• Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti
Email:
info@fondazionesanbenedetto.it
Fondazione San BenedettoFondazione San Benedetto
  • Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti

Fissiamo il Pensiero

  • Home
  • Fissiamo il Pensiero
  • Vietato dire «grasso», così muore l’intelligenza

Vietato dire «grasso», così muore l’intelligenza

  • Data 26 Febbraio 2023

di Nadia Terranova 

da La Stampa – 21 febbraio 2023

https://www.lastampa.it/editoriali/lettere-e-idee/2023/02/21/news/se_roald_dahl_non_puo_dire_grasso_abbiamo_rinunciato_allintelligenza-12653210/

Scrive Cristina Campo ne “Gli Imperdonabili” che nella fiaba il bambino comincia il suo viaggio iniziatico nel potere dei simboli. Il potere della parole, quindi, è fortissimo. In “Senza fate e senza maghi”, Natalia Ginzburg, prendendosela con i libri edulcorati, i libri “carini”, spende elogi per le fiabe piene di buio, di boschi e di lupi malvagi, perché consentono ai bambini di fare esperienza delle emozioni e della realtà. Le fiabe, scrive Ginzburg, sono i luoghi dove non esiste offesa. Queste due grandi scrittrici hanno avuto pensieri grandiosi e visionari per i più piccoli, trattando la letteratura destinata a loro con la serietà che merita. Invece, periodicamente, torna in forma banalizzata e mortificante la questione dei libri “offensivi” per bambini, ultima quella che riguarda Roald Dahl. Succede infatti che l’editore Puffin ha deciso, in accordo con gli eredi dello scrittore morto trent’anni fa, di riscriverne i libri, eliminando riferimenti al genere, alla razza, al peso, e cancellando parole come grasso, brutto, nano, affinché nessuno si senta offeso. Offensivo è un termine che di certo si può usare per alcune parole che troviamo nei libri per bambini. Peccato che il dito non sia mai puntato verso quelle giuste. Per esempio, pochi notano quanto sia offensivo rivolgersi a loro con parole come “bua” o “pappa”, che rimandano a una percezione del mondo infantile, basata sul presupposto che loro siano incapaci di comprendere un lessico quotidiano e semplice: parole in “bambinese”, una lingua inventata dagli adulti per sottolineare che le parole devono essere frullate o omogeneizzate, come certi cibi. Un’editrice molto brava di libri per l’infanzia mi disse una volta che nel suo catalogo mai sarebbe entrata la parola “puzzetta”: si poteva tranquillamente far ridere i bambini dicendo “scorreggia”, senza offendere la loro capacità di capire una parola usata da tutti.

Le parole oggi ritenute offensive sono quelle che enfatizzano gli aspetti di un personaggio, o di una categoria intera, con toni non lusinghieri. Stavolta tocca, fra gli altri, a chi viene descritto come grasso: non importa chi usi questa parola, in che contesto, con che voce. Il fatto che non stia bene additare qualcuno come tale significa che la parola deve scomparire, tutta quanta: è questa l’equazione fatta, trattando la letteratura come l’ora di educazione civica. Il che, del resto, è in linea con il modo in cui oggi vengono proposti i libri per l’infanzia: divisi per argomenti e offerti come soluzione per tutto, dal bullismo all’inappetenza passando per la mafia. Perfino le emozioni sono state isolate una a una: la rabbia, lo spavento. Così, proliferano libri che rassicurano gli adulti, libri-medicina in apparenza abitati da grandi temi, ma in realtà del tutto innocui.

Il mio romanzo preferito di Roald Dahl è “Le streghe”, da quando avevo nove anni. Tanto vale dichiararlo subito: sono diventata p un’adulta femminista grazie a quel libro. Tra le due affermazioni non ci sono né una contraddizione né un percorso a ostacoli. Se a nove anni mi avessero detto che “Le streghe” era un libro contro le donne, avrei spalancato gli occhi incredula: la nonna, quel personaggio meraviglioso, non era forse una donna? Quanto alle streghe, è vero: erano terribili, ma sotto sotto invidiavo i loro poteri, al massimo avrei voluto che li usassero diversamente – sapevo io chi avrei voluto trasformare in topo! Sì, perché i bambini sognano e desiderano, proprio come gli adulti, e non sempre cose beneducate. Mi sarei volentieri trasformata in strega per trasformare in topo il bambino che mi prendeva in giro, e, anche se nella realtà non riuscivo nemmeno a difendermi, quando leggevo godevo della cattiveria di cui potevo essere capace sulla pagina. Perché i romanzi servono ad andare dove non siamo capaci: a volte è la Malesia, a volte sono le parti più buie di noi. Possiamo, certamente, ritenere che ci sia in un libro qualcosa che ci offende, o che è invecchiato male, o che non ci rispecchia – a volte quel qualcosa è salvato dalla bellezza del romanzo, a volte no, e allora quel testo decade per noi, quando non addirittura per la storia.

