• Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti
Email:
info@fondazionesanbenedetto.it
Fondazione San BenedettoFondazione San Benedetto
  • Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti

Fissiamo il Pensiero

  • Home
  • Fissiamo il Pensiero
  • Riflessioni dopo il funerale di Giulia

Riflessioni dopo il funerale di Giulia

  • Data 10 Dicembre 2023
La settimana che si è appena conclusa è stata segnata dal funerale di Giulia Cecchettin. Di questo momento, che ha visto una partecipazione molto ampia, vogliamo soprattutto riproporre alcuni passaggi dell’omelia del vescovo di Padova Claudio Cipolla.  «L’amore – ha sottolineato – non è un generico sentimento buonista. Non si sottrae alla verità, non sfugge la fatica di conoscere ed educare se stessi. E’ empatia che genera solidarietà, accordo di anime e corpi nutrito di idealità comuni, compassione che nell’ascolto dell’altro trova la via per spezzare l’autoreferenzialità e il narcisismo». Parole sulle quali val la pena soffermarsi. Un altro spunto di riflessione interessante ci arriva da Adriano Sofri che nella sua rubrica Piccola Posta sul Foglio del 7 dicembre, mette a confronto alcune frasi di Filippo Turetta – «Ho ucciso la mia fidanzata»,  «Doveva essere mia e di nessun altro», «Volevo che fosse solo mia» – con il commiato con cui Gino Cecchettin ha voluto salutare sua figlia al termine del funerale:  «Addio Giulia, amore mio». Due modi opposti di usare l’aggettivo «mio». Sofri rievoca uno slogan che dagli anni ’70 in poi è stato scandito in tanti cortei di femministe: «Io sono mia». E subito dopo ricorda quanto detto in proposito da Luisa Muraro, esponente storica del femminismo: «Quell'”io sono mia”, slogan poco sensato al quale non ho mai aderito: la vita l’abbiamo avuta in dono, prima di tutto da una madre, dunque è un dono da ricambiare con altre persone». Riconoscere la natura della realtà ci rende più umani. Invece voler possedere l’altra persona fino al punto di toglierle la vita o illudersi di appartenere solo a se stessi sono solo tragici abbagli dai quali la nostra umanità esce sempre sconfitta. 
 

«L’amore non è un generico sentimento buonista» 

 
dall’omelia del vescovo di Padova Claudio Cipolla – 5 dicembre 2023 
Il vescovo di Padova al funerale di Giulia Cecchettin

Non avremmo voluto vedere quello che i nostri occhi hanno visto né avremmo voluto ascoltare quello che abbiamo appreso nella tarda mattinata di sabato 18 novembre. Per sette lunghi giorni avevamo atteso, desiderato e sperato di vedere e sentire cose diverse. Ed invece ora siamo qui, in molti, con gli occhi, anche quelli del cuore, pieni di lacrime e con gli orecchi bisognosi di essere dischiusi ad un ascolto nuovo. Abbiamo bisogno di parole e gesti di sapienza che ci aiutino a non restare intrappolati dall’immane tragedia che si è consumata, per ritrovare anche solo un piccolo spiraglio di luce. Dalla fede cristiana e dalla Parola che il Signore ci ha appena rivolto raccolgo come sostegno alcune parole per orientarci in questi giorni di lutto e di dolore.

L’ Attesa. Domenica è iniziato il tempo dell’avvento, tempo che educa all’attesa, ad alzare lo sguardo oltre il buio: dal tronco ferito e spezzato della nostra umanità spunti un germoglio, come evocava il profeta nella prima lettura. Non sappiamo quando, non sappiamo come, ma è forza che apre vie di riscatto, di affrancamento da ogni forma di negazione della vita. La conclusione di questa storia lascia in noi amarezza, tristezza, a tratti anche rabbia ma quanto abbiamo vissuto ha reso evidente anche il desiderio di trasformare il dolore in impegno per l’edificazione di una società e un mondo migliori, che abbiano al centro il rispetto della persona (donna o uomo che sia) e la salvaguardia dei diritti fondamentali di ciascuno, specie quello alla libera e responsabile definizione del proprio progetto di vita. (…)

Speranza. L’attesa più o meno giustificata di un evento gradito, di un giorno favorevole, è illusoria se consiste nella semplice proiezione di nostre aspirazioni, anche legittime. Come trasformarla in reale cammino verso la felicità? Abbiamo bisogno che la nostra attesa sia arricchita e sostenuta dalla speranza. La speranza è un dono dello Spirito, che ci aiuta a vivere, a cercare, trovare e custodire la vita. Di fronte alla morte di Giulia ma anche a quella di tante donne, bambini e uomini sopraffatti dalla violenza e dalle guerre, emergono tutti i nostri dubbi. Non solo ci chiediamo: davvero ci sarà la vita dopo la morte? Ma anche: ha senso impegnarsi se poi tutto si riduce a poca cenere? La speranza, che oggi rinnoviamo, per noi cristiani ha un nome e un volto: quello di Gesù, il Signore Risorto. È lui la vita che la morte non è riuscita a ingabbiare, il Giusto che l’ingiustizia non è riuscita a spezzare, il mite e umile di cuore che ha scardinato la violenza del potere. La speranza, che è Cristo, è più di un antidoto nei momenti difficili della vita. (…)

Arriviamo così alla terza parola: Amore: una grande parola, una parola che orienta alla alterità, che cerca il bene dell’altro, dell’altra. Io, con la mia concreta e personale esperienza, non so parlarne se non a partire dal Vangelo e da Dio ma anche per me il riferimento è così alto da sembrare irrealizzabile, come la profezia di Isaia. I nostri, anche se umani e responsabili, sono sempre tentativi di amore, e noi siamo sempre in cammino e sempre in ricerca della strada migliore. Forse voi giovani potete osare di più rispetto al passato: avete a disposizione le università e gli studi, avete possibilità di incontri e confronti a livello internazionale, avete più opportunità e benessere rispetto a 50 anni fa. Nella libertà potete amare meglio e di più: questa è la vostra vocazione e questa può e deve diventare la vostra felicità! (…) L’amore non è un generico sentimento buonista, quindi. Non si sottrae alla verità, non sfugge la fatica di conoscere ed educare se stessi. E’ empatia che genera solidarietà, accordo di anime e corpi nutrito di idealità comuni, compassione che nell’ascolto dell’altro trova la via per spezzare l’autoreferenzialità e il narcisismo. Se questo è il nostro sogno, se cerchiamo germogli di speranza e di amore avvertiamo tutti la fatica di questo lavoro interiore. La nostra fragilità rende corto il respiro della speranza e precaria la tenuta dei nostri amori. Attesa, speranza, amore sono la nostra vita bella. Preghiera altro non è che metterci di fronte a Dio e al mistero della vita e della morte senza nascondere le nostre fatiche ma anche senza rinunciare ai nostri sogni. (…) Il volto di Giulia è stato sottratto alla nostra vista. Resta impresso nell’affetto e nella memoria di chi l’ha conosciuta e apprezzata. Ora noi posiamo lo sguardo su quello di Gesù, il Signore, via verità e vita; in Lui brilla il volto di Giulia, (vicino alla mamma), da Lui si accenda ancora il desiderio che cresca per tutti la passione per la vita.

 
 

 

Quei modi opposti di dire «mia»

di Adriano Sofri 

da Il Foglio – 7 dicembre 2023 

C’è un film di quest’anno, che non ho visto, per la regia di Ivano De Matteo, protagonisti Edoardo Leo, Milena Mancini, il giovane Riccardo Mandolini e la sedicenne Greta Gasbarri, nelle parti dei genitori e di una figlia tormentata da un giovane farabutto fino a morirne, e a lasciare a suo padre l’ossessione della vendetta. Lo cito per il titolo, “Mia”, che è il nome proprio della ragazza. C’è un romanzo, che non ho letto, di Antonio Ferrara, illustrato da Chiara Carrer, del 2015 questo, su un adolescente in carcere, Cesare, che ha ammazzato la sua coetanea, Stella, che finalmente lo aveva lasciato; si intitola “Mia”. 

È che avevo la testa piena di rabbia contro l’aggettivo possessivo, “mia”. “Ho ucciso la mia fidanzata”. “Doveva essere mia e di nessun altro”, “Volevo che fosse solo mia”… Mi batteva dentro solo l’accezione possessiva di quell’aggettivo. Ho seguito in tv il funerale padovano di Giulia Cecchettin, e le parole di suo padre. Verso la fine, il signor Gino ha detto: “Giulia, la mia Giulia…”, e sono stato interdetto per un momento. Una riappropriazione, contro l’esproprio tristo che gliel’aveva tolta? Ma l’aveva tolta anche a sua sorella e a suo fratello, e a chissà quante altre persone. C’era una pur accorata, mite, gelosia paterna in quel “la mia Giulia”? Poi Gino Cecchettin ha pronunciato l’ultima frase del suo commiato, e l’ultimo monosillabo: “Addio Giulia, amore mio”. E di colpo ha restituito all’aggettivo il suo suono affettuoso, carezzevole, il contrario che possessivo: un appartenersi reciprocamente, aperto alla basilica, alla piazza e all’intero paese, che l’avevano adottata e la sentivano come “nostra”, si sentivano come “i suoi”.

Strana esistenza ha quell’aggettivo, mio, e il suo rischioso femminile, mia. È una delle prime prove di bambine e bambini: “Mio! Mia!” E poi mia mamma, mamma mia, mia cara, cara mia, anima mia. Parola mia. Che speranze, che cori, o Silvia mia!  “Io sono mia”. Le prime volte che fu pronunciata, nelle strade degli anni 70, fu ascoltata come una fesseria, o una bizzarria. Non solo dai maschi, che si sentivano presi in giro, e cinque minuti dopo, o cinque anni, ci ripensavano. Anche da Luisa Muraro, per esempio: “Quell’‘io sono mia’, slogan poco sensato al quale non ho mai aderito: la vita l’abbiamo avuta in dono, prima di tutto da una madre, dunque è un dono da ricambiare con altre persone”. (L’autrice prima si chiamava Ethel Reed, era una fantastica illustratrice americana, ne fece il proprio motto nel 1897 scrivendo a un ex-amante che le offriva un sostegno economico: “Non devo nulla ad alcun uomo, né fedeltà né spiegazioni. Io sono di mia proprietà”. Un po’ più prolisso, in inglese, “I am my own Property”).

Nel 1977 la Zanichelli pubblicò un manuale di “Sociologia elementare” intitolato “Io sono mia” di Elena Vitas, illustrato da Sergio Salaroli – questo lo lessi e lo guardai. Nel 1978 anche un film, che non ho visto, di Sofia Scandurra, sceneggiato da Dacia Maraini e Lù Leone, si intitolava così “Io sono mia”. Ce n’è uno con lo stesso titolo, del 2019, ma con la maiuscola, perché racconta Mia Martini, e c’entra anche lei, parecchio.

A noi non viene di dire Io sono mio. (E chi ti cerca!)

 
 

Tag:Adriano Sofri, Claudio Cipolla, Giulia Cecchettin

  • Condividi
piergiorgio

Articolo precedente

Nasce l'appartamento "San Benedetto" per donne con disabilità
10 Dicembre 2023

Prossimo articolo

L'Unione Europea vista dall'interno, incontri di formazione
13 Dicembre 2023

Ti potrebbe interessare anche

Qualcosa di più forte e profondo della distruzione
26 Luglio, 2025

La newsletter di oggi è l’ultima prima della pausa estiva. Anche in queste settimane per molti dedicate al riposo e alle vacanze, mentre il mondo è in fiamme e gli orrori della guerra si moltiplicano, crediamo che non si possa far finta di nulla, aprire una parentesi o staccare la spina come si usa dire. Non si può andare in vacanza senza portarsi dietro queste ferite. Portarsele con sé rende più bello e più vero il tempo del riposo. Per questo oggi vogliamo proporvi la lettura di due testimonianze da due dei principali teatri di guerra: l’Ucraina e Gaza. Già scorse settimane avevamo ricordato il caso di Vasilij Grossman, lo scrittore ucraino che dentro lo scenario di morte prodotto dalle ideologie del ’900, non aveva mai smesso di cercare «l’umano nell’uomo» come inizio di una possibilità di speranza. Le testimonianze di oggi ci dicono che anche nelle situazioni più difficili, la violenza, la distruzione e la morte possono non essere l’ultima parola. 

La prima, pubblicata sul sito «La Nuova Europa», è di Adriano Dell’Asta, professore di lingua e letteratura russa all’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana. Racconta la storia di Alina, giovane donna ucraina, malata di cancro in fase terminale, che nei suoi ultimi giorni di vita ha trovato accoglienza in un hospice a Charkiv, mantenuto aperto anche sotto le bombe. Tutto sembra perduto, senza speranza, in guerre ogni giorno sempre più distruttive e spregiatrici di giustizia e umanità… eppure c’è chi lotta e resiste per accompagnare sin nella morte chi è senza speranza e riaffermare una dignità e una pace che nessun malvagio può cancellare. È l’infinita sorpresa di un miracolo reale che non sapremmo neppure immaginare.

