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Don Giussani e la «stoffa» del santo 

  • Data 12 Maggio 2024
Giovedì scorso a Milano nella basilica di Sant’Ambrogio si è aperta con la prima sessione pubblica la fase testimoniale del processo per la beatificazione e la canonizzazione di don Luigi Giussani, il sacerdote milanese fondatore di Comunione e Liberazione, morto nel 2005. Un momento significativo anche per la storia della nostra fondazione che è nata proprio dall’iniziativa di alcune persone colpite e affascinate dal carisma di don Giussani. Su questo avvenimento segnaliamo l’articolo pubblicato sul Foglio dal vicedirettore Maurizio Crippa.

Don Giussani alla lavagna durante una lezione

«Guardando la vita di Giussani, e l’avvenimento di vita da lui generato, – scrive – la cosa più evidente, se non un miracolo, è indubbiamente questo “fascino”, per usare la parola dell’arcivescovo di Milano Delpini, questo “spettacolo” di “vita nuova” scaturito. E spesso in contesti in cui il cristianesimo sembrava destinato a deludere le donne e gli uomini del nostro tempo». Nell’articolo Crippa ricorda l’ultima intervista di Giussani al Corriere quando, poco prima di morire, «aveva ripetuto che la fede “è una vita e non un discorso sulla vita”». E proprio «la stoffa di don Giussani ha reso possibile a migliaia e migliaia di persone di sperimentarlo. Qualcosa che può interessare, oggi», a tutti. 


Giovedì incontro sull’Europa con de Bortoli, Mauro e Prodi 

Ricordiamo che giovedì 16 maggio alle 18 si svolgerà a Brescia il primo dei due incontri promossi dalla Fondazione San Benedetto in vista delle elezioni europee e delle presidenziali americane. L’appuntamento è al Centro Paolo VI in via Gezio Calini 30. Sul tema «L’Europa che vogliamo» interverranno Ferruccio de Bortoli, giornalista e saggista, già direttore del Corriere della Sera, Mario Mauro, già vicepresidente del Parlamento europeo e ministro della Difesa, e Romano Prodi, già presidente della Commissione europea e presidente del Consiglio.  Abbiamo già ricevuto tantissime adesioni. Ricordiamo che la partecipazione è gratuita e aperta a tutti sino ad esaurimento dei posti disponibili ma è necessario registrarsi cliccando su questo link. Sarà possibile accedere all’aula magna a partire dalle 17.30. Si raccomanda la puntualità, non ci saranno posti riservati. 
Il secondo incontro si svolgerà invece giovedì 23 maggio alle 18 sul tema «Gli Stati Uniti verso il voto» con gli interventi di Marco Bardazzi, giornalista e autore di «Rapsodia americana», e Lorenzo Pregliasco, analista politico, co-fondatore e direttore di YouTrend. 

La seconda fase del processo di beatificazione del fondatore di CL 

di Maurizio Crippa 
da Il Foglio – 10 maggio 2024

“Il santo non è né un mestiere per pochi né un pezzo da museo. La santità va vista in ogni tempo come la stoffa della vita cristiana”. Sotto le volte romaniche di Sant’ambrogio risuonano i “Secondi vespri” della solennità dell’ascensione. Il giorno prescelto, la liturgia e l’occasione sono davvero solenni: è iniziata ieri la Prima sessione pubblica della Fase testimoniale per la causa di beatificazione e di canonizzazione di don Luigi Giussani. Alla memoria tornano le parole di un testo del Gius molto caro ai suoi “ragazzi”, scritto a metà anni Settanta come introduzione a un piccolo libro straordinario, le biografie di “Santi” che il giornalista della Bbc Cyril Martindale aveva realizzato per la radio. Scriveva Giussani: “Il santo non è un superuomo, è un uomo vero perché aderisce a Dio… Il mondo ha ancora, soprattutto oggi, bisogno dello spettacolo della santità”. Tutta la vita del fondatore di Comunione e liberazione è vissuta di questo ideale, del quale ora la Chiesa cerca il riconoscimento della “fama” attraverso la voce di chi lo ha conosciuto. Il 24 febbraio 2005 nel duomo di Milano la bara di don Giussani era deposta sulla nuda pietra, coperta solo dalla cotta e da una stola: “Nella semplicità del mio cuore lietamente ti ho dato tutto” è un’orazione della liturgia ambrosiana che don Giussani ripeteva sempre.