Forse dobbiamo ammettere che questi anni chiedono ai romanzi, a partire da quelli per bambini, di essere identici ai reel: cinque verità incontrovertibili, duecento like, cuori, fine. Però sarebbe un peccato, perché significherebbe molte sconfitte: quella dell’educazione, talmente insufficiente da doversi appropriare di campi non suoi. Quella dell’intelligenza degli adulti: pensare che togliere la parola “grasso” da un libro per bambini significhi insegnare loro a non pronunciarla è quantomeno ingenuo, e creerà solo bambini che troveranno la parola ancora più esilarante e proibita e vorranno ripeterla il più possibile, non avendola mai incontrata in nessun contesto. Infine, ci sarebbe la sconfitta cui ormai siamo purtroppo abituati: l’intelligenza dei bambini. Sempre si dice loro: se leggi questo, diventerai così. Se leggi questa frase, la ripeterai tale e quale. È una sfiducia completa nelle possibilità di rielaborare ciò che leggono a seconda del proprio vissuto e di restituircelo con un’interpretazione che non coincide con quella che noi avevamo dato. Provate a leggere un libro che sta leggendo anche un bambino: fatevi dire cosa ne ha tratto e cosa ne avete tratto voi, sarete più che sorpresi dall’imprevedibilità delle sue risposte. È il bello dell’esperienza estetica, è il motivo per cui tanti di noi hanno cominciato a leggere, o a scrivere, perché dentro le pagine di un libro non dovevano essere come la vita chiedeva, a volte faticosamente, di sembrare. E in quel mondo magico dall’accesso misterioso, che Cristina Campo ha descritto a proposito delle fiabe ne “Gli Imperdonabili”, succedevano cose strane e a volte terribili, come nella vita, però in termini e piani simbolici comprensibili e rassicuranti, perché raccontavano la vita com’è, cioè folle, contraddittoria, non ordinata né fuori né dentro di noi.

Da adulta, ho letto tantissimo sulle streghe. Sono stata dalla loro parte, ho scritto di loro, ho usato questa parola in molti modi, soprattutto l’ho usata dentro il femminismo in cui mi riconosco. Poi, periodicamente, torno a Dahl, da cui tutto è cominciato. E ci torno da strega: perché mi piace ridere di me, ed è esattamente l’esperienza estetica che continuo a fare dentro questo libro.