La seconda testimonianza ci è offerta dalla dichiarazione fatta dal patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa al suo rientro dalla visita a Gaza insieme al patriarca ortodosso Teofilo III. «Siamo entrati – ha detto aprendo la conferenza stampa – in un luogo devastato, ma anche pieno di meravigliosa umanità. Abbiamo camminato tra le polveri delle rovine, tra edifici crollati e tende ovunque: nei cortili, nei vicoli, per le strade e sulla spiaggia – tende che sono diventate la casa di chi ha perso tutto. Ci siamo trovati tra famiglie che hanno perso il conto dei giorni di esilio perché non vedono alcuna prospettiva di ritorno. I bambini parlavano e giocavano senza battere ciglio: erano già abituati al rumore dei bombardamenti. Eppure, in mezzo a tutto questo, abbiamo incontrato qualcosa di più profondo della distruzione: la dignità dello spirito umano che rifiuta di spegnersi».

L’appuntamento con la newsletter «Fissiamo il pensiero» tornerà domenica 7 settembre. Buone vacanze!

Non ci arrendiamo alla perdita del senso della vita
19 Luglio, 2025

Ci possiamo rassegnare passivamente al fatto che la nostra vita non abbia un senso? Nei giorni scorsi Repubblica ha pubblicato l’intervento fatto durante un incontro a Orzinuovi dal filosofo Umberto Galimberti. La sua conclusione è che di fronte al potere sempre più pervasivo del «mondo della tecnica», nel quale l’uomo non è più chiamato a «esistere» ma semplicemente a «funzionare», reperire un senso per la propria esistenza è «praticamente impossibile». Davanti a un’affermazione così tranchant non potevamo restare indifferenti. Come Fondazione San Benedetto abbiamo voluto replicare a Galimberti con una lettera pubblicata sul Giornale di Brescia che vi invitiamo a leggere sul nostro sito (se volete dirci cosa ne pensate potete scriverci a info@fondazionesanbenedetto.it). Il nostro unico e vero scopo, che sta all’origine di tutto quanto facciamo e proponiamo, è proprio quello di non arrendersi alla perdita del senso della vita, che vorrebbe dire smarrire se stessi. In questo don Giussani, a cui il nostro percorso si ispira, ci è stato maestro e testimone impareggiabile.

«Fare figli non è un dovere sociale, ma lo consiglio»
12 Luglio, 2025

Ci siamo occupati più volte della crisi demografica. Un tema reale delle cui ripercussioni sul nostro sistema di vita spesso non si è ancora pienamente consapevoli. In questi giorni si è tornati a parlare, come succede ciclicamente, di misure a sostegno della maternità che sarebbero allo studio del governo. Vedremo nei prossimi mesi se si tradurranno in fatti concreti. Al di là di tali questioni (senz’altro importanti, ci mancherebbe) però qui vogliamo soffermarci sul tema della natalità non dal punto di vista sociale o politico, ma personale. Lo facciamo riproponendovi un recente articolo di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera che vi invitiamo a leggere. «Consiglio di fare figli», scrive. Parole che possono far discutere ma che ribaltano una prospettiva che in nome dell’autonomia individuale tende a limitare il contatto umano generando a lungo andare solo isolamento e solitudine.

Cerca

Categorie

  • Fissiamo il Pensiero
  • I nostri incontri
    • I nostri incontri – 2015
    • I nostri incontri – 2016
    • I nostri incontri – 2017
    • I nostri incontri – 2018
    • I nostri incontri – 2019
    • I nostri incontri – 2021
    • I nostri incontri – 2022
    • I nostri incontri – 2023
    • I nostri incontri – 2024
    • I nostri incontri – 2025
  • Mese Letterario
    • 2010 – I Edizione
    • 2011 – II Edizione
    • 2012 – III Edizione
    • 2013 – IV Edizione
    • 2014 – V Edizione
    • 2015 – VI Edizione
    • 2016 – VII Edizione
    • 2017 – VIII Edizione
    • 2018 – IX Edizione
    • 2019 – X Edizione
    • 2021 – XI Edizione
    • 2023 – XIII Edizione
    • 2024 – XIV Edizione
    • 2025 – XV Edizione
  • Scuola San Benedetto – edizioni passate
  • Tutti gli articoli

Education WordPress Theme by ThimPress. Powered by WordPress.

VUOI SOSTENERCI?

Siamo una fondazione che ha scelto di finanziarsi con il libero contributo di chi ne apprezza l’attività

Voglio fare una donazione
Borgo Wührer, 119 - 25123 Brescia
info@fondazionesanbenedetto.it

Resta sempre aggiornato

Iscriviti subito alla nostra newsletter per non perderti le attività e gli eventi organizzati dalla Fondazione San Benedetto.

Iscriviti

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Copyright © Fondazione San Benedetto Educazione e Sviluppo

Mappa del sito | Privacy Policy | Cookie Policy

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy