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Fissiamo il Pensiero

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Habemus Papam

  • Data 10 Maggio 2025

L’elezione di papa Leone XIV è stata senza dubbio una sorpresa. Spiazzante e, quindi, salutare. Previsioni e congetture si sono dissolte in un attimo come neve al sole. Perciò in queste ore, prima di ogni altra considerazione, lasciamo soprattutto spazio alle sue parole. La Fondazione San Benedetto è nata dall’iniziativa di alcune persone affascinate dal carisma di don Luigi Giussani che ci ha educato a vedere nella Chiesa la continuità della presenza reale di Gesù risorto in mezzo a noi e a seguirla come un atto di realismo e di ragionevolezza. Poche settimane fa in un’intervista alla Rai il cardinale Prevost aveva sottolineato che il cuore della Chiesa non è nelle sue istituzioni, ma nella vita di comunione del suo popolo. Il papa è il custode e il fondamento di tale unità e, come tale, dal 2005, quando la San Benedetto è stata costituita, abbiamo sempre guardato prima a Benedetto XVI e poi a Francesco. Oggi il percorso continua con Leone XIV, al quale va tutto il nostro sostegno e che nel suo primo messaggio ha chiesto l’aiuto di tutti «a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro». «L’umanità – ha detto – necessita di Cristo come del ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore».
Di queste giornate ha colpito soprattutto il clima di attesa che prima il conclave e, dopo, l’elezione del papa hanno saputo creare andando ben al di là dell’ambito degli addetti ai lavori o dei cattolici praticanti. Un laico come Antonio Polito l’ha raccontato sul Corriere in un articolo che vi consigliamo di leggere: «In quell’ansia che ci ha preso mentre stavamo lì ad ascoltare la diretta di don Enrico (Mentana) come una litania laica, come un rosario televisivo, e ci chiedevamo ma quanto ci mettono, insomma qui si fa tardi come ieri, c’è da apparecchiare la cena e il cane vuole uscire, ma ciò nonostante non riuscivamo a staccarci dal comignolo, sta tutto il nostro smarrimento di popolo in cerca di un Padre. Che crediamo oppure no, abbiamo paura del vuoto. Abbiamo paura del nulla che ha preso il posto di Dio nei nostri cuori, per quanto ci sguazziamo dentro compiaciuti». Riemerge l’attesa o il desiderio di un oltre che non si accontenta di risposte a buon mercato. È in fondo la stessa attesa, lo stesso fuoco che bruciava nel cuore di Luigi Pirandello come ha potuto scoprire giovedì scorso chi (e sono stati davvero tanti come potete vedere dalle foto che seguono) ha partecipato alla prima serata del Mese Letterario con Valerio Capasa. Giovedì 15 si continua con Edoardo Rialti nell’incontro dedicato ai tragici greci Eschilo, Sofocle, Euripide.

 

I 20 anni della San Benedetto, il 29 maggio incontro a Palazzo Loggia

In occasione dei vent’anni di vita della Fondazione San Benedetto ci ritroviamo giovedì 29 maggio alle 17.30 nel Salone Vanvitelliano di Palazzo Loggia a Brescia. Oltre a essere un motivo per ringraziare chi ci ha accompagnato e sostenuto nel nostro percorso, l’incontro sarà soprattutto un’occasione di riflessione e di confronto sul ruolo dei corpi intermedi nella nostra società. Il professor Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, interverrà sul tema “Comunità intermedie, occasione per la politica”. Seguiranno le testimonianze di tre giovani che hanno costruito il loro percorso professionale e lavorativo con l’aiuto della San Benedetto, e un dialogo con i sindaci di Brescia che dal 2005 a oggi hanno potuto vedere come la fondazione ha operato ed è cresciuta. Per l’occasione è stato realizzato un libro che ripercorre sinteticamente questi 20 anni e che verrà distribuito a tutti i presenti all’incontro.
L’incontro è aperto a tutti sino a esaurimento posti e previa registrazione a questo link. Per ragioni di capienza strutturale il Salone Vanvitelliano non può ospitare più di 150 persone, pertanto una volta raggiunto tale numero di iscrizioni non sarà più possibile registrarsi.
Ecco il programma dell’incontro:


Il comignolo, il gabbiano e quel tempo sospeso

La tradizione della fumata bianca che costringe a guardare verso il Cielo. E la Chiesa ci tiene con il fiato sospeso per un evento certo ma sorprendente

di Antonio Polito

dal Corriere della Sera – 9 maggio 2025

Il bambino che salta felice sulle spalle del padre, manco avesse segnato la squadra del cuore. Gli occhi lucidi di migliaia di ragazzi, aguzzati per distinguere il bianco di quel fil di fumo nella luce accecante del tramonto. Il clamore. Le bandiere stars and stripes per una volta affratellate da quelle delle nazioni di tutto il mondo. Roma ha il suo nuovo vescovo, stavolta un prevosto, e sarà sempre il faro della Cristianità. È la ragione per cui è rimasta «eterna» anche dopo che la presero i bersaglieri.

A differenza del gabbiano, che si è goduto il suo quarto d’ora di celebrità al fianco del comignolo più famoso del mondo, per noi mortali l’attesa della fumata bianca è stata uno stress. Sintesi di una procedura così lenta che più lenta non si può, ci ha cambiato la percezione del tempo. Per un giorno solo, certo; ma anche così il risultato finale è un prodigio. Abituati come siamo allo scatto frenetico dei secondi digitali, quei lunghi minuti vuoti ci sono sembrati un’eternità. Come aveva intuito Einstein, il tempo è relativo: tutto dipende da quello che ci facciamo.

La Chiesa lo sa. Ha combattuto nei secoli per il controllo del tempo. E finché la vita si è svolta nelle campagne l’ha posseduto in esclusiva, ne ha avuto il monopolio: erano le campane dei monasteri a dare ordine alla realtà, a scandire una vita soggetta al ciclo delle stagioni e alla imprevedibilità della natura, e dunque alla necessità della preghiera. Poi arrivò il «tempo dei mercanti» a contenderle il primato; con la nascita dei borghi, gli orologi pubblici sostituirono il tempo misurabile delle faccende profane a quello dei chierici. La modernità cominciò così, e per la Chiesa niente è stato più come prima. Il problema che ha da allora di fronte è come adeguarsi al nuovo tempo senza che questo la possa sopraffare. Ieri, almeno per ventiquattr’ore, ci è riuscita. Che occasione offre infatti una «sede vacante»! Che modo sublime, l’attesa dello Spirito Santo, per ricordare a tutti noi a chi davvero appartiene il Tempo, chi ne è il vero e unico padrone!

Ho sempre pensato che la soluzione del comignolo e della fumata sia un’ingegnosa trovata per costringerci a guardare in alto, verso il Cielo. Cosa che, a differenza dei gabbiani, facciamo sempre meno. Ma in quell’ansia che ci ha preso mentre stavamo lì ad ascoltare la diretta di don Enrico (Mentana) come una litania laica, come un rosario televisivo, e ci chiedevamo ma quanto ci mettono, insomma qui si fa tardi come ieri, c’è da apparecchiare la cena e il cane vuole uscire, ma ciò nonostante non riuscivamo a staccarci dal comignolo, sta tutto il nostro smarrimento di popolo in cerca di un Padre. Che crediamo oppure no, abbiamo paura del vuoto. Abbiamo paura del nulla che ha preso il posto di Dio nei nostri cuori, per quanto ci sguazziamo dentro compiaciuti. Perciò, dal funerale di Francesco a oggi, non abbiamo potuto non dirci cristiani.

Ma la cosa sorprendente è che l’epoca più tecnologica e mediatica della storia dell’umanità si sia inchinata a questa procedura millenaria, rilanciandola e amplificandola anzi come un «meme» dell’eterno. È l’immutabile che prende il controllo dell’immediato. Un «Veni Creator Spiritus» planetario, di cui molti non ritenevano più capace la Chiesa ferita e incerta del Terzo millennio. E invece eccola qui, che non solo tiene l’urbe e l’orbe col fiato sospeso, seppur per aspettare un evento fausto che sicuramente si verificherà; ma riesce anche a sorprenderci col nome che non t’aspetti, con una scelta che ancora una volta varca l’oceano, proprio quando sembrava destinata a tornare italo-centrica.

Altro che «minoranza creativa». Nell’attesa di quella fumata bianca, affidata a 133 anziani cardinali rinchiusi senza telefonini e tablet davanti al Giudizio Universale di Michelangelo, la Chiesa di Roma è apparsa di nuovo un possente esercito di un miliardo e quattrocento milioni di fedeli; talmente influente che perfino Trump è accorso di recente ad onorarla, ricevendone in cambio, o in risposta, il primo Papa americano. Ma che viene un po’ anche dal Perù, che è un missionario e un agostiniano, e per il nome che si è scelto piacerà anche a Landini.

Non durerà tanto questo entusiasmo per la liturgia di noi laici disincantati, frettolosi e spesso cinici: lo sappiamo. Pochi giorni, e il «blob» della contemporaneità ci inghiottirà di nuovo nel tempo digitale, al ritmo sincopato dei «talent» e di Tiktok. Ma se a ogni morte di Papa il miracolo si ripete, vorrà pur dire qualcosa. Perciò welcome, Leone. Puoi essere l’annuncio di «Rerum novarum».

Tag:Chiesa, Papa Leone XIV

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piergiorgio

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Un’amicizia imprevedibile
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In attesa del Conclave che dovrà eleggere il nuovo papa, nella newsletter di questa settimana ci soffermiamo ancora sulla figura di papa Francesco proponendovi la testimonianza di due giovani siciliani, Giuseppe e Claudia, oggi marito e moglie, che l’hanno conosciuto in un frangente molto complicato della loro vita. La riprendiamo dall’articolo, pubblicato sul sito del movimento di Comunione e Liberazione, che vi invitiamo a leggere. È la storia di un’amicizia imprevedibile, una testimonianza che parla da sola per la sua semplicità e per la straordinaria intensità di vita che comunica.  

«Non addomesticate le vostre inquietudini», ricordando Francesco
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«La parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino». Questa settimana apriamo la nostra newsletter domenicale con queste parole di papa Francesco tratte dalla sua lettera ai poeti, pubblicata l’anno scorso, di cui vi proponiamo la lettura. Fra i tanti testi possibili abbiamo scelto questa lettera per esprimere la nostra gratitudine per ciò che questo Papa è stato. Le sue sono parole che vanno dirette al cuore. La poesia e la letteratura diventano un aiuto formidabile «a capire me stesso, il mondo, ma anche ad approfondire il cuore umano». Fanno emergere un’esperienza «debordante», che spinge ad andare «oltre i bordi chiusi», a non addomesticare le inquietudini. «Raccogliete gli inquieti desideri che abitano il cuore dell’uomo – scrive ai poeti -, perché non si raffreddino e non si spengano». Allo stesso modo c’è l’invito a non «addomesticare il volto di Cristo, mettendolo dentro una cornice e appendendolo al muro». Significa «distruggere la sua immagine».

foto rawpixel.com

Quanto scrive Francesco lo sentiamo particolarmente vicino perché esprime molto efficacemente lo spirito che ci ha sempre mosso nella proposta di un’iniziativa come il Mese Letterario. Come abbiamo sottolineato non si tratta di un’attività culturale o di divulgazione, né tantomeno è una forma di intrattenimento. Nel suo piccolo per tante persone è stata invece un’occasione per riscoprire la ricchezza umana che la letteratura può offrire oltre al valore della lettura come atto di libertà. In alcuni grandi scrittori e poeti abbiamo trovato quel fuoco che è alimentato dalle domande fondamentali sull’esistenza e da un desiderio di verità, di giustizia, di bellezza che non accetta di adeguarsi a qualche sistemazione accomodante. Tra parantesi ricordiamo che giovedì 8 maggio prenderà il via la quindicesima edizione del Mese Letterario. Per chi non si fosse ancora iscritto è possibile farlo a questo link dove trovate anche il programma degli incontri. 
Tornando a papa Francesco, in questi giorni sono stati pubblicati parecchi articoli, alcuni davvero interessanti, sulla sua figura e sul suo pontificato. Qui vogliamo semplicemente segnalarvi un breve ricordo scritto dal cardinale Angelo Scola sul Corriere. «In questi giorni — più che interessarmi di analisi e bilanci del papato di Francesco, in ogni caso troppo prematuri — la domanda che si è aperta in me – osserva Scola – è stata: quale richiamo il Padre Eterno ha suggerito alla mia vita e per la mia conversione attraverso papa Francesco?». Ecco questa domanda descrive, prima di ogni analisi o considerazione, la posizione più vera per vivere questi giorni.      

Alla fine di un mondo
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«L’uomo che vuole fare senza Dio, fallisce. Alla fine dei conti, arriva a fare esperienza di vuoto. Di vuoto di senso. Non riesce a costruire prospettive a lungo termine. In questa società post secolare l’uomo è rimasto con la fame dentro. Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Mi viene ora in mente l’Inquisitore dei Fratelli Karamazov, “dategli il pane e staranno bene!”. Diamo il pane, diamo la giustizia umana… tutte cose che abbiamo già visto. Poi l’uomo si accorge che resta affamato, alla ricerca di qualcosa che gli riempia la vita e il cuore. Lì la Chiesa deve intervenire con la sua proposta». A parlare così è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, in un’intervista davvero interessante pubblicata dal Foglio, che vi vogliamo proporre come lettura in occasione di questa Pasqua 2025. Un testo da leggere con grande attenzione che contiene passaggi illuminanti che vanno al cuore dei problemi di oggi. Nell’intervista Pizzaballa si sofferma sull’attuale situazione in Terra Santa, dove «niente tornerà più come prima», per passare poi alla crisi della Chiesa e al tema della fede. «Non dobbiamo temere i cambiamenti – sottolinea il patriarca -, non dobbiamo vivere di paura. Sta finendo un modello di Chiesa. Credo che Benedetto XVI l’abbia detto bene: sappiamo che sta finendo qualcosa ma non sappiamo come sarà dopo. Si definirà col tempo. Anche questa crisi, dunque, produrrà qualcosa. Le nostre valutazioni sono sempre molto umane, c’è la tentazione del potere, dei numeri, della visibilità. Ci sta anche, eh. Dobbiamo essere visibili. Ma non dobbiamo temere più di tanto questo, perché c’è anche Dio, c’è anche lo Spirito Santo. C’è la Chiesa che, attraverso la testimonianza di tante realtà, crea ancora qualcosa di buono. Non avrei troppa paura. Bisogna preoccuparsi, e lo ripeto, di essere autentici, genuini. La Chiesa non deve fare marketing: la Chiesa deve dire che non c’è niente di meglio nella vita che incontrare Gesù Cristo». Quello di Pizzaballa è anche un forte invito a riscoprire la differenza che il cristianesimo introduce nella vita dell’uomo e della società: «Il rischio – spiega – c’è sempre, sia nella Chiesa sia fuori dalla Chiesa, quello di non complicarsi la vita, di stare nell’ordinario, fatto di orizzonti normali, che stanno dentro una comprensione solo umana. Mentre invece l’incontro con Dio rompe sempre gli schemi e su questo il cristianesimo deve fare la differenza. Se non la fa, puoi avere anche tante chiese e belle basiliche, ma diventi irrilevante perché non hai niente di importante da dire». 

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