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Mattarella, uno di noi

  • Data 26 Aprile 2023

Intervista al presidente della Repubblica Sergio Mattarella

di Marzio Breda – dal Corriere della Sera – 21 aprile 2023


Signor presidente, si apre un biennio nel quale l’Italia sta avendo un ruolo da protagonista nella cultura europea. «Paese Ospite d’Onore» al Festival du Livre di Parigi, omaggio che si ripeterà nel 2024 alla Buchmesse di Francoforte, e ciò conferma l’interesse verso la nostra narrativa, poesia, filosofia e saggistica… Saranno presentati autori contemporanei e della tradizione, che ci legano all’identità dell’Europa. Possono essere anche eventi come questi gli «antidoti» di cui l’Ue ha bisogno per superare fragilità e riscoprirsi unita? Con una cultura certo plurale, ma su valori comuni?

«La partecipazione dell’Italia in veste d’ospite d’onore a due tra le più prestigiose occasioni culturali europee, oltre a riconoscere il contributo recato dalla civiltà italica al sentire globale, rappresenta una grande occasione per proseguire sulla strada di una osmosi che consolidi sempre più la piattaforma comune di valori sui quali si fonda la Casa europea. L’incontro e il dialogo tra culture offre l’opportunità di conoscersi al di fuori di consolidati stereotipi e crea, nel confronto, le condizioni per superare la fragilità di una interpretazione dell’identità basata sulla chiusura e il rifiuto dell’altro. Il rispecchiarsi in uno spazio largo è ciò che ha consentito il crescere delle civiltà. Il sapere si è affermato come un valore democratico, anzi come condizione della stessa vita democratica. Non a caso l’accesso all’istruzione è divenuto uno dei diritti contemporanei. Un bagaglio di studi limitato è una barriera che, oltre a creare divari, genera incomprensioni e, dunque, conflittualità e, soprattutto, ci impedisce di progettare il futuro con chiavi interpretative adeguate a comprendere la complessità del nostro vivere contemporaneo. Il libro, come ogni altra modalità di espressione della creatività umana, rappresenta uno strumento di condivisione della conoscenza. Leggere è essenziale. Bisognerebbe leggere di più e, forse, la lettura del Milione di Marco Polo potrebbe aiutarci a comprendere lo spirito con cui va guardato il mondo. Lo scambio apre le menti, tanto più per una cultura solida e ammirata come quella italiana. Consente di rimuovere pregiudizi e nozioni artefatte che ostacolano la conoscenza, ricacciandoci in recinti neo-tribali. Il progresso del mondo è avvenuto anche, se non soprattutto, grazie agli scambi con le culture “altre”. Le trasformazioni repentine dei modelli di convivenza indotte dalle innovazioni tecnologiche, gli effetti dei cambiamenti climatici e della stessa crisi pandemica, i conflitti in atto, ci interrogano oggi profondamente nella nostra personalità. La cultura ci sorregge nella nostra capacità di immaginare fin d’ora il tempo nuovo, offrendoci criteri divenuti universali. La sfida è caratterizzata anche dal saper far migrare e incarnare i valori dei patti fondativi delle società contemporanee nelle architetture informatiche, che disegnano e influenzano in modo determinante le nostre società».

Come definirebbe, in concreto, l’identità europea? Su quali cardini poggia? E quale peso vi ha la cultura italiana?

«Dalle grandi città ai piccoli borghi, in ogni latitudine del nostro continente le comunità sono riconoscibili dalle loro piazze, i loro edifici di culto, i loro municipi, i loro palazzi e i loro mercati, i loro paesaggi. Con la loro cultura materiale sedimentata nei secoli. Ognuno di questi segni indica, identifica l’Europa. La dimensione europea è ciò che condividiamo quale frutto del deposito lasciato da culture plurali, recate dai popoli che si sono succeduti nell’insediamento sui territori, in continua sequenza tra loro. Si pensi alle migrazioni degli artisti e degli architetti, dei clerici vagantes. Guardiamo al Rinascimento. Nell’immaginario collettivo, che corrisponde alla realtà, il Rinascimento è il prodotto dell’ingegno italiano in uno stato di grazia particolare. L’innesco dell’esperienza è partito, certo, nel Quattro e Cinquecento dalle città italiane per diffondersi però, poi, nelle corti europee. Tuttavia il Rinascimento belga, per esempio, ha una sua specificità che ha regalato al mondo le meraviglie dell’arte fiamminga; così come il Rinascimento inglese, che vede giganti della letteratura come Edmund Spenser, Philip Sydney e lo stesso John Milton, per non parlare del più grande di tutti, Shakespeare. Né si può trascurare di apprezzare la lungimiranza dei regnanti francesi che ospitarono sommi artisti italiani, come Leonardo, Rosso Fiorentino, Benvenuto Cellini, per consentire ai propri artisti di confrontarsi con il Rinascimento italiano, con la fondazione di scuole come quella di Fontainebleau. Come ignorare il contributo degli enciclopedisti? Come non condividere in un patrimonio comune il pensiero di Kant o la musica di Beethoven e di Brahms; o l’armonia di Mozart o di Donizetti? È dalle reciproche influenze che prende corpo una dimensione di cultura artistica e architettonica europea, riflesso di una matrice umanista emersa nei secoli. Il sentimento di appartenenza era, dunque, a una grande cultura, che non separava est e ovest europeo ma permeava ogni ambiente intellettuale.
Spes contra spem, mi piacerebbe pensare a un nuovo rinascimento europeo, aperto al mondo intero».

C’è chi sostiene che il futuro passi attraverso la costruzione di una «fraternità europea». È questo lo sforzo da fare?

«La fraternità europea, se derivato della triade illuminista — insieme con uguaglianza e libertà —, va intesa come consapevolezza di comune destino e va oltre la solidarietà. Se i valori espressi dalle singole comunità erettesi in Stato sono comuni, è naturale e soprattutto autentico parlare di “fraternità europea”. I padri costituenti della nostra Repubblica si misurarono con questo pensiero e, in una prima stesura dell’articolo 3 della nostra Costituzione, scrissero un inciso di rara bellezza espressiva: le norme, secondo questa primigenia versione del testo, risultavano poste “al fine di assicurare l’autonomia e la dignità della persona umana e di promuovere a un tempo la necessaria solidarietà sociale, economica e spirituale, in cui le persone debbono completarsi a vicenda”. Trovo che quell’espressione “completarsi a vicenda” tra persone, tra esseri umani, tra cittadini europei, rappresenti quanto di più significativo si possa immaginare per l’Europa “unione delle diversità”, ispirata da una visione che sappia guardare lontano, senza il rischio della lusinga dell’inciampo in limes, in barriere artificiosamente create».

Il tema dell’identità dell’Europa si incrocia con le crisi in atto, che determinano anche ondate inattese di immigrazione. Dall’essere spontaneamente cosmopoliti si passa alla paura verso la diversità, vista come una minaccia piuttosto che come opportunità e prova di civiltà.

«In questo senso potremmo parlare di “fraternità europea” come acquisizione di consapevolezze più autentiche, che abbiano la meglio anche su narrazioni correnti di crisi di convivenza con gli immigrati che giungono sulle nostre coste o agli altri confini d’Europa, fuggendo da guerre, carestie, sconvolgimenti climatici. Buoni esempi di “fraternità europea” non mancano: le porte aperte ai profughi ucraini e la generosità ad essi mostrata da Paesi come la Polonia parlano da soli. Tuttavia i principi sono tali se non ammettono declinazioni di comodo. La fraternità sarebbe più forte se fosse sempre ugualmente riservata a chi fugge da altre guerre, da altra fame, da altre catastrofi, lungo la linea del Mediterraneo, per esempio. Al centro deve essere la persona e i suoi diritti, senza distinzione, come recita l’articolo 3 della Costituzione “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. L’Europa è anche il mare che l’Italia abita, fendendolo nel mezzo fino a sfiorare le coste africane. Ce lo ricorda, con lo straordinario Fernand Braudel, Predrag Matvejevic: “Sul Mediterraneo è stata concepita l’intera Europa”. Il Mediterraneo è il nostro banco di prova come capacità di affermazione dei valori europei e come capacità di dispiegare politiche di cooperazione per fronteggiare, governandoli, fenomeni complessi».

continua a leggere l’intervista su

https://www.corriere.it/cultura/23_aprile_21/sergio-mattarella-intervista-f0df9026-df9f-11ed-b43b-a8c9b03fa788.shtml

Tag:Cultura, Letteratura, lettura, libri, Mattarella

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È la letteratura la vera educazione affettiva
15 Novembre, 2025

In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
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Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

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