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Un’alternativa europea alla legge del più forte

  • Data 4 Ottobre 2025

La gravissima situazione della Terra Santa, la guerra in Ucraina che non accenna a fermarsi, sono solo i due scenari più esplosivi per il loro carico di violenza insensata, morte e distruzione, alle porte di casa nostra, senza dimenticare quanto sta accadendo purtroppo in molti altri angoli del mondo dall’Africa ad Haiti, per arrivare al Myanmar, e di cui non si parla mai. Non è il tempo delle polemiche. Soffiare sul fuoco delle contrapposizioni in questa situazione è quanto di più sterile si possa fare. Diventano armi di distrazione di massa che impediscono di considerare le emergenze reali a cominciare da quelle delle popolazioni indifese che da Gaza a Kiev subiscono gli effetti della violenza. E la prima emergenza adesso è la costruzione della pace. Ci riconosciamo totalmente nel giudizio espresso nel volantino «La speranza della pace» diffuso in questi giorni da Comunione e Liberazione che vi invitiamo a leggere e che trovate sotto.   In tale contesto, crediamo che il compito dell’Europa, ancor di più oggi, sia decisivo per dar corpo a percorsi alternativi che non siano basati sulla legge del più forte. Come ha più volte sottolineato anche nelle ultime settimane il presidente Mattarella si tratta di «fare l’Europa per superare la logica del conflitto e delle guerre, per evitare l’oppressione dell’uomo sull’uomo, per ribadire la dignità di ogni essere umano, di ogni persona». Oggi questa è l’unica strada praticabile che abbiamo di fronte per dare un futuro alle nostre democrazie. Su questo come Fondazione San Benedetto proporremo nei prossimi mesi iniziative specifiche. Certamente l’Europa si trova di fronte a un bivio ineludibile: procedere verso una progressiva decadenza diventando irrilevante e tradendo le grandi promesse da cui era nata, oppure ritrovare una propria identità originale alternativa alle autocrazie che oggi dominano il mondo. Su questi temi vi invitiamo a leggere, come spunto di riflessione, l’articolo di Allister Heath, editorialista del quotidiano britannico The Telegraph.

Da Francesco a Leone, il 24 ottobre dialogo con Andrea Tornielli 

Venerdì 24 ottobre alle 18.30, a Brescia nella Sala convegni della Poliambulanza, in via Bissolati 57, la Fondazione San Benedetto propone un incontro-dialogo con Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, sul tema «Da Papa Francesco a Papa Leone, le nuove sfide per la Chiesa». Sarà un’occasione straordinaria per dialogare anche attraverso le domande del pubblico sul momento attuale della vita della Chiesa. La partecipazione è aperta a tutti previa registrazione a questo link e sino ad esaurimento posti.


La speranza della pace

La situazione in Terra Santa, ma anche nell’Est dell’Europa e in tanti luoghi del mondo segnati da guerre e persecuzioni. Un volantino di Comunione e Liberazione riprende la domanda del Papa: «Da cristiani, oltre a sdegnarci, ad alzare la voce e a rimboccarci le maniche per essere costruttori di pace e favorire il dialogo, che cosa possiamo fare?»

UNA VIOLENZA INACCETTABILE

Ciò che sta avvenendo in Terra Santa riempie il cuore di dolore e struggimento per il popolo palestinese, vittima di un vero e proprio massacro, di una «violenza inaccettabile» (CEI, 24 settembre 2025); per gli ostaggi ancora nelle mani dei terroristi di Hamas, e per tutti coloro che sono coinvolti negli scontri. Inoltre, arrivano notizie sempre più allarmanti dai Paesi confinanti con la Russia, a cominciare dalla martoriata Ucraina, e da tanti altri luoghi del mondo, segnati da guerre e persecuzioni.

Come ha sottolineato papa Leone XIV, assistiamo «all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi. È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza». Questo pone interrogativi urgenti: «Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? […] Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta?» (26 giugno 2025).*

Oggi più che mai, in un contesto che sembra refrattario a ogni appello, occorre sostenere qualunque iniziativa diplomatica per riaprire spiragli di dialogo, di negoziato, di confronto tra le parti: la pace vale ogni sforzo possibile.

«LE FORZE CHE MUOVONO LA STORIA SONO LE STESSE CHE RENDONO L’UOMO FELICE»

La situazione della popolazione di Gaza ha ferito la coscienza di molti, perché nel cuore di ciascuno abita il desiderio della giustizia e della pace. Purtroppo questo desiderio positivo si riduce spesso a una buona intenzione, confusa nelle prospettive e quindi facilmente strumentalizzabile. Le tensioni e i gravi disordini che si sono verificati in numerosi contesti dimostrano ancora una volta l’evidente contraddizione insita nella pretesa di chiedere la pace con l’ideologia e la violenza.

