Solo grazie per il nostro grande amico Paolo Fumagalli
Solo grazie per il nostro grande amico Paolo Fumagalli
Data 25 Gennaio 2025
Questa settimana dedichiamo la newsletter a due notizie che riguardano direttamente la nostra fondazione.
Paolo Fumagalli (1960-2025)
Una settimana fa ha concluso il suo cammino terreno il nostro grande amico Paolo Fumagallidopo una gravissima malattia, affrontata con forza e serenità stupefacenti, che in pochi mesi l’ha portato alla morte all’età di neppure 65 anni. È stato tra i fondatori della San Benedetto, oltre che suo consigliere, condividendone il percorso e non facendo mai mancare il suo supporto. Personalmente aveva seguito il progetto di ricostruzione di una palazzina distrutta dai bombardamenti ad Aleppo in Siriae le iniziative di sostegno e di aiuto alla Custodia di Terra Santa. Aveva anche seguito progetti di cooperazione e aiuto in Libano, fra questi la recente apertura del Cafè Agonista a Beirut, che dà lavoro a ragazzi con disabilità. Martedì a Fagnano Olona, in una chiesa gremita di gente, con tantissime persone anche fuori, si sono svolti i funerali per i quali lui stesso aveva voluto scegliere le letture e i canti (a questo link trovate un breve resoconto). Grati della sua amicizia e commossi dalla sua testimonianza, vogliamo riproporvi i ricordi di Paolo di Graziano Tarantini e di monsignor Francesco Braschipubblicati dal quotidiano online ilsussidiario.net.
La seconda notizia è l’incontro pubblico «Dal ’68 a oggi, il desiderio del cambiamento» che promuoveremo a Brescia giovedì 13 marzo alle 18.15 e che vedrà l’intervento di due ospiti d’eccezione: monsignor Massimo Camisasca, allievo di don Giussani e vescovo emerito di Reggio Emilia, e Adriano Sofri, scrittore, editorialista ed ex leader di Lotta Continua.
Adriano SofriMons. Massimo Camisasca
L’occasione di questo incontro del tutto inedito è data dalla recente pubblicazione del libro «Una rivoluzione di sé» (Rizzoli editore) che raccoglie alcuni interventi di don Giussani, fra il 1968 e il 1970, in un periodo molto turbolento che vedrà anche la nascita del movimento di Comunione e Liberazione.
Poterne parlare con due protagonisti di quella stagione, con storie molto diverse, è un’opportunità straordinaria anche per guardare in modo nuovo al momento presente che stiamo attraversando oggi segnato da grande incertezza. L’incontro, che si svolgerà nell’aula magna del Centro Paolo VI, in via Gezio Calini 30, è aperto a tutti sino ad esaurimento posti e previa registrazione cliccando questo link.
«La nostra amicizia, un anticipo di Paradiso»: ricordo di un amico
di Graziano Tarantini – da ilsussidiario.net – 20 gennaio 2024
Caro Paolo, questa mattina mi sono svegliato e ho trovato un messaggio di tua moglie Claudia che mi diceva che sei tornato alla casa del Padre. Sei volato in Cielo. Stanotte mi è suonato l’allarme di casa: nessun ladro, fuori non c’era nessuno. Così ne ho approfittato per recitare delle preghiere per te. Poi, pensando a cosa scriverti questa sera, per il nostro consueto messaggio letterario serale, mi sono detto: “Andiamo ancora con il mare di Baudelaire”. Del resto, uno dei tuoi desideri era di comprare casa a Pesaro, dove insieme (sempre insieme) avremmo trascorso un pezzo della vita che ci restava. Parlavamo spesso di come fosse meglio spendere gli ultimi anni che ci restavano da vivere.
Stanotte, esattamente alle 4:39,quando è suonato l’allarme, ho pensato anche che potessi essere tu a darmi la sveglia per un ultimo saluto. Ti anticipo così quello che ti avrei mandato questa sera, perché per te non sarà più notte: sei ora con il Signore, e, come dice il libro dell’Apocalisse, che recitiamo come lettura della Compieta della domenica: “Gli eletti vedranno la faccia del Signore e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli”.
Paolo Fumagalli con Graziano Tarantini tra i profughi siriani in Libano
Caro Paolo, quanti ricordi mi inondano la mente,quante avventure vissute e desiderate, sempre insieme. Adesso mi hai lasciato solo. Ogni persona che incontravo, subito dopo il saluto di rito, mi chiedeva sempre: “E Fuma (o: e Paolo), dov’è?”. Da soli mancava sempre un pezzo, eravamo incompleti. Insieme, pur essendo molto diversi, formavamo invece, miracolosamente, una sinfonia. Dal 2 maggio 1990, e tu amavi ricordare “solo perché il primo era festa”, non ci siamo più lasciati. Fu un incontro casuale il nostro, artefice il nostro comune amico Giorgio, ma che devo annoverare fra i frutti della Provvidenza.
La Provvidenza ha fatto capolinoanche in questi quasi tre mesi di malattia: hai insegnato a tutti che ci può essere un modo diverso di soffrire e di morire. Tanta dignità la tua, tanta umiltà nel mostrarti ferito, tanta fede, con la speranza sempre viva nel tuo sguardo ancor prima che nelle tue parole. Caro Paolo, amico di una vita, ci siamo salutati sabato con queste ultime parole: “Paolo, ti voglio bene”, e tu: “Anch’io, Gra”. Ci siamo voluti bene, la cosa più bella che uno possa desiderare. E quando accade, è un anticipo di vero Paradiso. Grazie di tutto, Paolo, dal tuo amico non amante del cibo, con tanti giubbotti e zaini, e romanista.
Dalla finanza alla Terra Santa, il dono di vivere con fede la vita intera
di Francesco Braschi – da ilsussidiario.net – 21 gennaio 2024
Nella notte tra sabato e domenica ha compiuto il cammino terreno Paolo Fumagalli (1960-2025): stimato professionista in ambito finanziario e societario; membro a vario titolo di importanti consigli di amministrazione; docente all’Università Cattolica; ispiratore e collaboratore di realtà di eccellenza nell’ambito dell’inserimento delle persone disabili nel mondo del lavoro; instancabile sostenitore e animatore delle attività della Custodia di Terra Santa a favore dei cristiani e delle popolazioni martoriate di Siria, Libano, Israele e Palestina; fedelissimo volontario del Meeting di Rimini, dove lo si poteva incontrare intento a servire al bar, così come in qualità di relatore a incontri e tavole rotonde di altissimo livello.
Questa sommaria presentazione di Paolomostra, non appena scritta, tutta la sua inadeguatezza. Ma resterebbe tale anche se, entrando nel dettaglio, ne moltiplicassimo dieci volte la misura: forse, tuttavia, può almeno servire a descrivere la ricchezza della vita del nostro amico e compagno di cammino. La sua competenza in ambito professionale lo rendeva in ogni situazione capace di individuare il punto focale della questione e di illustrarlo con profondità e chiarezza, prospettando un cammino se non risolutivo, sicuramente di crescita e di arricchimento, nel quale eri certo di poter contare su di lui come sostegno e riferimento.
Tutto questo veniva reso possibiledalle due doti umane più preziose e riccamente da lui possedute: una inesauribile curiosità, che nasceva dalla disponibilità a lasciarsi colpire e stupire dalla realtà e dalla possibilità che ogni novità diventasse un’occasione di crescita; e la passione per i rapporti umani, vero luogo di manifestazione di quel Mistero inesauribile che desidera affascinare e attirare a Sé ogni persona, per mostrarle tutta la sua ricchezza.
Un altro tratto della personalità di Paoloche non mancava di colpire chi lo incontrava era certamente quello dell’unità della vita, sempre portatrice dell’incontro con Cristo e con la Chiesa, propiziato dall’appartenenza al Movimento di Comunione e Liberazione. Da qui scaturiva la disponibilità a discernere sempre in un’ottica che potremmo definire “vocazionale” le richieste e le possibilità di coinvolgimento e di servizio: così non temeva di lasciare posizioni e situazioni ormai consolidate e, per certi versi, più capaci di restituire i frutti delle energie profuse, per ricominciare altrove, qualora riconoscesse in questo mutamento una nuova chiamata del Signore. Così avvenne, ad esempio, per il servizio alle Comunità cristiane del Medio Oriente attraverso il sostegno alle attività a favore della Custodia di Terra Santa: in questo ambito, oltre alla propria competenza organizzativa, Paolo mostrò anche tutta la portata missionaria della propria fede, quando invitò persone incontrate nell’ambito più specificamente professionale a conoscere le realtà della Siria, del Libano e della Palestina e coinvolgersi nei programmi di aiuto.
Perfino la grave malattia manifestatasialla fine dell’estate, e che ha segnato questi ultimi mesi, è stata per lui occasione di continuare a vivere con fiduciosa curiosità la circostanza che gli era data: agli amici – che, diceva, erano altrettanto importanti quanto le cure mediche – chiedeva il sostegno della preghiera e della vicinanza, perché voleva guardare fino in fondo quello che Cristo gli stava offrendo – ne era certo – financo attraverso l’infermità. Sempre pronto a lottare, ha ora definitivamente vinto la sua battaglia: poche ore prima di morire, infatti, incontrando i nipoti ha detto loro: “Sono pronto”. Una testimonianza chiara e folgorante di quanto nasce dalla quotidiana ricerca del rapporto con Cristo. Grazie, amico.
Le immagini dello scontro di venerdì in diretta tv fra Zelensky e Trump hanno reso plasticamente evidente la fase di profonda confusione (unita alla debolezza dell’Europa) che il cosiddetto mondo occidentale sta attraversando. È come se avesse perso la bussola e non riuscisse più a ritrovare la strada. Sulla crisi dell’occidente questa settimana vogliamo segnalare due letture come spunto di riflessione. La prima è un’intervista del filosofo e accademico di Francia Alain Finkielkraut alla Revue des Deux Mondes nella quale analizza l’attuale rifiuto dell’occidente, che attribuisce a una combinazione di ostilità esterna e autodenigrazione interna, alimentata da wokismo e populismo. Finkielkraut difende la necessità di preservare l’eredità intellettuale e culturale occidentale contro queste forze distruttive. La seconda lettura è uno stralcio di un recente intervento di Bari Weiss, giornalista che nel 2020 si era dimessa polemicamente dal New York Times per la deriva woke del quotidiano americano fondando il sito di analisi The Free Press. Ebrea, lesbica e millennial, nel suo intervento spiega come oggi con Trump ci troviamo di fronte a una deriva illiberale di destra nata come reazione alla cancel culture. « Se abbiamo imparato qualcosa in quest’ultimo tumultuoso decennio – conclude Weiss -, è che gli esseri umani ben determinati sono l’unica cosa che si frappone al disfacimento. Le persone sono le uniche a presidiare il confine tra la civiltà e i suoi nemici esterni e interni».
Lunedì ricorrono i tre anni dall’invasione russa e dallo scoppio della guerra in Ucraina con la sua scia infinita di morte, miseria, distruzione. Assetti internazionali che, almeno apparentemente, sembravano consolidati e garantiti appaiono profondamente «terremotati». E la percezione di una destabilizzazione incombente è forte, mentre il disorientamento e la confusione si allargano. In questa situazione è ancora possibile fare spazio alla speranza? E come? La speranza è peraltro il tema del giubileo che ci accompagnerà per tutto il 2025. Proprio su queste domande affrontate dal punto di vista della fede si sofferma il dialogo pubblicato nei giorni scorsi dal Foglio con Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dei Cistercensi, che vi invitiamo a leggere. «Siamo sicuri – chiede l’intervistatore a Lepori – che il cristiano di oggi sappia davvero che cos’è la speranza cristiana? Non è che la confonde ancora con quell’andrà tutto bene che si sentiva ripetere in tempo di lockdown, quasi fosse una sorta di esorcismo? Pare quasi, viene da pensare, che speranza e ottimismo siano la medesima cosa». Per Lepori «la speranza non è tesa al futuro, ma all’eterno che ci accompagna nel presente della vita. In fondo, la speranza non attende nulla di particolare o definito. La speranza attende tutto da Dio, e perché lo attende da lui, attende sempre il meglio, anche se apparentemente il futuro sarà catastrofico. La speranza si fida senza condizioni».
Del tema dell’immigrazione sentiamo parlare di continuo, ma spesso il dibattitto pubblico e le prese di posizione risentono di un punto di vista ideologico nel modo di affrontare il problema. E, comunque la si pensi, questo approccio impedisce di guardare un fenomeno molto complesso nelle sue mille sfaccettature e senza ricadere nelle solite semplificazioni. Di fronte a una delle sfide più grandi del nostro tempo è invece interessante l’analisi che ne fa la scrittrice Susanna Tamaro in un ampio articolo pubblicato pochi giorni fa sul Corriere della Sera. Un’analisi fondata anche sulla sua diretta esperienza personale, che si sottrae alla trappola dello scontro ideologico pro o contro l’immigrazione. Si chiede subito se «è possibile parlare del problema dell’immigrazione incontrollata senza dare un calcio al principio etico della nostra civiltà — la sacralità della persona — e al tempo stesso senza continuare ad aggirarsi come sonnambuli tra le nebbie del multiculturalismo?». In particolare Tamaro invita a considerare i migranti come persone e non come una categoria sociale generica o astratta, senza nascondere le criticità che emergono soprattutto quando l’immigrazione sia incontrollata. «Santificare un’intera categoria, tendenza sempre più in voga – scrive -, vuol dire non essere in grado di vedere la realtà e dunque l’incapacità di relazionarsi in modo sano con essa». Proprio di questo approccio realista abbiamo bisogno per affrontare una questione decisiva per il nostro futuro.