I laureati, la fotografia del paese e la sfida della formazione
Pochi giorni fa è stato presentato il Rapporto annuale Almalaurea che analizza il profilo e la condizione occupazionale dei laureati in Italia. Si tratta dell’analisi più autorevole e documentata sul tema a livello nazionale. «Ci consegna un quadro problematico sullo stato dell’università italiana», sottolinea l’economista Patrizio Bianchi, già ministro dell’Istruzione nel governo Draghi, in un intervento sul Sole 24Ore che vi invitiamo a leggere. L’immagine che ne esce è quella di un paese che «si assesta su una qualità bassa delle competenze, accomodato nella funzione di inseguitore, o meglio ben chiuso dentro le proprie nicchie di sopravvivenza».
Dal rapporto emergono dati come l’età molto elevata dei neolaureati italiani che arrivano a ben 27 anni e mezzo per veder completato il proprio percorso di studi con la magistrale e a 24 anni e mezzo con la triennale. Poi c’è il nodo irrisolto degli stipendi bassi che spinge molti giovani a lasciare l’Italia per spostarsi all’estero dove i laureati percepiscono il 54% in più rispetto a quanto percepito nel nostro paese dopo un anno dalla laurea. Questioni non certo nuove ma che negli ultimi anni sembrano essersi accentuate. È il caso della divaricazione fra insegnamenti impartiti dalle università e bisogni dichiarati dalle imprese. Non a caso diverse aziende, ricorda Bianchi, «stanno facendo crescere proprie academy per formare e raffinare le competenze a loro necessarie». A Brescia abbiamo l’esempio del Gruppo Camozzi che già da tempo ha intrapreso questa strada. Per Bianchi «in questa situazione l’università e tutto il sistema educativo italiano debbono assumere come obiettivo la formazione di persone solide, in grado di gestire processi di trasformazione strutturale, assumendosene le dovute responsabilità». Un campo in cui l’Europa deve diventare protagonista. «È tempo di porre sul tavolo dell’Unione – scrive Bianchi – un “Euro dell’educazione”, cioè una grande politica unitaria europea, che possa fare delle politiche educative e scolastiche, cioè dell’investimento sulle nostre persone, il principale asse di una nuova politica industriale».
Giovedì alla Poliambulanza incontro sul genetista Jérôme Lejeune
Giovedì 26 giugno alle 18 nella sala convegni della Poliambulanza in via Bissolati a Brescia invitiamo a partecipare all’incontro di presentazione del libro di Aude Dugast «JÉRÔME LEJEUNE. La libertà dello scienziato». Insieme a Dugast interverrà Chiara Locatelli, responsabile dell’unità operativa Comfort care perinatale e assistenza al neonato con malformazioni congenite del Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna. Introduzione di Mario Taccolini, presidente di Fondazione Poliambulanza. A moderare l’incontro sarà Benedetta Allais, neonatologa della Poliambulanza. Aude Dugast è filosofa e postulatrice della causa di canonizzazione del genetista e pediatra francese Jérôme Lejeune e autrice di una nuova biografia sulla sua vita.
A Lejeune, dichiarato venerabile nel 2021 da Papa Francesco, dobbiamo in particolare la scoperta della trisomia del cromosoma 21 come causa della sindrome di Down. Ha sostenuto instancabilmente i suoi «piccoli pazienti» e le loro famiglie mettendo cuore e intelligenza nella ricerca di una possibile cura alla disabilità intellettiva da cui sono affetti. L’incontro è promosso dall’istituto ospedaliero bresciano nell’ambito del ciclo «I giovedì dei libri in Poliambulanza».
Online il video sui vent’anni della San Benedetto
A questo link potete rivedere il video dell’incontro che si è svolto lo scorso 29 maggio a Brescia, nel Salone Vanvitelliano di palazzo Loggia in occasione dei vent’anni della Fondazione San Benedetto.
Università, lavoro, stipendi: serve una politica europea
La presentazione del XXVII Rapporto di Almalaurea, il consorzio che riunisce 82 atenei italiani, sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati in Italia, ci consegna un quadro problematico sullo stato dell’Università italiana. Pur segnalando i passi in avanti, molti problemi permangono, come l’elevata età dei laureati, che in media si assesta sui 24,5 anni per una laurea triennale e 27,5 per i laureati magistrali, che rispettivamente dovrebbero essere pronti per il mercato del lavoro almeno due anni prima. Questi ritardi si spiegano perché solo il 58-59% dei laureati ha seguito regolarmente il percorso di studi stando entro i tempi previsti, tempi entro cui stanno solo i figli di laureati, segnalando come stia tornando rilevante l’estrazione della famiglia, con ineguaglianze crescenti: le donne pur avendo esiti scolastici migliori degli uomini, scontano ancora maggiori problemi nell’inserimento lavorativo e riemerge un’ineguaglianza territoriale, con una corrente che dal Sud spinge verso il Nord, portando i migliori laureati ad impiegarsi non solo nelle regioni italiane del settentrione, ma da queste ancora più su, verso gli altri Paesi europei.
Nonostante nella fascia 25-34 anni l’offerta di laureati in Italia sia ferma al 31,6% – solo prima della Romania in fondo alla classifica europea – colpisce il fatto che il valore medio degli stipendi in Italia sia così basso. A parità di livello educativo, all’estero i laureati percepiscono il 54% in più rispetto a quanto percepito in Italia dopo un anno dalla laurea e lo stipendio si attesta al 62% per i laureati da 5 anni. Elemento questo, che assieme ad una serie di motivazioni legate alle condizioni di lavoro e di carriera, spiega perché tuttora i nostri migliori laureati – quelli su cui il nostro Paese ha investito per almeno 10 anni tra scuole superiori ed università – siano così attratti dal varcare i nostri confini e – come ci spiega Almalaurea – solo il 15% ritenga probabile un rientro in Italia. Colpisce inoltre che la retribuzione mensile netta per un laureato triennale e per un laureato magistrale, cioè con i due anni di specializzazione, sia pressoché identico: ad un anno dalla laurea, 1.492 euro il primo ed addirittura 1.488 il secondo, testimoniando come il mercato del lavoro non riconosca alle lauree magistrali nessun valore aggiunto in più rispetto alla triennale. Del resto il dottorato di ricerca non sembra neppure essere rilevato ai fini dell’impiego in attività produttive.
La presentazione del Rapporto Almalaurea si è però concentrata particolarmente sul mismatch fra insegnamenti impartiti dalle università e bisogni dichiarati dalle imprese. Tuttavia questa divaricazione nella qualità delle competenze offerte dalle università e quelle richieste dalle imprese è destinata ad accrescersi per il vortice dei cambiamenti tecnologici in corso a confronto con la crescente instabilità ed incertezza dei nostri tempi. Le imprese dal canto loro stanno facendo crescere proprie academy per formare e raffinare le competenze a loro necessarie. In questa situazione l’università e tutto il sistema educativo italiano debbono assumere come obiettivo la formazione di persone solide, in grado di gestire processi di trasformazione strutturale, assumendosene le dovute responsabilità, rafforzando le competenze di base delle rispettive aree disciplinari, ma garantendo di più esperienze di confronto con altri percorsi lavorativi e culturali in Italia ed all’estero.
L’immagine che emerge da questo Rapporto è quella di un Paese che si assesta su una qualità bassa delle competenze, accomodato nella funzione di inseguitore, o meglio ben chiuso dentro le proprie nicchie di sopravvivenza, a fronte di turbolenti contesti globali, in cui tutta Europa si sente schiacciata fra un colosso americano in crisi – così almeno lo descrive il suo stesso Presidente – ed una Cina che è molto cambiata rispetto al passato. È necessario che imprese, università e scuole imparino ad interagire di più a livello territoriale, remunerando e valorizzando le competenze. È tempo di porre sul tavolo dell’Unione un “Euro dell’educazione”, cioè una grande politica unitaria europea, che possa fare delle politiche educative e scolastiche, cioè dell’investimento sulle nostre persone, il principale asse di una nuova politica industriale. Per questa Europa è giunta l’ora delle decisioni e questa è una via ineludibile.