Ma la pace esige di essere costruita ogni giorno, cominciando dal basso, iniziando cioè a viverla là dove si è, perfino in contesti di guerra, affinché innervi con le opere il tessuto sociale e diventi cultura, fino a investire le relazioni tra Stati. Diceva don Giussani: «Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice». Come chiunque può verificare nella propria quotidianità, in famiglia o al lavoro, è solo nella pace che possiamo fare un’esperienza compiuta di libertà, di vera fecondità; altrimenti quegli stessi luoghi diventano soffocanti e inospitali. La ricerca della pace chiede il riconoscimento di un orizzonte più grande, di un’origine e di un destino comune da cui dipendiamo: è un riconoscimento possibile a tutti, al quale occorre educarci instancabilmente.

LA PREGHIERA E LA TESTIMONIANZA DELL’UNITÀ

Facciamo nostra la domanda del Papa: «Da cristiani, oltre a sdegnarci, ad alzare la voce e a rimboccarci le maniche per essere costruttori di pace e favorire il dialogo, che cosa possiamo fare?».

La preghiera è la prima risposta indicata dal Santo Padre, che ci invita a recitare il Rosario per la pace ogni giorno del mese di ottobre e a «fare di ogni tragica notizia e immagine che ci colpisce un grido di intercessione a Dio», che è Padre di tutti e ci rende dunque fratelli e sorelle. La preghiera converte i cuori e apre alla speranza. Per questo Comunione e Liberazione ha aderito alla veglia del 22 settembre con altri movimenti e comunità ecclesiali e parteciperà con loro alla recita del Rosario che il Pontefice guiderà in piazza San Pietro l’11 ottobre.

«Ma c’è di più», ha aggiunto papa Leone: «C’è la testimonianza. […] Guardiamo Gesù, che ci chiama a risanare le ferite della storia con la sola mitezza della sua croce gloriosa, da cui si sprigionano la forza del perdono, la speranza di ricominciare». Da cristiani, desideriamo immedesimarci con Cristo, che per vincere l’odio del mondo ha accettato il sacrificio della Croce richiesto dal Padre.

Una testimonianza che in questo frangente commuove e conforta per la sua radicalità è quella offerta dai religiosi che vivono a Gaza: nonostante l’ordine di evacuazione emesso dal governo israeliano, hanno deciso di non abbandonare quelle terre. Per il parroco di Gaza, le suore e gli altri religiosi che rimangono nella Striscia, ciò implica accettare il rischio di morire. Perché allora restare? Per continuare a prendersi cura di chi soffre e non è nelle condizioni di fuggire: è quanto espresso nella Dichiarazione congiunta dei Patriarcati Greco Ortodosso e Latino di Gerusalemme (26 agosto 2025). Dinanzi alla croce, si impone l’unità della Chiesa, segno per il mondo dell’unità cui sono chiamati tutti i popoli.

È questa la prima testimonianza con cui anche noi, nelle nostre case e nelle nostre città, ogni giorno possiamo contribuire alla strada verso la pace: servire la dignità della persona e il bene comune, anche quando ciò richiede di dire parole scomode o controcorrente, anzitutto vivendo la comunione, l’unità con tutti i cristiani generata da Cristo, documentando che un’esperienza di concordia e di accoglienza è possibile, pur dentro tutti i limiti e le diversità. Questo introduce una novità, una speranza di cui tutti abbiamo bisogno.

COMUNIONE E LIBERAZIONE

* Tutte le citazioni di papa Leone XIV qui presenti sono tratte da questo testo.


La vacanza dell’Europa dalla storia è finita

Le nazioni stanno scivolando sempre più verso l’irrilevanza e l’impotenza. L’incapacità dell’Europa occidentale di reinventarsi e riorganizzarsi – economicamente, militarmente e socialmente – dopo l’invasione di Putin incarna la nostra decadenza, scrive il Telegraph

