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La prof. che portò Havel in Italia

  • Data 3 Luglio 2022

di Ubaldo Casotto

da Il Foglio – 29 giugno 2022

Antonietta Tartagni. Pochi lettori del Foglio la conoscono. E’ morta ieri a Forlì. Aveva settantotto anni. E’ stata per decenni insegnante di latino e greco. Ogni persona è unica, Antonietta Tartagni è particolarmente unica perché è stata la prima traduttrice di Václav Havel in un paese occidentale. E’ successo nel 1979, quando il Muro di Berlino era ancora su e in Italia in molti idealizzavano il “socialismo reale”, nonostante la repressione violenta della rivolta d’ungheria del 1956, nonostante i carri armati nelle strade cecoslovacche nel 1968 a stroncare la Primavera di Praga, nonostante l’espulsione del premio Nobel Aleksandr Solgenitsin dalla Russia nel 1974, nonostante i Gulag

Antonietta era redattrice di Cseo, il Centro studi Europa orientale fondato da un geniale e vulcanico prete di Forlì, don Francesco Ricci, che girava con i suoi ragazzi, tra questi Antonietta, i paesi d’oltrecortina (Jugoslavia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Polonia), animato da quella che definiva “la cultura dell’incontro”: incontravano, scrittori, poeti, filosofi, preti, operai, studenti, famiglie “cercando all’est quello che poteva aiutare anche l’ovest”, come disse Antonietta tre anni fa a un convegno a Forlì in occasione della mostra su “Il potere dei senza potere. Interrogatorio a distanza con Václav Havel”. Cseo pubblicava, prima e unica rivista in occidente per anni, le testimonianze di questi dissidenti fatte uscire di nascosto, e non senza rischi, dai loro paesi. Era il fenomeno del Samizdat.

In uno di questi viaggi don Ricci conobbe un sacerdote ceco che poi si rifugiò in Italia e che, nel 1979, gli consegnò un plico, giunto a Roma in una scatola di cioccolatini boemi, contenente cento sottilissime veline battute a macchina: era, grazie alla carta carbone, la quinta, forse la sesta copia di un dattiloscritto. L’autore, Václav Havel, un drammaturgo ceco, in quel momento era in carcere a Praga. Don Ricci decise di pubblicarlo subito: “E’ l’autodifesa che Havel non potrà pronunciare nel processo che lo attende”. Era Il potere dei senza potere, il manifesto del dissenso nei paesi comunisti dell’est Europa. Antonietta lo tradusse di notte – di giorno insegnava – appassionandosi e affezionandosi a quel verduraio praghese (il protagonista del libro) che, stanco di vivere nella menzogna, si ribella e non espone più tra patate e zucchine il cartello consegnatogli dal partito: “Proletari di tutto il mondo unitevi”. Un tentativo di vivere nella verità da cui partì la Rivoluzione di velluto che nel 1989, in modo assolutamente non violento, portò al rovesciamento del regime comunista cecoslovacco e all’elezione di Havel alla presidenza della Repubblica.

Quando nel 1984 un’altra redattrice di Cseo, Annalia Guglielmi, riuscì a portare ad Havel una copia dell’edizione italiana, incontrandolo clandestinamente nel suo appartamento di Praga – era appena stato scarcerato – il futuro presidente si stupì e disse che era la prima edizione in occidente. Anni dopo, inizio gennaio 1990, durante i festeggiamenti per la sua elezione, vide nella folla di piazza San Venceslao un giovane che agitava un libro tenendolo alto sopra la testa, era Luigi Amicone, all’epoca giornalista del Sabato e poi fondatore e direttore di Tempi, che per attirare l’attenzione di Havel usava “Il potere dei senza potere” che, quando era all’università, aveva acquistato e letto appena pubblicato, ne aveva ricavato manifesti poi affissi nel chiostro della Cattolica di Milano, e uno slogan con cui partecipò alle elezioni universitarie: “La prima politica è vivere”. Havel riconobbe la copertina e ricordò la ragazza che gli aveva portato quel libro sei anni prima: “Fatelo passare – disse alla sua guardia del corpo – questi sono amici”. Amicone ne ricavò un autografo e, mesi dopo, un’intervista.

La prima di questi amici, è morta ieri a Forlì Aveva imparato il ceco quando ancora non esistevano scuole per interpreti, per poter incontrare quelli come Havel.

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piergiorgio

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Riprende da oggi l’appuntamento con la nostra newsletter domenicale «Fissiamo il pensiero» e, all’inizio di un nuovo tratto di cammino, vogliamo ripartire dal Meeting di Rimini che si è chiuso da pochi giorni. La passione ideale che è il vero motore di un evento come il Meeting unico per il suo carattere e la sua rilevanza in Italia, e probabilmente anche in Europa, pur con modalità e dimensioni diverse, è la stessa che ci muove come Fondazione San Benedetto. Del Meeting si sono occupati anche i media, dando spazio però, come avviene da anni, in modo prevalente agli incontri di tipo politico. Tutti appuntamenti interessanti e di livello, ma il Meeting è molto di più. Perciò abbiamo sempre invitato tutti a trascorrere almeno un giorno in fiera a Rimini, unico modo per evitare giudizi affrettati e parziali. Quest’anno attorno alla frase di T.S. Eliot «Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi» (titolo dell’edizione 2025) in sei giorni si è sviluppato un programma di incontri, mostre e spettacoli davvero ricco. Solo a titolo di esempio ricordiamo gli incontri col Patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo a 1700 anni dal Concilio di Nicea, con due madri, una israeliana e l’altra palestinese, che hanno perso un figlio, testimoni di una riconciliazione possibile, con lo scrittore spagnolo Javier Cercas. E poi le mostre da quella sui martiri di Algeria a quella su Vasilij Grossman, da quella su Carlo Acutis a quella sulle voci dall’Ucraina. Nell’ultimo giorno del Meeting è stato annunciato il titolo dell’edizione del prossimo anno che riprende il verso finale della Divina Commedia: «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Su questo vi invitiamo a leggere l’articolo, tratto dal quotidiano online ilsussidiario.net, di Giuseppe Frangi, fondatore e vicepresidente di Casa Testori e amico della San Benedetto. Con lui stiamo già collaborando e altre iniziative sono in cantiere. Ricordiamo la serata dello scorso luglio a Brescia con la lettura nella chiesa di San Giovanni del dialogo sul Romanino fra Pasolini e Testori (a questo link lo potete rileggere).
Tornando al titolo del Meeting, questo sta a indicare ogni anno il passo di una storia che continua e che non si ferma a guardare indietro, bloccata su se stessa. È l’espressione di un ideale che si fa vita. Ben altro che un contenitore di eventi o, peggio, di intrattenimento. Si spiega così che dopo 46 anni il Meeting ci sia ancora e sia un luogo sempre interessante e sorprendente. Un percorso analogo lo stiamo facendo come San Benedetto. Abbiamo già in preparazione alcuni incontri sui temi dell’Europa e dell’intelligenza artificiale, e tanto altro, non mancheremo di tenervi aggiornati. Al di là delle singole iniziative la fondazione è prima di tutto un luogo di incontro e di amicizia aperto a tutti. Intanto siamo già in grado di confermarvi che da giovedì 25 settembre alle 18.30 nella nostra sede di Borgo Wührer 119 a Brescia, ci ritroveremo per la Scuola di comunità. Partendo dalla lettura di alcuni testi di don Luigi Giussani è un’occasione per mettere a confronto domande ed esperienze che riguardano la nostra vita e il suo significato. Gli incontri, della durata di un’ora, si terranno con cadenza quindicinale sempre alle 18.30. La proposta è libera, gratuita e aperta a tutti. Chiediamo solo la continuità della partecipazione come segno di serietà nel percorso che ci apprestiamo a cominciare. Il giorno 25 verranno date indicazioni su come si svolgeranno gli incontri con il calendario fino a dicembre e sul testo di riferimento.

Qualcosa di più forte e profondo della distruzione
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La newsletter di oggi è l’ultima prima della pausa estiva. Anche in queste settimane per molti dedicate al riposo e alle vacanze, mentre il mondo è in fiamme e gli orrori della guerra si moltiplicano, crediamo che non si possa far finta di nulla, aprire una parentesi o staccare la spina come si usa dire. Non si può andare in vacanza senza portarsi dietro queste ferite. Portarsele con sé rende più bello e più vero il tempo del riposo. Per questo oggi vogliamo proporvi la lettura di due testimonianze da due dei principali teatri di guerra: l’Ucraina e Gaza. Già scorse settimane avevamo ricordato il caso di Vasilij Grossman, lo scrittore ucraino che dentro lo scenario di morte prodotto dalle ideologie del ’900, non aveva mai smesso di cercare «l’umano nell’uomo» come inizio di una possibilità di speranza. Le testimonianze di oggi ci dicono che anche nelle situazioni più difficili, la violenza, la distruzione e la morte possono non essere l’ultima parola. 

La prima, pubblicata sul sito «La Nuova Europa», è di Adriano Dell’Asta, professore di lingua e letteratura russa all’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana. Racconta la storia di Alina, giovane donna ucraina, malata di cancro in fase terminale, che nei suoi ultimi giorni di vita ha trovato accoglienza in un hospice a Charkiv, mantenuto aperto anche sotto le bombe. Tutto sembra perduto, senza speranza, in guerre ogni giorno sempre più distruttive e spregiatrici di giustizia e umanità… eppure c’è chi lotta e resiste per accompagnare sin nella morte chi è senza speranza e riaffermare una dignità e una pace che nessun malvagio può cancellare. È l’infinita sorpresa di un miracolo reale che non sapremmo neppure immaginare.

La seconda testimonianza ci è offerta dalla dichiarazione fatta dal patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa al suo rientro dalla visita a Gaza insieme al patriarca ortodosso Teofilo III. «Siamo entrati – ha detto aprendo la conferenza stampa – in un luogo devastato, ma anche pieno di meravigliosa umanità. Abbiamo camminato tra le polveri delle rovine, tra edifici crollati e tende ovunque: nei cortili, nei vicoli, per le strade e sulla spiaggia – tende che sono diventate la casa di chi ha perso tutto. Ci siamo trovati tra famiglie che hanno perso il conto dei giorni di esilio perché non vedono alcuna prospettiva di ritorno. I bambini parlavano e giocavano senza battere ciglio: erano già abituati al rumore dei bombardamenti. Eppure, in mezzo a tutto questo, abbiamo incontrato qualcosa di più profondo della distruzione: la dignità dello spirito umano che rifiuta di spegnersi».

L’appuntamento con la newsletter «Fissiamo il pensiero» tornerà domenica 7 settembre. Buone vacanze!

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