Don Giussani e la «stoffa» del santo
«Guardando la vita di Giussani, e l’avvenimento di vita da lui generato, – scrive – la cosa più evidente, se non un miracolo, è indubbiamente questo “fascino”, per usare la parola dell’arcivescovo di Milano Delpini, questo “spettacolo” di “vita nuova” scaturito. E spesso in contesti in cui il cristianesimo sembrava destinato a deludere le donne e gli uomini del nostro tempo». Nell’articolo Crippa ricorda l’ultima intervista di Giussani al Corriere quando, poco prima di morire, «aveva ripetuto che la fede “è una vita e non un discorso sulla vita”». E proprio «la stoffa di don Giussani ha reso possibile a migliaia e migliaia di persone di sperimentarlo. Qualcosa che può interessare, oggi», a tutti.
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La seconda fase del processo di beatificazione del fondatore di CL
“Il santo non è né un mestiere per pochi né un pezzo da museo. La santità va vista in ogni tempo come la stoffa della vita cristiana”. Sotto le volte romaniche di Sant’ambrogio risuonano i “Secondi vespri” della solennità dell’ascensione. Il giorno prescelto, la liturgia e l’occasione sono davvero solenni: è iniziata ieri la Prima sessione pubblica della Fase testimoniale per la causa di beatificazione e di canonizzazione di don Luigi Giussani. Alla memoria tornano le parole di un testo del Gius molto caro ai suoi “ragazzi”, scritto a metà anni Settanta come introduzione a un piccolo libro straordinario, le biografie di “Santi” che il giornalista della Bbc Cyril Martindale aveva realizzato per la radio. Scriveva Giussani: “Il santo non è un superuomo, è un uomo vero perché aderisce a Dio… Il mondo ha ancora, soprattutto oggi, bisogno dello spettacolo della santità”. Tutta la vita del fondatore di Comunione e liberazione è vissuta di questo ideale, del quale ora la Chiesa cerca il riconoscimento della “fama” attraverso la voce di chi lo ha conosciuto. Il 24 febbraio 2005 nel duomo di Milano la bara di don Giussani era deposta sulla nuda pietra, coperta solo dalla cotta e da una stola: “Nella semplicità del mio cuore lietamente ti ho dato tutto” è un’orazione della liturgia ambrosiana che don Giussani ripeteva sempre.
Con intelligenza e sensibilità, l’arcivescovo Mario Delpini, che ieri ha presieduto la liturgia che ha racchiuso l’apertura formale della nuova fase processuale, ha scelto che avvenisse in Sant’ambrogio: per l’affezione di Giussani al santo vescovo, così animato dalla cura del popolo cristiano, e per la vicinanza all’università Cattolica in cui Giussani insegnò teologia per lunghi anni coinvolgendo migliaia di giovani. Per il fondatore di Comunione e liberazione, “servo di Dio”, si era chiusa la prima parte della causa di beatificazione, iniziata dodici anni fa: quella della raccolta dei documenti. Una mole infinita di libri, testi, lettere, decine di migliaia di pagine. Ora l’inizio della seconda fase, le testimonianze, è stata annunciata da un solenne “Editto” in cui l’arcivescovo di Milano ha ricordato “la freschezza di iniziative e nuove intuizioni” che “coinvolsero sempre più numerosi giovani e adulti, dando vita al movimento… sempre custodendo il cuore della proposta originaria, che ci riporta alle parole del nostro massimo Patrono, sant’ambrogio: ‘Cristo è tutto per noi’”. Nel suo breve intervento di ieri, Delpini ha ripetuto più volte l’espressione “come è affascinante il carisma nella chiesa”, intendendo “quell’impeto che è capace di svegliare una vita nuova”. Ed è appunto ciò che la seconda fase dovrà verificare nella voce del popolo di Dio: “Invito chiunque lo voglia a fornirmi notizie documentate e veritiere utili per la migliore conoscenza del Servo di Dio, della sua vita, dei suoi atti, della sua spiritualità, dei suoi frutti”, dice l’editto. All’atto pratico, spiega monsignor Ennio Apeciti, responsabile del Servizio diocesano per le cause dei santi e delegato per la causa di beatificazione, saranno ascoltati 50-60 testimoni. Anche l’idea di ascoltare pochi testimoni è significativa: e non saranno “solo persone di età, considerato che Giussani è morto nel 2005, ma anche giovani che possono dire come monsignor Giussani abbia indicato loro una via esemplare di testimonianza”. Perché se c’è una cosa che caratterizza la storia nata da don Giussani è la grande quantità di persone che hanno incontrato il suo carisma, in ogni parte del mondo, e scoperto il cristianesimo, senza averlo conosciuto di persona.
Terminata la fase testimoniale, tutto passerà al dicastero delle Cause dei santi in Vaticano, con l’eventuale decisione del Papa di dichiarare “venerabile” Giussani. Per la terza fase, quella che riguarda la beatificazione, è come noto necessario il riconoscimento di un miracolo. E anche se monsignor Apeciti ha dichiarato che “ci sono non pochi fatti che se non sono miracoli, cioè non spiegabili scientificamente, sono delle grazie”, questa è faccenda ovviamente nelle mani di Dio e nel giudizio della Chiesa. Nella sua introduzione ai “Santi” Giussani citava i versi di Paul Claudel, “il più bel canto sulla santità cristiana dei nostri tempi”, dall’“annuncio a Maria”: “Santità non è baciare sulla bocca un lebbroso o morire in terra di paganìa, ma fare la volontà di Dio, prontamente”. Guardando la vita di Giussani, e l’avvenimento di vita da lui generato, la cosa più evidente, se non un miracolo, è indubbiamente questo “fascino”, per usare la parola di Delpini, questo “spettacolo” di “vita nuova” scaturito. E spesso in contesti in cui il cristianesimo sembrava destinato a deludere le donne e gli uomini del nostro tempo. La domenica delle Palme del 1975, dopo un’udienza delle associazioni giovanili convocata da Paolo VI, in aula Nervi Giussani disse ai suoi: “Man mano che maturiamo, siamo a noi stessi spettacolo e, Dio lo voglia, anche agli altri”, echeggiando san Paolo. Ma spiegò: “Spettacolo, cioè, di limite e di tradimento, e perciò di umiliazione, e nello stesso tempo di sicurezza inesauribile nella Grazia che ci viene donata e rinnovata ogni mattino. Da qui viene quella baldanza ingenua che ci caratterizza”.
E’ significativo che siano da qualche tempo in corso anche le cause di beatificazione di due discepoli di Giussani, il medico Enzo Piccinini e il professore, memor Domini e missionario per vent’anni in Perù Andrea Aziani. Entrambi laici, “cioè cristiani”, per usare un’altra celebre espressione del Gius. “La santità, come origine di cultura, è organizzatrice di un popolo, di un popolo nuovo”, diceva. Se sarà miracolo lo deciderà la Chiesa, ma lo “spettacolo” di aver suscitato anche attraverso i suoi questa rinascita del cristianesimo nella vita delle persone è un’evidenza che vale per la Chiesa, che genera la grande commozione di tutto il movimento, così palpabile ieri. Nella sua ultima intervista al Corriere, poco prima di morire, aveva ripetuto che la fede “è una vita e non un discorso sulla vita”. La stoffa di don Giussani ha reso possibile a migliaia e migliaia di persone di sperimentarlo. Qualcosa che può interessare, oggi, “a tutti i fedeli della diocesi ambrosiana e a tutte le persone di buona volontà”, come annuncia nel suo editto l’arcivescovo Delpini.
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