—————————————————————-

La guerra in Ucraina, la mia rabbia e la penombra della vita

di Annalisa Brivio

Sono la prima di cinque fratelli, abito a Brescia e lavoro per uno studio legale. In questo momento sono in ufficio, anche se è presto, perché anche stanotte non sono a riuscita a dormire. Ho aperto la posta per stampare le mail che una collega mi manda ogni giorno perché ha un tumore e lavora da casa ma il link non mi si apre e io sinceramente stamattina non ho voglia di armeggiare con il computer, non ho voglia di stampare la mail, non ho voglia di fare il solito lavoro. Sono arrabbiata, molto arrabbiata, non con il mondo, ma con la sinistra e con la classe che la rappresenta: la borghesia (i venditori, gli affaristi). Siamo in guerra e loro con le loro bandiere arcobaleno ci dicono che siamo in pace, che moriremo in pace. Falso: moriremo in pace se avremo combattuto la giusta battaglia (e forse solo se avremo combattuto). Non so da dove iniziare. Iniziamo dal presidente della Repubblica Ucraina Volodimir Zelenski. Sono preoccupata perché è stanco, è preoccupato per i suoi. Voi mi chiederete perché è preoccupato per i suoi? È sotto gli occhi di tutti: piovono bombe dal cielo, non addosso a lui, ma addosso al suo popolo, sui bambini, sui vecchi, sulle donne incinta. I suoi per fortuna sono saggi e lo sanno proteggere, non nascondere, infatti è dappertutto, ma non sui social, sui cartelloni pubblicitari o a Sanremo. Va in giro in mezzo mondo a chiedere aiuto. Ho usato l’espressione mezzo mondo per intendere solo in certi paesi e non in altri, America, Inghilterra…in Italia non verrà perché non lo vogliono tutti e quindi è stata la presidente Giorgia Meloni in nome del popolo italiano ad andare da lui per dire una cosa chiara: noi siamo con voi. Ci è andata per confortarlo e per capire cosa si può fare di più di quello che il popolo italiano e il popolo lavoratore ucraino residente in Italia stanno facendo. Ragazzi si può fare di più? Sempre! O almeno meglio. E io mi fido di Giorgia Meloni perché non è borghese ma borgatara e ha dato la parola. Non fidatevi dei borghesi e degli affaristi, mentono, dissimulano e odiano i bambini e anche i giovani e ora cercherò con le mie parole di spiegarvi il perché. Innanzitutto gli hanno insegnato da piccoli a non dire le parolacce, a stare composti, a mangiare senza fiatare. Tutte cose impossibili per i bambini. E soprattutto gli hanno tolto la cosa più importante: la gioia. E sapete perché? Perché non gli vogliono veramente bene ma li affidano sempre agli altri (che per fortuna sono più saggi di loro e più spontanei, tate, governanti, solo che loro non se ne accorgono, non vedono il lavoro che fanno).

Adesso parliamo un po’ dell’Italia. È il paese più bello del mondo e la gente dalla mente libera lo sa e viene a trovarci. Ci amano gli americani e gli inglesi, anche re Carlo viene in Italia, credo in Toscana ma a chi non piace la Toscana? Ai borghesi che infatti vanno in Costa Smeralda con i loro yachts ma non perché amino veramente la Sardegna e il popolo sardo che sono straordinari, ma per fare sfoggio delle loro misera ricchezza. E adesso passiamo alle maestrine delle elementari, maestrine non maestre. Maestro è una parola seria. Io non me la ricordo la mia maestra delle elementari perché non aveva cuore, era insignificante e mi insegnava bugie. E allora ho voluto scordarla ma non ho scordato le sue bugie. Mi ricordo solo due episodi di questa maestrina. Insegnava sempre con la golia in bocca e non ci guardava davvero. Due cose che vanno contro agli insegnamenti di tutti i genitori di buon senso. Ma un giorno anche la golia si è ribellata e gli è uscita dalla bocca e io mi sono divertita, perché anche questo essere insignificante a un certo punto ha preso un anima ed è diventata buffa (Dario Fo mistero buffo). E adesso tiro dentro mia sorella, ma non per riempirmi la bocca o per mettermi in mostra. Vi spiego perché è una vera maestra. Insegna matematica e ama i suoi alunni, non perché li controlla o li punisce ma perché si accorge di come stanno. Intendiamoci non è un genio della matematica, i geni della matematica sanno che devono combattere la buona battaglia nelle università libere, non cattoliche o pubbliche, libere. Mia sorella alcune cose che non capisce di matematica se le fa spiegare dal compagno di vita. Perché è ferrato in matematica e spiega bene, lei ascolta, interiorizza e poi è felice di spiegarlo ai bambini, sì felice. Adesso i benpensanti che sanno tutto si scandalizzeranno perché lei alcune cose non le capisce e se le fa spiegare dal compagno di vita. Ma non è questa la cultura, non il passaggio di consegna, ma il tramandare il sapere? E lei lo fa con la sua fatica, intelligenza limitata e passione, e i bambini che vedono imparano. Devono imparare con gioia sapendo che anche i genitori non sanno tutto. Mamma e papà se non sapete qualcosa non andate su google o non fate ricerche al computer, ma portate i bambini in biblioteca o al museo di scienze, ma non per stimolarli, sono già abbastanza stimolati, ma per far vedere loro quel che studiano a scuola e che magari non capiscono perché a volte le nozioni sono un po’ astratte e loro sono terribilmente concreti, e per passare un bel pomeriggio assieme. Vi dico solo che i borghesi si annoiano sempre e sono sempre infelici. E per farvi un esempio vi parlo dei film borghesi: sono deprimenti, noiosi, falsi, come i film di Nanni Moretti che avrà sicuramente vinto un premio a Cannes ma che non vincerà mai l’oscar, a meno che non si metta in gioco. I suoi film sono dei labirinti tristi e pericolosi da cui non si esce e tutti sanno chi c’è nel labirinto: il minotauro che ti vuole divorare. Ma io non sono snob e amo certi film francesi perché hanno un’ironia speciale che mi fa ridere e nutre la mia intelligenza limitata, perché non si prendono sul serio.

E adesso tiro dentro una mia collega, che sicuramente sarà imbarazzata ma è una persona seria nel senso che non gioca con la vita e ha uno speciale humour forse un po’ british: non comprare il cane alla tua amata e unica figlia, non è sola, non vuole un cane, vuole un fratello. Non siete riusciti ad averlo? Pazienza, che c’è di male? Però è una sofferenza essere figli unici a meno che non siate meschini ed egoisti. Falla stare nella sofferenza, non confonderla, avrà sempre nostalgia di quel fratello, ma non per sempre, irreparabilmente come nei film borghesi in cui si elabora il lutto ma si smantella la stanza del figlio. Porcherie come scriveva Sandor Marai. Fino a che deciderà, anzi non deciderà niente, le nascerà dentro la voglia, sì la voglia di farne due e tre. A meno che non incontrerà le persone sbagliate, che non sono i drogati, gli spacciatori, che almeno un po’ si divertono e un po’ lavorano, certo sbagliano, ma chi non sbaglia? Solo una categoria non sbaglia e non si salverà mai: perché è una categoria, non una persona ed è il borghese perché in fondo non fa un bel niente. E io l’ho incontrata la persona sbagliata, il mio primo fidanzato, un povero spostato ma non perché fosse folle, folli e spostati sono agli antipodi, perché i genitori avevano divorziato e il padre era scappato. Certo il padre ha fatto le sue scelte, tutti sbagliano, ma ha continuato a sbagliare. Non andava mai a trovare il figlio e il figlio inseguiva la sua ombra dappertutto. Ma non come Maria, anche per lei è scesa un’ombra e l’ha avvolta, ma era una penombra.

Ma torniamo a quelli che non sanno prendersi le loro responsabilità e che si voltano dall’altra parte quando bombardano vecchi, bambini e giovani. Anch’io non andrei sulla prima linea del fronte perché lì ci devono stare quelli che sanno lanciare razzi o missili o che hanno imparato a farlo di necessità, ma so che siamo in guerra. Soldati che sono stati addestrati dagli inglesi e dagli americani che ci hanno salvato dal nazifascismo nella seconda guerra mondiale. In America la fiacca borghesia europea non esiste e in Inghilterra non so se esista ma è un mix che non so spiegare tra aristocratici, lavoratori qualificati e popoli colonizzati, i quali sono grati agli inglesi perché hanno costruito ponti strade scuole. Invece a scuola ti insegnano che sono stati i partigiani a liberare l’Italia ma solo quelli comunisti che non è una mezza bugia, è un’enorme mistificazione: riscrivono la storia come in Cina e Russia dove massacrano il popolo, anzi i popoli. Allora io mi appello a tutti i popoli della terra orgogliosi di esserlo senza distinzione di razza e religione ma con pensiero critico. E questo non l’ho studiato sui libri di scuola ma sui libri della Fallaci, di Eugenio Corti e di Antonio Socci che sono ricchi di notizie scomode sulla storia. Questi veri pensatori mi hanno insegnato tre cose: pensiero critico, difesa dei popoli e a non avere paura di fare la guerra ai prepotenti. I prepotenti un po’ mi hanno fanno paura perché so che mi possono uccidere e forse mi uccideranno, ma io voglio stare al fronte con i ragazzi perché mi piacciono tutti come a mia sorella piacciono tutti i bambini. Sono perversa? No vedo la loro bellezza! Perché tutti indistintamente froci lesbiche, per favore non chiamateli lgbt, è una sigla e loro sono persone, marocchini, indiani, pakistani, sono belli, ma non come i borghesi che sono perfetti, ma come il popolo che fa baldoria, si ferisce perché fa la guerra, cade e si rialza, ma è libero, può morire ma è libero.

Ora sono stanca, ma non ho bisogno di ricostituenti, ho voglia di un buonissimo tè della mia mamma che è una casalinga che ha cresciuto bene cinque figli, sbagliando maledettamente, ma si è sempre fidata di noi. Ho 49 anni e non è che sono uscita mai di casa, sono uscita ma ho combinato i guai dei borghesi, pur non essendo io borghese. E i miei ora mi hanno accolto nuovamente con le parole di Gesù alla prostituta: va e non peccare più.

  • Condividi
piergiorgio

Articolo precedente

«La vera cultura antidoto alla stagnazione e alla mediocrità»
26 Febbraio 2023

Prossimo articolo

«La mia casa sei tu», aperte le iscrizioni al Mese Letterario
4 Marzo 2023

Ti potrebbe interessare anche

È la letteratura la vera educazione affettiva
15 Novembre, 2025

In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
8 Novembre, 2025

Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

Il Cristo di Manoppello e Sgarbi trafitto dalla bellezza
1 Novembre, 2025

«Nei mesi attuali di oscurantismo, immersi nell’orrore di Gaza, nella guerra in Ucraina, nell’oppressione della cronaca, anche personale, mi convinco che vi sia molto più Illuminismo cioè quella tendenza a invadere il reale di razionale – nel pellegrinaggio al Cristo di Manoppello che non nella realtà di oggi, che sembra imporci comportamenti irrazionali». Lo scrive Vittorio Sgarbi in un articolo sul settimanale «Io Donna» a proposito del Volto Santo di Manoppello, il velo che porta impressa l’immagine del volto di Gesù, custodito nella chiesa di un piccolo paese in provincia di Pescara. Una reliquia di origine misteriosa di fronte alla quale passa in secondo piano se sia l’impronta di un volto o un’immagine dipinta. Per Sgarbi «quel volto è il volto di Cristo anche se non è l’impronta del suo volto, perché è ciò che la nostra mente sente essere vero, non la verità oggettiva di quella cosa». Si dice trafitto dalla «sua bellezza, che splende più della sua verità, cioè della sua vera o presunta corrispondenza al volto del vero Gesù, “veramente” risorto». Ecco oggi l’esperienza di cui più la nostra vita ha bisogno è proprio questo essere feriti dal desiderio della bellezza. Solo questa esperienza può mobilitare ragione, intelligenza e volontà a prendere sul serio la nostra sete di infinito, spingendo a non accontentarsi di false risposte tanto comode quanto illusorie. E si può solo essere grati che a ricordarcelo sia un inquieto e un irregolare come Sgarbi.

Cerca

Categorie

  • Fissiamo il Pensiero
  • I nostri incontri
    • I nostri incontri – 2015
    • I nostri incontri – 2016
    • I nostri incontri – 2017
    • I nostri incontri – 2018
    • I nostri incontri – 2019
    • I nostri incontri – 2021
    • I nostri incontri – 2022
    • I nostri incontri – 2023
    • I nostri incontri – 2024
    • I nostri incontri – 2025
  • Mese Letterario
    • 2010 – I Edizione
    • 2011 – II Edizione
    • 2012 – III Edizione
    • 2013 – IV Edizione
    • 2014 – V Edizione
    • 2015 – VI Edizione
    • 2016 – VII Edizione
    • 2017 – VIII Edizione
    • 2018 – IX Edizione
    • 2019 – X Edizione
    • 2021 – XI Edizione
    • 2023 – XIII Edizione
    • 2024 – XIV Edizione
    • 2025 – XV Edizione
  • Scuola San Benedetto – edizioni passate
  • Tutti gli articoli

Education WordPress Theme by ThimPress. Powered by WordPress.

VUOI SOSTENERCI?

Siamo una fondazione che ha scelto di finanziarsi con il libero contributo di chi ne apprezza l’attività

Voglio fare una donazione
Borgo Wührer, 119 - 25123 Brescia
info@fondazionesanbenedetto.it

Resta sempre aggiornato

Iscriviti subito alla nostra newsletter per non perderti le attività e gli eventi organizzati dalla Fondazione San Benedetto.

Iscriviti

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Copyright © Fondazione San Benedetto Educazione e Sviluppo

Mappa del sito | Privacy Policy | Cookie Policy

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy