claudia, oggi marito e moglie, che l’hanno conosciuto in un frangente molto complicato della loro vita. La riprendiamo dall’articolo, pubblicato sul sito del movimento di Comunione e Liberazione, che vi invitiamo a leggere. È la storia di un’amicizia imprevedibile, una testimonianza che parla da sola per la sua semplicità e per la straordinaria intensità di vita che comunica.
«La parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino». Questa settimana apriamo la nostra newsletter domenicale con queste parole di papa Francesco tratte dalla sua lettera ai poeti, pubblicata l’anno scorso, di cui vi proponiamo la lettura. Fra i tanti testi possibili abbiamo scelto questa lettera per esprimere la nostra gratitudine per ciò che questo Papa è stato. Le sue sono parole che vanno dirette al cuore. La poesia e la letteratura diventano un aiuto formidabile «a capire me stesso, il mondo, ma anche ad approfondire il cuore umano». Fanno emergere un’esperienza «debordante», che spinge ad andare «oltre i bordi chiusi», a non addomesticare le inquietudini. «Raccogliete gli inquieti desideri che abitano il cuore dell’uomo – scrive ai poeti -, perché non si raffreddino e non si spengano». Allo stesso modo c’è l’invito a non «addomesticare il volto di Cristo, mettendolo dentro una cornice e appendendolo al muro». Significa «distruggere la sua immagine».
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Quanto scrive Francesco lo sentiamo particolarmente vicino perché esprime molto efficacemente lo spirito che ci ha sempre mosso nella proposta di un’iniziativa come il Mese Letterario. Come abbiamo sottolineato non si tratta di un’attività culturale o di divulgazione, né tantomeno è una forma di intrattenimento. Nel suo piccolo per tante persone è stata invece un’occasione per riscoprire la ricchezza umana che la letteratura può offrire oltre al valore della lettura come atto di libertà. In alcuni grandi scrittori e poeti abbiamo trovato quel fuoco che è alimentato dalle domande fondamentali sull’esistenza e da un desiderio di verità, di giustizia, di bellezza che non accetta di adeguarsi a qualche sistemazione accomodante. Tra parantesi ricordiamo che giovedì 8 maggio prenderà il via la quindicesima edizione del Mese Letterario. Per chi non si fosse ancora iscritto è possibile farlo a questo link dove trovate anche il programma degli incontri.
Tornando a papa Francesco, in questi giorni sono stati pubblicati parecchi articoli, alcuni davvero interessanti, sulla sua figura e sul suo pontificato. Qui vogliamo semplicemente segnalarvi un breve ricordo scritto dal cardinale Angelo Scola sul Corriere. «In questi giorni — più che interessarmi di analisi e bilanci del papato di Francesco, in ogni caso troppo prematuri — la domanda che si è aperta in me – osserva Scola – è stata: quale richiamo il Padre Eterno ha suggerito alla mia vita e per la mia conversione attraverso papa Francesco?». Ecco questa domanda descrive, prima di ogni analisi o considerazione, la posizione più vera per vivere questi giorni.
«L’uomo che vuole fare senza Dio, fallisce. Alla fine dei conti, arriva a fare esperienza di vuoto. Di vuoto di senso. Non riesce a costruire prospettive a lungo termine. In questa società post secolare l’uomo è rimasto con la fame dentro. Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Mi viene ora in mente l’Inquisitore dei Fratelli Karamazov, “dategli il pane e staranno bene!”. Diamo il pane, diamo la giustizia umana… tutte cose che abbiamo già visto. Poi l’uomo si accorge che resta affamato, alla ricerca di qualcosa che gli riempia la vita e il cuore. Lì la Chiesa deve intervenire con la sua proposta». A parlare così è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, in un’intervista davvero interessante pubblicata dal Foglio, che vi vogliamo proporre come lettura in occasione di questa Pasqua 2025. Un testo da leggere con grande attenzione che contiene passaggi illuminanti che vanno al cuore dei problemi di oggi. Nell’intervista Pizzaballa si sofferma sull’attuale situazione in Terra Santa, dove «niente tornerà più come prima», per passare poi alla crisi della Chiesa e al tema della fede. «Non dobbiamo temere i cambiamenti – sottolinea il patriarca -, non dobbiamo vivere di paura. Sta finendo un modello di Chiesa. Credo che Benedetto XVI l’abbia detto bene: sappiamo che sta finendo qualcosa ma non sappiamo come sarà dopo. Si definirà col tempo. Anche questa crisi, dunque, produrrà qualcosa. Le nostre valutazioni sono sempre molto umane, c’è la tentazione del potere, dei numeri, della visibilità. Ci sta anche, eh. Dobbiamo essere visibili. Ma non dobbiamo temere più di tanto questo, perché c’è anche Dio, c’è anche lo Spirito Santo. C’è la Chiesa che, attraverso la testimonianza di tante realtà, crea ancora qualcosa di buono. Non avrei troppa paura. Bisogna preoccuparsi, e lo ripeto, di essere autentici, genuini. La Chiesa non deve fare marketing: la Chiesa deve dire che non c’è niente di meglio nella vita che incontrare Gesù Cristo». Quello di Pizzaballa è anche un forte invito a riscoprire la differenza che il cristianesimo introduce nella vita dell’uomo e della società: «Il rischio – spiega – c’è sempre, sia nella Chiesa sia fuori dalla Chiesa, quello di non complicarsi la vita, di stare nell’ordinario, fatto di orizzonti normali, che stanno dentro una comprensione solo umana. Mentre invece l’incontro con Dio rompe sempre gli schemi e su questo il cristianesimo deve fare la differenza. Se non la fa, puoi avere anche tante chiese e belle basiliche, ma diventi irrilevante perché non hai niente di importante da dire».