Con intelligenza e sensibilità, l’arcivescovo Mario Delpini, che ieri ha presieduto la liturgia che ha racchiuso l’apertura formale della nuova fase processuale, ha scelto che avvenisse in Sant’ambrogio: per l’affezione di Giussani al santo vescovo, così animato dalla cura del popolo cristiano, e per la vicinanza all’università Cattolica in cui Giussani insegnò teologia per lunghi anni coinvolgendo migliaia di giovani. Per il fondatore di Comunione e liberazione, “servo di Dio”, si era chiusa la prima parte della causa di beatificazione, iniziata dodici anni fa: quella della raccolta dei documenti. Una mole infinita di libri, testi, lettere, decine di migliaia di pagine. Ora l’inizio della seconda fase, le testimonianze, è stata annunciata da un solenne “Editto” in cui l’arcivescovo di Milano ha ricordato “la freschezza di iniziative e nuove intuizioni” che “coinvolsero sempre più numerosi giovani e adulti, dando vita al movimento… sempre custodendo il cuore della proposta originaria, che ci riporta alle parole del nostro massimo Patrono, sant’ambrogio: ‘Cristo è tutto per noi’”. Nel suo breve intervento di ieri, Delpini ha ripetuto più volte l’espressione “come è affascinante il carisma nella chiesa”, intendendo “quell’impeto che è capace di svegliare una vita nuova”. Ed è appunto ciò che la seconda fase dovrà verificare nella voce del popolo di Dio: “Invito chiunque lo voglia a fornirmi notizie documentate e veritiere utili per la migliore conoscenza del Servo di Dio, della sua vita, dei suoi atti, della sua spiritualità, dei suoi frutti”, dice l’editto. All’atto pratico, spiega monsignor Ennio Apeciti, responsabile del Servizio diocesano per le cause dei santi e delegato per la causa di beatificazione, saranno ascoltati 50-60 testimoni. Anche l’idea di ascoltare pochi testimoni è significativa: e non saranno “solo persone di età, considerato che Giussani è morto nel 2005, ma anche giovani che possono dire come monsignor Giussani abbia indicato loro una via esemplare di testimonianza”. Perché se c’è una cosa che caratterizza la storia nata da don Giussani è la grande quantità di persone che hanno incontrato il suo carisma, in ogni parte del mondo, e scoperto il cristianesimo, senza averlo conosciuto di persona.

Terminata la fase testimoniale, tutto passerà al dicastero delle Cause dei santi in Vaticano, con l’eventuale decisione del Papa di dichiarare “venerabile” Giussani. Per la terza fase, quella che riguarda la beatificazione, è come noto necessario il riconoscimento di un miracolo. E anche se monsignor Apeciti ha dichiarato che “ci sono non pochi fatti che se non sono miracoli, cioè non spiegabili scientificamente, sono delle grazie”, questa è faccenda ovviamente nelle mani di Dio e nel giudizio della Chiesa. Nella sua introduzione ai “Santi” Giussani citava i versi di Paul Claudel, “il più bel canto sulla santità cristiana dei nostri tempi”, dall’“annuncio a Maria”: “Santità non è baciare sulla bocca un lebbroso o morire in terra di paganìa, ma fare la volontà di Dio, prontamente”. Guardando la vita di Giussani, e l’avvenimento di vita da lui generato, la cosa più evidente, se non un miracolo, è indubbiamente questo “fascino”, per usare la parola di Delpini, questo “spettacolo” di “vita nuova” scaturito. E spesso in contesti in cui il cristianesimo sembrava destinato a deludere le donne e gli uomini del nostro tempo. La domenica delle Palme del 1975, dopo un’udienza delle associazioni giovanili convocata da Paolo VI, in aula Nervi Giussani disse ai suoi: “Man mano che maturiamo, siamo a noi stessi spettacolo e, Dio lo voglia, anche agli altri”, echeggiando san Paolo. Ma spiegò: “Spettacolo, cioè, di limite e di tradimento, e perciò di umiliazione, e nello stesso tempo di sicurezza inesauribile nella Grazia che ci viene donata e rinnovata ogni mattino. Da qui viene quella baldanza ingenua che ci caratterizza”.

E’ significativo che siano da qualche tempo in corso anche le cause di beatificazione di due discepoli di Giussani, il medico Enzo Piccinini e il professore, memor Domini e missionario per vent’anni in Perù Andrea Aziani. Entrambi laici, “cioè cristiani”, per usare un’altra celebre espressione del Gius. “La santità, come origine di cultura, è organizzatrice di un popolo, di un popolo nuovo”, diceva. Se sarà miracolo lo deciderà la Chiesa, ma lo “spettacolo” di aver suscitato anche attraverso i suoi questa rinascita del cristianesimo nella vita delle persone è un’evidenza che vale per la Chiesa, che genera la grande commozione di tutto il movimento, così palpabile ieri. Nella sua ultima intervista al Corriere, poco prima di morire, aveva ripetuto che la fede “è una vita e non un discorso sulla vita”. La stoffa di don Giussani ha reso possibile a migliaia e migliaia di persone di sperimentarlo. Qualcosa che può interessare, oggi, “a tutti i fedeli della diocesi ambrosiana e a tutte le persone di buona volontà”, come annuncia nel suo editto l’arcivescovo Delpini.

Tag:Don Giussani

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È la letteratura la vera educazione affettiva
15 Novembre, 2025

In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
8 Novembre, 2025

Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

Il Cristo di Manoppello e Sgarbi trafitto dalla bellezza
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