«L’Europa, il continente che ha dato al mondo la democrazia, la Pax romana, il Rinascimento, i grandi esploratori, gli ideali libertari dell’Illuminismo scozzese, la Rivoluzione industriale e l’emancipazione dalla schiavitù, è ora lo zimbello del mondo» scrive Allister Heath sul Telegraph. «I nostri leader sono comparse nella storia della nostra spirale verso l’oblio, che ci assistono mentre corriamo verso il seppuku della civiltà. Le loro nazioni, un tempo grandiose, stanno scivolando sempre più rapidamente verso l’irrilevanza e l’impotenza, fallendo sotto ogni aspetto: economico, militare, morale, demografico, tecnologico e geopolitico. Hanno perso il rispetto del mondo, se non come meta per lo shopping, parco divertimenti o scuola di perfezionamento. Le patologie dell’Europa occidentale sono molteplici e si stanno metastatizzando in modo incontrollabile. Non siamo in grado di far crescere le nostre economie in modo significativo, in parte perché scegliamo di regolamentare e tassare tutto ciò che si muove. La nostra ossessione per l’azzeramento delle emissioni nette ha fatto salire i prezzi, ha portato l’industria alla bancarotta e ha impoverito le famiglie. Non possiamo più competere con le aziende statunitensi o cinesi, né promuovere un’imprenditorialità di livello mondiale. A volte paghiamo i pensionati più dei lavoratori, mentre infantilizziamo i giovani adulti costringendoli a campi di lavaggio del cervello che chiamiamo università e privandoli della loro indipendenza economica attraverso un mercato immobiliare in rovina e la manipolazione monetaria. Il nostro tasso di natalità è crollato».

«I nostri sistemi sanitari sono insostenibili. Abbiamo abbracciato un ingenuo antimilitarismo, rifiutandoci di riconoscere che la vacanza dell’Europa dalla storia è finita. Nonostante un pil combinato più di dieci volte superiore e una popolazione 3,7 volte superiore a quella della Russia, non possiamo aiutare Kyiv a sconfiggere il Cremlino. Continuiamo a dover implorare l’assistenza dell’America in modo indegno, avendo imparato le lezioni sbagliate dalla Guerra fredda. Non vedevamo l’ora di arrenderci ai grotteschi macellai antisemiti e stupratori di Hamas, che odiano l’occidente, dimostrando  l’ipocrisia del nostro discorso sui diritti umani. Abbiamo pervertito il meraviglioso ideale cosmopolita che è l’unità dell’anima umana, usandolo come arma per condannare i confini come razzisti e per globalizzare lo stato sociale. L’immigrazione di massa ha portato a fallimenti catastrofici dell’integrazione, alimentando settarismo, islamismo, criminalità  e una crisi di legittimità democratica. Con i nostri cervelli, annebbiati dalle ideologie marxiste e postmoderne, i nostri cuori oscurati dall’invidia e dall’odio atavico, le nostre anime divorate dall’insicurezza post cristiana, non vogliamo essere né Atene né Sparta, né Gerusalemme né Roma, né liberali né conservatori. Donald Trump ha deriso senza pietà la Gran Bretagna e l’Europa all’Onu, costringendo i nostri rappresentanti ad ascoltare in un silenzio imbarazzato. Molte delle frecciatine di Trump hanno centrato il bersaglio. L’incapacità dell’Europa occidentale di reinventarsi e riorganizzarsi – economicamente, militarmente e socialmente – dopo l’invasione di Putin incarna la nostra decadenza».

articolo ripreso da Il Foglio del 29 settembre 2025

Tag:Europa

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piergiorgio

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È la letteratura la vera educazione affettiva
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In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
8 Novembre, 2025

Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

Il Cristo di Manoppello e Sgarbi trafitto dalla bellezza
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«Nei mesi attuali di oscurantismo, immersi nell’orrore di Gaza, nella guerra in Ucraina, nell’oppressione della cronaca, anche personale, mi convinco che vi sia molto più Illuminismo cioè quella tendenza a invadere il reale di razionale – nel pellegrinaggio al Cristo di Manoppello che non nella realtà di oggi, che sembra imporci comportamenti irrazionali». Lo scrive Vittorio Sgarbi in un articolo sul settimanale «Io Donna» a proposito del Volto Santo di Manoppello, il velo che porta impressa l’immagine del volto di Gesù, custodito nella chiesa di un piccolo paese in provincia di Pescara. Una reliquia di origine misteriosa di fronte alla quale passa in secondo piano se sia l’impronta di un volto o un’immagine dipinta. Per Sgarbi «quel volto è il volto di Cristo anche se non è l’impronta del suo volto, perché è ciò che la nostra mente sente essere vero, non la verità oggettiva di quella cosa». Si dice trafitto dalla «sua bellezza, che splende più della sua verità, cioè della sua vera o presunta corrispondenza al volto del vero Gesù, “veramente” risorto». Ecco oggi l’esperienza di cui più la nostra vita ha bisogno è proprio questo essere feriti dal desiderio della bellezza. Solo questa esperienza può mobilitare ragione, intelligenza e volontà a prendere sul serio la nostra sete di infinito, spingendo a non accontentarsi di false risposte tanto comode quanto illusorie. E si può solo essere grati che a ricordarcelo sia un inquieto e un irregolare come Sgarbi.

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