ALGORITMO BUTTAFUORI
- Data 25 Novembre 2018
L’algoritmo è soltanto il buttafuori di un club che talvolta è molto esclusivo (Mattia Ferraresi, il Foglio)
Ti potrebbe interessare anche
Cristo si è fermato a Timor Est
C’è la fede semplice e genuina delle 600 mila persone di Timor Est o dei poverissimi abitanti dei villaggi fra la foresta e il mare in Papua Nuova Guinea che hanno accolto Papa Francesco durante il suo recente viaggio in Asia e Oceania. E pochi giorni fa, nell’udienza del mercoledì, ricordando il suo viaggio, il Papa si è detto «colpito dalla bellezza» di quei popoli «provati ma gioiosi». «Ho respirato aria di primavera», ha aggiunto, sottolineando di aver trovato una Chiesa «molto più viva in quei paesi». Una Chiesa che cresce non per proselitismo ma «per attrazione». E poi c’è la Chiesa stanca e autoreferenziale dei paesi europei che, nel deserto di umanità del mondo occidentale, sembra aver dimenticato l’originalità della fede in Gesù Cristo, preferendo occuparsi di altro. È un raffronto spiazzante che costringe chi crede a interrogarsi su cosa ne ha fatto della propria fede. Scrive Matteo Matzuzzi nell’articolo apparso sul Foglio di cui vi proponiamo la lettura: «Si è proprio sicuri che la fede genuina e semplice sia quella dei Sinodi infiniti che producono documenti, tabelle, schemi, strumenti di lavoro. Sinodi che vorrebbero combattere l’autoreferenzialità e poi finiscono per chiudersi in Vaticano per settimane a discutere di questioni che il mondo, fuori, conoscerà solamente attraverso sintesi e mediazioni? Si è proprio certi che ai popoli di Timor Est, di Singapore, ma anche al piccolo gruppo di fedeli della Mongolia o a quelli di Bangui interessino le elucubrazioni sul diaconato femminile, sul celibato sacerdotale, sulle attese del Cammino sinodale tedesco che tra un cenacolo sulla collegialità e l’istituzione di un Comitato ad hoc punta a rovesciare la struttura gerarchica della Chiesa? S’è mai domandato, qualcuno, perché i seicentomila cattolici riuniti per accogliere il Papa e pregare con lui siano tutti a Timor est e non nelle spianate bavaresi o nella Grand Place di Bruxelles?»
Ultima chiamata per l’Europa? Draghi dà la sveglia
Pochi giorni fa è stato presentato il rapporto sulla competitività europea curato da Mario Draghi. Un’agenda che suona come una sorta di ultimo appello, nel quale spicca il coraggio di dire le cose come stanno, evidenziando i ritardi, i compromessi, le incoerenze con cui l’Europa e i suoi Stati membri si sono mossi finora, «con una trazione più intergovernativa che comunitaria», e rimarcando ciò che è indispensabile fare subito per cercare di stare al passo con le sfide di oggi. Diversamente l’Europa e, di conseguenza, anche l’Italia saranno destinati a una progressiva irrilevanza e al declino. Su questo tema segnaliamo l’articolo dell’economista Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera. Riferendosi al rapporto di Draghi scrive: «Siamo di fronte ad una emergenza esistenziale e questo è il messaggio essenziale, lanciato ai tavoli della politica europea e direi soprattutto ai ministri che siedono al Consiglio».
In queste settimane l’attenzione è anche sugli Stati Uniti in vista delle elezioni presidenziali del 5 novembre, un appuntamento che ci riguarda molto da vicino, più di quanto si possa pensare. Le scelte che si faranno oltreoceano avranno infatti ricadute importanti sul nostro continente. Intanto lo scorso 10 settembre si è tenuto il dibattito fra Donald Trump e Kamala Harris. Su questo vi proponiamo l’analisi di quanto è successo fatta da Marco Bardazzi sul Foglio. Bardazzi insieme a Lorenzo Pregliasco, fondatore e analista politico di YouTrend, saranno ospiti a Brescia della Fondazione San Benedetto venerdì 27 settembre alle ore 18, proprio per darci gli ultimi aggiornamenti sulle elezioni americane. Dopo il primo incontro con loro, molto apprezzato, del maggio scorso, l’appuntamento sarà di nuovo al Centro Paolo VI in via Gezio Calini 30. L’incontro è aperto a tutti ma per partecipare è necessario registrarsi a questo link: https://fondazionesanbenedetto.it/2024/08/28/elezioni-usa-verso-lo-scontro-finale
Il male si combatte con l’educazione, non con i moralismi
I recenti fatti di sangue che hanno visto dei giovani come protagonisti (dall’omicidio di Sharon alla strage familiare di Paderno Dugnano, ai vari accoltellamenti) ripropongono prepotentemente da un lato il tema della «presenza attiva del male» nella nostra vita e dall’altro la necessità dell’educazione come unico antidoto contro il venir meno dell’umano. In questi giorni abbiamo letto o sentito tante analisi sociologiche o psicologiche alla ricerca dei colpevoli o delle cause recondite di quanto è accaduto, mentre in realtà siamo di fronte a fatti che sfuggono alle nostre anguste spiegazioni. L’educazione non è certo un insieme di regole o di buone maniere e non ha niente a che vedere con qualche richiamo moralistico. È «un cammino» che richiede un lavoro su di sé e che «dovrebbe proseguire tutta la vita», come sottolinea Susanna Tamaro nell’articolo pubblicato sul Corriere della Sera di cui vi consigliamo la lettura questa settimana. «Il culto del bambino perfetto», oggi molto diffuso, – continua la scrittrice – è uno «straordinario salto indietro fatto dalla società postmoderna». Nel compito dell’educazione un ruolo, non esclusivo ma fondamentale, lo ricopre la scuola. Tra pochi giorni alcuni milioni di bambini e ragazzi torneranno nelle aule. In vista di questo appuntamento vi proponiamo l’articolo di Sergio Belardinelli apparso sul Foglio. A proposito del processo educativo scrive: «Anziché coltivare la gratuità di un processo che di per sé non serve a nulla, se non a diventare noi stessi, abbiamo preferito finalizzare l’educazione alle esigenze della società. Ci ricordiamo le famose tre “I”: Inglese, Informatica e Impresa? La scuola deve servire a questo, deve servire a quest’altro, mettendoci dentro ognuno ciò che ritiene più importante. Ma un progetto educativo non è, non può essere, un progetto tecnico; è un processo di generazione di una persona e quindi fondamentalmente gratuito, sempre esposto al rischio della libertà che ciascuno di noi è».