«Dio nei campi di sterminio c’era, l’ho capito così»
Jadwiga Pinderska Lech, presidente della Fondazione vittime di Auschwitz-Birkenau, ha ereditato la stanza di Eduard Wirths, capo di Mengele: s’affaccia sulla camera a gas e sulla forca che impiccò Hoss. «Smascherai un finto Sonderkommando. Dio? C’era, l’ho capito da un rosario di pane»
di Stefano Lorenzetto
dal Corriere della Sera – 4 settembre 2021
Inutile cercare Auschwitz o Birkenau, in tedesco. Devi scrivere Oswiecim, in polacco. Sui navigatori delle auto lo trovi nel menu «Attrazioni turistiche», anodinamente indicato come «campo di concentramento». Il paradosso del più immenso campo di sterminio concepito dall’uomo — oltre 1,1 milioni di morti, in maggioranza ebrei — è questo: un non luogo, per i cartografi, visitato però da 1.000 persone l’ora, 10.000 al giorno, 2,2 milioni nel 2019, prima della pandemia.
Jadwiga Pinderska Lech è la presidente della Fondazione vittime di Auschwitz-Birkenau. «Quanti superstiti restano in vita? Stimiamo che nel mondo siano almeno un centinaio».
È lei a dare voce ai sopravvissuti. Valuta i loro manoscritti e decide se pubblicarli o no. Come responsabile della casa editrice del Museo statale di Auschwitz-Birkenau, tra inediti e ristampe manda in libreria un volume a settimana, in 22 lingue. Mai romanzi: solo storie vere. «Il bambino con il pigiama a righe lo avrei respinto».
Pinderska Lech arriva la mattina alle 7 in quello che fu l’ospedale del Dottor Morte, riservato alle SS. Ha ereditato l’ufficio che dal 1942 al 1945 appartenne a Eduard Wirths, medico capo del lager, il superiore di Josef Mengele. Dalla finestra vedi l’unica camera a gas che non venne distrutta dai nazisti, perché dal 1944 ne fecero un rifugio antiaereo. Accanto, la forca da cui il 16 aprile 1947 penzolò Rudolf Höss, il comandante del campo di sterminio, impiccato per ordine della Corte Suprema di Varsavia. Intorno, la doppia recinzione di filo spinato, un tempo percorsa dall’elettricità. Sullo sfondo, seminascosta dagli abeti, la palazzina in cui Höss viveva con la moglie e i cinque figli.
La sua professione costringe talvolta Pinderska Lech a trasformarsi in detective. «Mi è accaduto con Antonio B., un veneto. Oggi dovrebbe avere 98 anni. Nel 2015 si presentò in questo ufficio con un regista. Sosteneva di essere stato fra i Sonderkommando, i prigionieri costretti a rasare a zero i compagni di sventura prima che fossero gasati, a strappare i denti d’oro alle salme e a incenerirle nei forni crematori».
Che io sappia, gli unici Sonderkommando italiani erano Shlomo Venezia, suo fratello Maurice e i loro due cugini.
«Infatti cercai negli schedari il numero di matricola di B. ma apparteneva a un altro deportato. Inoltre questo signore non era ebreo e non recava il tatuaggio sul braccio. In compenso aveva imparato a memoria la Monografia del campo edita da noi. Andava in giro a tenere conferenze. Aveva persino ricevuto una medaglia dal vostro presidente della Repubblica. Era già stato qui dieci volte».
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