• Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti
Email:
[email protected]
Fondazione San BenedettoFondazione San Benedetto
  • Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti

Fissiamo il Pensiero

  • Home
  • Fissiamo il Pensiero
  • Il potere sovversivo della lettura

Il potere sovversivo della lettura

  • Data 11 Marzo 2023

di Antonio Gnoli

da Robinson – 4 giugno 2022

È la terra inesausta della letteratura quella che da anni Giuseppe Montesano coltiva. Una sorta di archivio-mondo che tutto raccoglie, conserva, fa crescere, mettendo la ricchezza delle sue numerose letture a disposizione del lettore. Figura questa totemica che ogni volta sembra rinascere come avamposto di civiltà perdute al quale rendere onore prima che davvero sia troppo tardi. Prima che le ombre inghiottano ciò che ancora resta di vivo. La vita è davvero per Montesano l’ultima chance, l’ultima prova di resistenza prima che si venga seppelliti dalle chiacchiere, dal conformismo, dalle mezze verità che poi sono quasi sempre piccole viltà. Ho letto, lasciandomi andare al grande flusso dei suoi due libri monstre, Lettori selvaggi e Baudelaire è vivo.

Opere che non temono il rumore del tempo e anzi lo scalpellano fino a ritrovare una forma di decoroso silenzio. Vive a Sant’Arpino un paesino in provincia di Caserta e insegna filosofia in un liceo. Ha da poco pubblicato una nuova edizione di Come diventare vivi, una guida per i “lettori selvaggi”: gente che non si accontenta di vivere una sola vita e che scopre il potere sovversivo della lettura e che fa essere la realtà diversa da una prigione.

Si può evadere con i libri?

«Non si fa altro, ma occorre vedere da quale prigione si scappa».

Tra questa edizione di “Come diventare vivi” e la precedente che risale a cinque anni fa le cose sembrano decisamente peggiorate. Sospetto anche nella testa dei lettori, categoria che lei ama e sprona.

«La velocità con cui si producono i buchi nel nostro tessuto sociale e mentale è enorme. Al contempo rallenta la capacità di confrontare i pensieri con le emozioni. La malattia sembra inarrestabile. Diventare vivi è sempre più difficile».

Perché diventare e non esserlo già?

«Perché la vita è una difficile conquista».

E leggere aiuta, immagino. Lei ha scritto che a vent’anni leggeva Nietzsche ossessivamente.

«Rilessi in due, tre anni alcuni suoi libri anche quattro volte. Rilessi con due amici ad alta voce tutto Zaratustra. Arrivai a Nietzsche forse spinto da qualche sua frase che avevo orecchiato su Dostoevskij o su Baudelaire, e perché un amico mi aveva parlato misteriosamente di lui. Sentii, dopo un po’, che era illuminante e rovinoso, come un veleno o una droga. Per curarmi leggevo testi come La città di Dio di Sant’Agostino o i Dialoghi di Platone o Le lettere di San Paolo. Leggevo per tenere a bada Nietzsche e le sue insidiose seduzioni. Ho sempre fatto così con tutti quelli che considero maestri».

Ci sono ancora i maestri?

«Ci sono sempre, credo: siamo noi a non vederli, per egocentrismo o per mancanza di umiltà. Maestro è semplicemente chi possiede una conoscenza che vale la pena fare di tutto per possedere. Io ho avuto molti maestri e continuo ad averli: ma la grandissima parte di essi non erano e non sono vivi. Li ho incontrati ascoltando, leggendo, guardando. Sono grato a tutti e lo sono in particolare a mio padre».

Perché?

«Ero solo un bambino quando cominciò a raccontarmi I miserabili di Hugo. Ricordo che a dieci anni mi regalò I tre moschettieri in una edizione integrale. In quel periodo, nella nostra casa piccola e semplice, comparve la collana “i classici del mondo” della Utet. Mio padre disse che erano per me. Lui non era uno studioso o un accademico, era un maestro elementare. Ma leggeva molto e con passione, e io lo imitavo. Mi affascinava il suo volto concentrato nella lettura dei romanzi: un volto che era quello di chi vive il piacere profondissimo di stare in un altro mondo e che quando ne riemerge è felicemente diverso».

È il potere taumaturgico di certi romanzi. Ancora oggi “I tre moschettieri” non ha perso la sua forza.

«È sempre così eccitante leggerlo. Ma non so il segreto di questa forza. Forse parla dell’avventura che ci manca. È drammatico, ma anche comico e frivolo, insensato ed eroico e all’improvviso è profondo e inarrivabile e tutto con una leggerezza inaudita. Insomma, il mistero resta».

Come riconosce un grande romanzo?

«Grandi romanzi sono quelli a cui so che devo tornare. Ci torno e scopro cose che non avevo capito. Non appartengono più ai loro autori perché hanno assunto una vita autonoma. Sono montagne che scalo e scalandole imparo cos’è scalare una montagna».

Leggere un grande romanzo è un po’ anche ricrearlo, inventarlo?

«No, sono i grandi romanzi che inventano te. A patto di essere umile e capire che sei tu che devi andare da loro; non loro comodamente darsi a te. Leggere un grande romanzo è una forma lucida di erotismo, una forma dell’amare, che è allo stesso tempo cosciente e inconscia. Un grande romanzo come un grande amore ti chiede tutto ciò che hai: ma ti dà sempre più di quanto gli darai».

Un grande amore letterario è per lei Baudelaire. Lo ha tradotto, commentato, biografato. Fino a farne una sorta di romanzo personale.

«L’incontro con Baudelaire è stato a 15 anni, la vera svolta fu dieci anni dopo. Baudelaire non lo capivo molto e gli preferivo i “ragazzini maledetti”: Rimbaud, Corbièr e Lautréamont. Ho scritto Baudelaire è vivo perché desideravo che Les Fleurs du mal apparisse a chiunque come ciò che è in realtà e che in genere non si vede: un romanzo fatto di poesie, con molti personaggi che entrano in scena. Un romanzo in cui la poesia si scontra sempre con la prosa».

Per ogni poesia ha scritto un commento-racconto, aggiungendo letteratura a letteratura.

«Lo trova strano?»

È come se ogni suo libro proliferi come un organismo vivo.

«Volevo esplorare la vita di Baudelaire a Parigi, città molteplice e proliferante, la prima capitale moderna dell’Occidente».

Descrive Baudelaire come lo spartiacque della modernità. In anticipo, perfino su Nietzsche, Baudelaire vede con chiarezza tutti gli elementi della modernità, cogliendone immediatamente la decadenza: Dio, eros, progresso, lusso, moda, arte, giornali, denaro, costituzione, democrazia. Per citarne alcuni. È questo il suo lascito?

«Baudelaire restò profondamente colpito dal fatto che la modernità nel momento stesso in cui nasceva veniva tradita. Le promesse della modernità erano molte e tra esse c’era il cambiamento sociale ed esistenziale che spinse il poeta, ancora giovane, sulle barricate della rivoluzione. Ma quelle promesse si rivelarono inattendibili di qui una delusione immensa, come immenso era stato il suo entusiasmo. Scrisse che saremmo morti di ciò di cui avevamo creduto di vivere».

Che cosa intendeva dire?

«Alludeva alla sciagura del progresso quando è visto solo come progresso tecnologico. Nel descrivere la realtà in cui stiamo distruggendo le fonti stesse della vita – l’acqua, l’aria, la terra – aggiungeva che l’orrore non sarebbe partito dalla politica o dalla tecnica, ma dalla corruzione dei “cuori” ovvero dal modo di vivere e sentire la vita, avvilito dal narcisismo di massa e dalla divinizzazione dell’economico».

Come fosse la religione del nuovo?

«Il nuovo, ma è un nuovo fasullo, da circa un secolo e mezzo sta nella formula con cui Walter Benjamin definisce l’economia ammalata dallo sfruttamento dell’uomo che diventa servo e non padrone dell’economia: il sempre uguale nel sempre nuovo. La religione del nuovo è l’uomo che è diventato mezzo per l’economia: mentre dovrebbe essere l’economia il mezzo e l’uomo il fine. L’economia è trattata oggi come un tempo si trattava Dio: non è più una tecnica ma una fede, per giunta cieca. Siamo in presenza di un fenomeno che è diventato velocissimo negli ultimi trent’anni».

