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Perché serve una Costituzione europea

  • Data 28 Marzo 2021

 

di Rocco Buttiglione

da ilsussidiario.net

La Corte costituzionale federale ha ingiunto al presidente della Repubblica federale tedesca di non firmare la legge con cui il Parlamento approva il Recovery Fund fino a quando la Corte stessa non decida della sua costituzionalità. Il problema troverà probabilmente una soluzione nelle prossime settimane con una limatura del testo ed il Recovery Fund passerà e non subirà nemmeno un ritardo molto grande. Il fatto però non deve essere preso sottogamba. Se la Corte costituzionale federale agisce in questo modo lo fa per lanciare un grido di allarme e per richiamare la classe politica (europea, non solo tedesca) alle sue responsabilità. Naturalmente i populisti tedeschi cercheranno di trarre vantaggio dalla situazione dicendo che la Corte costituzionale federale si oppone ad una Unione dei trasferimenti, cioè ad un’Unione Europea in cui l’Italia fa i debiti e la Germania li paga. Ma… è veramente così? È anti-europea la Corte costituzionale tedesca?

In realtà i giudici pongono sul tappeto una questione oggettiva che è la stessa sulla quale si è fatta a suo tempo la Rivoluzione americana. È il problema della sovranità fiscale dello Stato: no taxation without representation. Si possono imporre tasse ai cittadini solo con il voto di un Parlamento in cui i cittadini sono rappresentati. Un’assunzione di debito, dice la Corte, equivale ad una tassazione. Assumendo in modo solidale con gli altri Stati dell’Unione la responsabilità di un debito comune europeo (questo è in realtà il modo in cui si finanzia il Recovery Fund), il Parlamento tedesco assume l’impegno a pagare la quota di debito degli altri paesi aderenti nel caso in cui essi non facciano fronte ai loro impegni. In altre parole il Parlamento aliena la sovranità fiscale dello Stato assumendo un impegno eventuale che dipende dalle decisioni di altri paesi e di altri Parlamenti. Questo è incostituzionale. (…)

Continua a leggere l’articolo https://www.ilsussidiario.net/news/corte-tedesca-vs-recovery-ora-per-uscire-dal-guado-serve-una-costituzione-ue/2149100/

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In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

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