«Con la loro audacia, gli ucraini stanno testimoniando a tutti una autocoscienza che ci lascia senza parole, una fame e una sete di giustizia e un desiderio di libertà che ci riempiono di stupore. In loro, al di là di tutto ciò che può essere detto, stiamo vedendo che il cuore non si arrende al potere». Lo scrive don Julián Carrón in un intervento pubblicato sul Corriere della Sera del 30 marzo che segnaliamo per la lettura di questa settimana.
Mentre da ormai oltre un mese imperversa la guerra l’iniziativa di Papa Francesco di consacrare al Cuore Immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina individua e indica a tutti, «indipendentemente dal loro credo esistenziale, politico o, perché no?, ideologico, che resta pur sempre limitato, un punto di fuga, una strada percorribile. Alzare lo sguardo dal buio pesto in cui ci troviamo per rivolgerlo a una fiammella di luce, che proprio perché “immacolata”, cioè pura, gratuita può rischiarare la tenebra». Lo scrive nell’articolo su ilsussidiario.net l’arcivescovo di Mosca monsignor Paolo Pezzi che venerdì nella cattedrale della capitale russa si è unito al Papa nell’atto di consacrazione.
La guerra in Ucraina è solo l’ultimo atto della crisi della globalizzazione. In un articolo sul Corriere della Sera Giulio Tremonti propone una lettura originale e fuori dai luoghi comuni, del momento storico che stiamo attraversando. Un momento segnato dalla drammatica evidenza che la storia non è finita come invece non molti anni fa qualcuno sosteneva nell’illusione di un’evoluzione inarrestabile dell’umanità e della democrazia in tutto il mondo. Oggi siamo costretti a un brusco risveglio.
Di fronte alle diverse posizioni che si possono avere sulla guerra in Ucraina «il principio sempre irrinunciabile e sempre prevalente è che oppressi e vittime innocenti hanno diritto al nostro aiuto, e noi abbiamo il dovere di darglielo». Lo scrive il professor Rocco Buttiglione in un articolo inedito che segnaliamo questa settimana come contributo a un giudizio più chiaro su quanto sta accadendo alle porte di casa nostra.
Col pensiero e col cuore a quanto sta accadendo in Ucraina questa settimana proponiamo la lettura di un testo di Vasilij Grossman. Lo scrittore, ucraino di lingua russa, racconta la sua visita alla Madonna Sistina, uno dei dipinti più celebri di Raffaello, esposta a Mosca nel 1955 prima di essere riportata a Dresda. Durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale sulla città tedesca la tela era stata messa in salvo e poi requisita dalla armate sovietiche che la portarono a Mosca. Quello di Grossman è un racconto emozionante che ci parla della «forza dell’umano nell’uomo» e della «gioia di essere creature vive» anche nell’«epoca dei lupi» e dentro le ferite della guerra.
Un clown avverte di un incendio scoppiato in un circo. Viene deriso e nessuno gli crede. Così le fiamme raggiungono il vicino villaggio seminando distruzione e morte. Questo apologo di Kierkegaard, 54 anni fa, è stato ripreso e sviluppato all’inizio del suo libro “Introduzione al cristianesimo” da Joseph Ratzinger che osservava: «Oggi il mondo guarda spesso il messaggio cristiano come un gioco da circo che sembra non avere rapporto né con il vero né con il falso». Per «uno strano oscuramento del pensiero» le verità della fede sembrano cadere in un contesto nel quale non hanno presa, appaiono fuori dal mondo, non credibili. Essere una minoranza potrebbe diventare una condizione molto dura ma proprio questa «via stretta» sarebbe al tempo stesso l’unica possibilità per non soccombere al nulla. Su questo tema è tornato nei giorni scorsi lo scrittore Claudio Magris con un articolo sul Corriere della Sera di cui proponiamo la lettura.
I venti di guerra in Ucraina mettono in evidenza un contesto di tensioni geopolitiche che chiama in causa, tra gli altri, il ruolo della Russia e quello dell’Europa. Nel 2009 in occasione del conferimento della laurea ad honorem all’università Sciences Po l’ex presidente ceco Václav Havel osservava: “Una volta le guerre mondiali scoppiavano in Europa, centro della civiltà mondiale. Siamo sicuri di esserne ormai immuni? (…) Mi sembra che oggi, forse, la cosa più importante sia mantenere un rapporto umile con il mondo, rispettare ciò che ci supera, prendere coscienza che vi sono misteri che non capiremo mai e renderci conto che se dobbiamo assumere delle responsabilità verso il mondo, non dobbiamo basarci sulla convinzione di sapere tutto e quindi anche come andrà a finire”.
«Vi confesso che una tra le prime cose che mi hanno persuaso del cristianesimo è stata la considerazione in cui era tenuta la felicità. È difficilissimo trovare persone che parlino di felicità sul serio». Sono parole di don Luigi Giussani di cui quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita e che nella sua vita hanno trovato una testimonianza persuasiva e originale. Grandissimo educatore, ha dato vita al movimento di Comunione e Liberazione ed è stato una delle personalità più vivaci e appassionate al destino dell’uomo degli ultimi decenni. La stessa Fondazione San Benedetto è nata da persone che proprio nell’incontro con don Giussani hanno scoperto un significato e una nuova direzione per la loro esistenza e ragioni autentiche per un impegno totale con la realtà. Il testo che proponiamo questa settimana, tratto da una sua conversazione con alcuni giovani nel 1986, esprime chiaramente tale passione.
Cinquant’anni fa usciva il disco più amato e conosciuto di Neil Young, “Harvest”. Quella del cantautore canadese è una musica che a prima vista sembra molto lontana dai canoni adesso di tendenza. Eppure come scrive Paolo Vites in un articolo su ilsussidiario.net ancora oggi ogni nota suona vera e autentica perché è incisa dentro il cuore dell’uomo.
Cinquant’anni fa, il 28 gennaio 1972, moriva Dino Buzzati. L’anniversario è l’occasione per riscoprire uno scrittore (e molto altro) sempre sorprendente. La sua è stata una vita trascorsa a indagare il mistero che attende dietro a tutte le cose, andando oltre quella patina di pacato scetticismo in cui siamo immersi, spesso senza neppure accorgercene. Come invito alla lettura questa settimana proponiamo due suoi brevi testi.
Accuse senza prove di fronte alle quali non viene data neppure la possibilità di difendersi. È quello che sta succedendo con l’inchiesta della cosiddetta commissione «indipendente» voluta dalla diocesi di Monaco di Baviera sui casi di abusi che in un arco di circa 70 anni hanno coinvolto esponenti della Chiesa in Germania. Per dare enfasi mediatica alla vicenda sotto accusa per omesso controllo è finito anche Benedetto XVI. È davvero questa la strada per combattere la piaga degli abusi nella Chiesa? Oppure l’obbiettivo di queste «indagini» è un altro? Su questo tema invitiamo a leggere l’articolo di Maurizio Crippa pubblicato il 22 gennaio sul Foglio.
Incontrando il corpo diplomatico nei giorni scorsi papa Francesco ha messo esplicitamente in guardia dalla cosiddetta «cancel culture» che sta prendendo piede in tutto l’occidente. Si rinnega il passato in nome di un «bene supremo indistinto e politicamente corretto». Negli Usa e nei paesi anglosassoni si abbattono le statue e si lanciano campagne di boicottaggio, in Italia per ora la questione è più sfumata ma esiste. Sul tema segnaliamo l’intervento di Antonio Polito sul Corriere della Sera del 12 gennaio.