Come possibile via di uscita lei suggerisce: “leggere per sentirsi vivi”, leggere in profondità come alternativa al conformismo letterario. Ma cosa significa profondità?

«La lettura profonda non è solo leggere libri, ma è viverli e farli diventare parte di sé stessi. Si tratta di esistere e leggere senza far diventare la propria vita, che è unica per ognuno, la “stucchevole estranea” di cui parla Kavafis. La lettura profonda è soprattutto un mezzo per tenere accesa l’immaginazione e l’intelligenza, per consentire a noi di costruire i pensieri e le immagini: e non permettere di essere invasi da immagini e pensieri prefabbricati».

Concretamente cosa significa leggere un romanzo in profondità?

«Attivare il pensiero, ma anche tutti i sensi. Devo immaginare un personaggio in un luogo, entrare nelle sue emozioni come anche in quelle dell’altro personaggio da cui è attratto o respinto. Devo immaginare le facce, i corpi e i pensieri. E se due si toccano devo immaginare il tatto delle dita sui corpi, il profumo della pelle, il sapore della saliva e così via: un esercizio straordinario in cui tutte le facoltà mentali devono essere adoperate al massimo».

È un esercizio quasi medianico quello che lei richiede ai suoi lettori selvaggi.

«È un’azione che sviluppa una gran quantità di piacere, accresce e potenzia la nostra capacità emotiva oltre che mentale. Anche i neuroscienziati sostengono che la lettura profonda è fondamentale. Al contrario la lettura surf, che si ferma alla superficie, impoverisce le connessioni cerebrali, quindi il pensiero e le emozioni. Chi è in grado di esercitare una lettura profonda può capire e sentire meglio gli altri. La lettura profonda rende liberi dall’egoismo narcisistico. Questo cambiamento interiore è indispensabile a tutti gli altri cambiamenti, persino sociali».

Non è chiedere troppo a un libro?

«Non si chiede mai abbastanza».

Lei è un insegnante di filosofia, in un liceo di provincia. Che cosa ama del suo lavoro?

«Ciò che mi piace dell’insegnare è che sono costretto a rendere essenziali le cose e so che per riuscirci devo capirle bene io. Non posso spiegare Platone a dei sedicenni riempendogli la testa di muffa rimasticata. Devo spingerli a pensare. Farlo con ragazzini che praticano la lettura di superficie è una sfida che mi appassiona. Preferisco che scavino in pochi concetti piuttosto che sappiano molte cose. A volte mi sorprendono: fra i 16 e 19 anni i ragazzi sono dei nativi pensanti, altro che nativi digitali! Capiscono le idee di Platone e li faccio “giocare” a costruire sillogismi aristotelici».

Loro come la vedono?

«Come uno che esce dal suo mondo di scrittore, un mondo solitario e ossessivo. È come se ogni volta facessi un bagno nei modi diversi di essere adolescenti. Per far fronte al loro cambiamento sono costretto a restare vivo».

Quali libri consiglia ai suoi studenti?

«Da molti anni non ne consiglio più: cerco di farglieli balenare come qualcosa di unico. Accade che alcuni di loro mi chiedano una lista di libri indispensabili da leggere: solo allora, dopo molte insistenze, consiglio dei libri e gli spiego come usarli e quando. Tutto questo avviene in provincia, ma potrebbe accadere ovunque».

Colpisce nelle sue opere il continuo intreccio con il romanzo. Quasi non ci fosse vera distinzione di generi. Al tempo stesso lei è anche scrittore di romanzi.

«Il romanzo, ma insieme al romanzo la poesia, è per me il modello di qualsiasi scrittura: anche critica. Scrivendo romanzi ho la libertà di immaginare la realtà in maniera tale da sentirla e da vederla con più attenzione, più in dettaglio, più concretamente: poesia e romanzo sono i mezzi di una conoscenza non astratta, bensì emotiva e corporea. Per quanto mi riguarda, questa è la sola conoscenza che ci libera e ci risveglia dai sonni dogmatici e dall’orrore della ripetizione. Non penso che nasciamo vivi: vivi lo diventiamo. E cercare di riuscirci, accada pure quel che deve, è tutto ciò che importa».

Tag:Baudelaire, lettura

  • Condividi
piergiorgio

Articolo precedente

«La mia casa sei tu», aperte le iscrizioni al Mese Letterario
11 Marzo 2023

Prossimo articolo

ChatGPT e il mistero della nostra anima immortale
19 Marzo 2023

Ti potrebbe interessare anche

Un’amicizia imprevedibile
3 Maggio, 2025

In attesa del Conclave che dovrà eleggere il nuovo papa, nella newsletter di questa settimana ci soffermiamo ancora sulla figura di papa Francesco proponendovi la testimonianza di due giovani siciliani, Giuseppe e Claudia, oggi marito e moglie, che l’hanno conosciuto in un frangente molto complicato della loro vita. La riprendiamo dall’articolo, pubblicato sul sito del movimento di Comunione e Liberazione, che vi invitiamo a leggere. È la storia di un’amicizia imprevedibile, una testimonianza che parla da sola per la sua semplicità e per la straordinaria intensità di vita che comunica.  

«Non addomesticate le vostre inquietudini», ricordando Francesco
26 Aprile, 2025

«La parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino». Questa settimana apriamo la nostra newsletter domenicale con queste parole di papa Francesco tratte dalla sua lettera ai poeti, pubblicata l’anno scorso, di cui vi proponiamo la lettura. Fra i tanti testi possibili abbiamo scelto questa lettera per esprimere la nostra gratitudine per ciò che questo Papa è stato. Le sue sono parole che vanno dirette al cuore. La poesia e la letteratura diventano un aiuto formidabile «a capire me stesso, il mondo, ma anche ad approfondire il cuore umano». Fanno emergere un’esperienza «debordante», che spinge ad andare «oltre i bordi chiusi», a non addomesticare le inquietudini. «Raccogliete gli inquieti desideri che abitano il cuore dell’uomo – scrive ai poeti -, perché non si raffreddino e non si spengano». Allo stesso modo c’è l’invito a non «addomesticare il volto di Cristo, mettendolo dentro una cornice e appendendolo al muro». Significa «distruggere la sua immagine».

foto rawpixel.com

Quanto scrive Francesco lo sentiamo particolarmente vicino perché esprime molto efficacemente lo spirito che ci ha sempre mosso nella proposta di un’iniziativa come il Mese Letterario. Come abbiamo sottolineato non si tratta di un’attività culturale o di divulgazione, né tantomeno è una forma di intrattenimento. Nel suo piccolo per tante persone è stata invece un’occasione per riscoprire la ricchezza umana che la letteratura può offrire oltre al valore della lettura come atto di libertà. In alcuni grandi scrittori e poeti abbiamo trovato quel fuoco che è alimentato dalle domande fondamentali sull’esistenza e da un desiderio di verità, di giustizia, di bellezza che non accetta di adeguarsi a qualche sistemazione accomodante. Tra parantesi ricordiamo che giovedì 8 maggio prenderà il via la quindicesima edizione del Mese Letterario. Per chi non si fosse ancora iscritto è possibile farlo a questo link dove trovate anche il programma degli incontri. 
Tornando a papa Francesco, in questi giorni sono stati pubblicati parecchi articoli, alcuni davvero interessanti, sulla sua figura e sul suo pontificato. Qui vogliamo semplicemente segnalarvi un breve ricordo scritto dal cardinale Angelo Scola sul Corriere. «In questi giorni — più che interessarmi di analisi e bilanci del papato di Francesco, in ogni caso troppo prematuri — la domanda che si è aperta in me – osserva Scola – è stata: quale richiamo il Padre Eterno ha suggerito alla mia vita e per la mia conversione attraverso papa Francesco?». Ecco questa domanda descrive, prima di ogni analisi o considerazione, la posizione più vera per vivere questi giorni.      

Alla fine di un mondo
20 Aprile, 2025

«L’uomo che vuole fare senza Dio, fallisce. Alla fine dei conti, arriva a fare esperienza di vuoto. Di vuoto di senso. Non riesce a costruire prospettive a lungo termine. In questa società post secolare l’uomo è rimasto con la fame dentro. Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Mi viene ora in mente l’Inquisitore dei Fratelli Karamazov, “dategli il pane e staranno bene!”. Diamo il pane, diamo la giustizia umana… tutte cose che abbiamo già visto. Poi l’uomo si accorge che resta affamato, alla ricerca di qualcosa che gli riempia la vita e il cuore. Lì la Chiesa deve intervenire con la sua proposta». A parlare così è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, in un’intervista davvero interessante pubblicata dal Foglio, che vi vogliamo proporre come lettura in occasione di questa Pasqua 2025. Un testo da leggere con grande attenzione che contiene passaggi illuminanti che vanno al cuore dei problemi di oggi. Nell’intervista Pizzaballa si sofferma sull’attuale situazione in Terra Santa, dove «niente tornerà più come prima», per passare poi alla crisi della Chiesa e al tema della fede. «Non dobbiamo temere i cambiamenti – sottolinea il patriarca -, non dobbiamo vivere di paura. Sta finendo un modello di Chiesa. Credo che Benedetto XVI l’abbia detto bene: sappiamo che sta finendo qualcosa ma non sappiamo come sarà dopo. Si definirà col tempo. Anche questa crisi, dunque, produrrà qualcosa. Le nostre valutazioni sono sempre molto umane, c’è la tentazione del potere, dei numeri, della visibilità. Ci sta anche, eh. Dobbiamo essere visibili. Ma non dobbiamo temere più di tanto questo, perché c’è anche Dio, c’è anche lo Spirito Santo. C’è la Chiesa che, attraverso la testimonianza di tante realtà, crea ancora qualcosa di buono. Non avrei troppa paura. Bisogna preoccuparsi, e lo ripeto, di essere autentici, genuini. La Chiesa non deve fare marketing: la Chiesa deve dire che non c’è niente di meglio nella vita che incontrare Gesù Cristo». Quello di Pizzaballa è anche un forte invito a riscoprire la differenza che il cristianesimo introduce nella vita dell’uomo e della società: «Il rischio – spiega – c’è sempre, sia nella Chiesa sia fuori dalla Chiesa, quello di non complicarsi la vita, di stare nell’ordinario, fatto di orizzonti normali, che stanno dentro una comprensione solo umana. Mentre invece l’incontro con Dio rompe sempre gli schemi e su questo il cristianesimo deve fare la differenza. Se non la fa, puoi avere anche tante chiese e belle basiliche, ma diventi irrilevante perché non hai niente di importante da dire». 

Cerca

Categorie

  • Fissiamo il Pensiero
  • I nostri incontri
    • I nostri incontri – 2015
    • I nostri incontri – 2016
    • I nostri incontri – 2017
    • I nostri incontri – 2018
    • I nostri incontri – 2019
    • I nostri incontri – 2021
    • I nostri incontri – 2022
    • I nostri incontri – 2023
    • I nostri incontri – 2024
    • I nostri incontri – 2025
  • Mese Letterario
    • 2010 – I Edizione
    • 2011 – II Edizione
    • 2012 – III Edizione
    • 2013 – IV Edizione
    • 2014 – V Edizione
    • 2015 – VI Edizione
    • 2016 – VII Edizione
    • 2017 – VIII Edizione
    • 2018 – IX Edizione
    • 2019 – X Edizione
    • 2021 – XI Edizione
    • 2023 – XIII Edizione
    • 2024 – XIV edizione
  • Scuola San Benedetto – edizioni passate
  • Tutti gli articoli

Education WordPress Theme by ThimPress. Powered by WordPress.

VUOI SOSTENERCI?

Siamo una fondazione che ha scelto di finanziarsi con il libero contributo di chi ne apprezza l’attività

Voglio fare una donazione
Borgo Wührer, 119 - 25123 Brescia
[email protected]

Resta sempre aggiornato

Iscriviti subito alla nostra newsletter per non perderti le attività e gli eventi organizzati dalla Fondazione San Benedetto.

Iscriviti

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Copyright © Fondazione San Benedetto Educazione e Sviluppo

Mappa del sito | Privacy Policy | Cookie Policy

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy