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Il perdono di Erika e la fede nello spazio pubblico

  • Data 27 Settembre 2025

Dopo l’assassinio di Charlie Kirk si sono innescate da fronti opposti contrapposizioni molto dure con episodi di violenza verbale, arrivando in qualche caso anche a giustificare quanto è successo. Respingiamo le strumentalizzazioni da qualunque parte provengano che diventano sempre una comoda cortina fumogena che impedisce di guardare la realtà. Ci interessano invece i fatti. E un fatto che senz’altro colpisce è quanto accaduto in occasione dei funerali di Kirk con il gesto di Erika, la vedova di Charlie, che ha pubblicamente perdonato il giovane che le ha ucciso il marito. Un gesto spiazzante, disapprovato dal presidente Trump, che trova la sua unica ragione nella fede in Chi ha detto «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno», come ha detto Erika.

Erika Kirk a Glendale (foto picturedesk.com)

È un fatto su cui riflettere, che zittisce letture sociologiche o visioni ideologiche, e pone la questione della presenza della fede nello spazio pubblico. Su questo tema vi proponiamo la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara, pubblicato dal Foglio, per il quale non si può liquidare tutto come fanatismo. Il primo passo è cercare di capire il mondo nel quale viviamo senza paraocchi. Oggi l’Europa e l’America sono su due sponde opposte. «In Europa – scrive Ferrara – la laicità è laicismo, ideologia della separazione tra Chiesa e stato divenuta nel tempo esclusione della fede dallo spazio pubblico, fatto di procedure democratiche che si presumono ideologicamente neutre e impermeabili al credo personale e collettivo, accuratamente scristianizzate. In America è diverso, la laicità è la convivenza libera di ricerche di fedi diverse, alle quali lo stato garantisce la piena agibilità senza preferenze o esclusioni, con un riconoscimento simbolico e non solo simbolico, presente nella cultura di massa e nello spazio pubblico dagli albori della Repubblica americana, della centralità di Dio e dell’esperienza del trascendente nella vita personale e in quella della società». L’America senz’altro per molti aspetti oggi può inquietare le nostre coscienze «liberali», ma siamo sicuri che un’Europa che rinnega le proprie radici, in nome di una presunta neutralità ideale, culturale, morale, esaltando i soli diritti individuali, non rischi di implodere su se stessa? Si chiede Ferrara: «Può resistere e fortificarsi una democrazia che s’ingegna a considerarsi neutra, che esclude famiglia, fede e libertà come aspirazione collettiva invece che come emancipazione e teoria dei diritti individuali?». In particolare sul significato del gesto di Erika Kirk vi segnaliamo anche l’articolo di Pietro Baroni, pubblicato dal quotidiano online ilsussidiario.net: «Perché siamo tutti bravissimi – scrive – a gridare pace e ancor più frettolosi a schierarci dalla parte giusta, quella dei buoni che combattono i cattivi; ma nessuno ha più la forza di usare l’unica parola che può portare la vera pace: perdono».

Da Papa Francesco a Papa Leone, il 24 ottobre dialogo con Andrea Tornielli 

Venerdì 24 ottobre alle 18.30, a Brescia nella Sala convegni della Poliambulanza, in via Bissolati 57, la Fondazione San Benedetto propone un incontro-dialogo con Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, sul tema «Da Papa Francesco a Papa Leone, le nuove sfide per la Chiesa». Sarà un’occasione straordinaria per dialogare anche attraverso le domande del pubblico sul momento attuale della vita della Chiesa. La partecipazione è aperta a tutti previa registrazione a questo link e sino ad esaurimento posti.


I funerali di Kirk e il futuro incerto dell’Europa laicista e neutra

di Giuliano Ferrara – da Il Foglio – 23 settembre 2025 

Viste in diretta ore di riunione per Charlie Kirk a Glendale, Arizona, uno pensa a come classificare parole atteggiamenti, significati, gesti, emozioni profonde, esibizioni di parata, testimonianze martirologiche, toni di una retorica del profondo, perdono della vedova al killer e minacce del presidente comprese. Le rotelle per portare la pesante croce di legno erano ridicole, ma solo quelle lo erano. Il resto del revivalismo protestante messo in scena in morte dell’attivista assassinato non si può archiviare come fanatismo, ché il perdono è l’opposto del fanatismo e la celebrazione spirituale di una vittima dell’intolleranza è incompatibile con il fanatismo, era cosa molto seria su cui vale la pena riflettere. Si sa che da noi in Europa la laicità è laicismo, ideologia della separazione tra Chiesa e stato divenuta nel tempo esclusione della fede dallo spazio pubblico, fatto di procedure democratiche che si presumono ideologicamente neutre e impermeabili al credo personale e collettivo, accuratamente scristianizzate. In America è diverso, la laicità è la convivenza libera di ricerche di fedi diverse, alle quali lo stato garantisce la piena agibilità senza preferenze o esclusioni, con un riconoscimento simbolico e non solo simbolico, presente nella cultura di massa e nello spazio pubblico dagli albori della Repubblica americana, della centralità di Dio e dell’esperienza del trascendente nella vita personale e in quella della società, e con una prevalenza del cristianesimo o di diversi cristianesimi su altre confessioni.

Tutta quella gente era diversità nella comunione dell’identità, predicava a sé stessa e alla nazione libertà, famiglia e fede, parlava di senso del peccato, di salvezza individuale e collettiva, di Gesù Cristo, garanzia personale divina che agisce nella comunità. La loro idea di che cosa siano educazione, cultura, amore, devozione, idee e sentimenti era mutuata dal dogmatismo cristiano e dalla Bibbia, antico e nuovo testamento. Anche la loro musica, dalle cornamuse agli inni al rock piegato alla blandizie snervata del sentimentalismo, privo del nerbo sensuale e violento di cui sono ricche le  vibrazioni moderne e postmoderne dell’esperienza musicale, tutto diceva di una rivolta contro il proceduralismo, l’ideologia neutra, estranea e ostile alla religione, e alla sua componente di sogno, di aspirazione e ispirazione insieme trascendente e sociale, alla sua modalità spirituale. Noi europei viviamo nella convinzione che tutto è famiglia, tutto è fede diversamente incarnata in pensieri liberi, tutto è libertà come emancipazione. Loro, sulla scorta della predicazione di pastori e loro allievi, come fu Kirk, sono legati a una nozione precisa di famiglia e filiazione e vita, a una fede biblica non confondibile con il libero pensiero, a una libertà che si realizza non come individualismo astratto che si emancipa ma come ideale sociale che accomuna, che lega.

La cerimonia impressionante di Glendale è parte del trumpismo, il quadro politico entro il quale questo revivalismo è stato possibile, in quella forma, con quelle coordinate etiche e spirituali, con quell’esperienza e radicalizzazione che risuona e interroga e intimidisce, ma è anche altro, come dimostra la frattura decisiva sul tema del perdono, che Trump ha reso evidente dicendo che no, lui non ama il nemico, lo odia e non gli augura nulla di bene, e gli dispiace per Erika Kirk, la vedova del perdono pubblico piangente, e anche per Charlie Kirk in persona, uno che portava convinzioni forti o intolleranti all’incontro e al dialogo con la tolleranza democratica, cercando di conquistare la gente del campus che doveva provargli che aveva torto, prove me wrong, fino al giorno della pallottola, dunque per Trump un illuso, uno che, come lui ha detto dal palco, su questo si sbagliava.

Comunque il trumpismo, e tutto quello che gli assomiglia, comprese certe caricature populiste in Europa, per il momento minoritarie, sarebbe inconcepibile senza lo sfruttamento di questa esperienza spirituale, senza questo chiaro bisogno di certezza morale che ha parlato in lingue nel grande stadio alle porte di Phoenix. E questo riapre una discussione che anche in Europa e in Italia è stata tentata da posizioni di estrema minorità, bollata come esplosione di cristianismo e come ateodevozione, sconsacrata o scomunicata da un Papa in persona, il Francesco nemico dei movimenti, e destinata a cadere nel dimenticatoio che è il vero e unico spazio pubblico tollerato da una cultura nemica della Chiesa cattolica e dei suoi ultimi papi combattenti, Giovanni Paolo e Ratzinger. Può resistere e fortificarsi una democrazia che s’ingegna a considerarsi neutra, che esclude famiglia, fede e libertà come aspirazione collettiva invece che come emancipazione e teoria dei diritti individuali?


Il perdono che batte l’odio ci viene da qualcuno più grande di noi

di Pietro Baroni – da ilsussidiario.net – 25 settembre 2025

Ci sono fatti che accadono e che dovrebbero farci fermare tutti; fatti che segnano, o dovrebbero segnare, un confine, delle colonne d’Ercole oltre le quali non sia più possibile spingere la ubris umana. L’assassinio di Charlie Kirk è uno di questi fatti. Impossibile, sembrerebbe, appiccicare uno schema politico, culturale, sociologico, partitico all’immagine orrenda di Charlie Kirk, che, raggiunto dal proiettile al collo, prima reclina la testa e poi, mentre il sangue gli esce a fiotto, lentamente cade all’indietro. Fino all’istante prima Charlie Kirk era un giovane attivista del mondo Maga, impegnato nella sensibilizzazione dei giovani pro-Trump e per questo giustamente acclamato dai suoi fan e per questo fieramente (e altrettanto legittimamente) osteggiato dai suoi oppositori. Ma nel momento in cui il colpo lo ha raggiunto e ucciso, la realtà si è trasformata in ciò che non è e non può continuare ad essere reale: un giovane di 31 anni è stato ucciso per quello che diceva. Non più aspramente contestato e politicamente combattuto: è stato ucciso! E questo non può continuare ad essere reale, mentre, purtroppo, comincia ad esserlo sempre di più. Soprattutto nelle reazioni che sono seguite al suo assassinio. Anziché fermarsi e guardare con orrore a ciò che la propria appartenenza faziosa ha generato, al clima di odio e intolleranza che lo scontro politico e la polarizzazione hanno ormai reso consuetudine e provare a fare un passo indietro, si è usata questa tragedia come dimostrazione della bontà e giustezza della propria parte.

E così da una parte Trump e il suo partito hanno spettacolarizzato una morte, secondo l’habitus tutto americano dello show, per tirare acqua al proprio mulino; dall’altra – e cosa ben più grave – si è dipinto Kirk come un provocatore, un razzista, un omofobo e tutto ciò che tende a giustificare la sua uccisione, facendo distinguo fra morti di serie A e morti di serie B (come chi ha sostenuto che la morte di Martin Luther King e quella di Kirk non hanno lo stesso valore); si è affermato di non provare tristezza per la sua scomparsa o addirittura si è esultato.

Si può, naturalmente, pensare tutto il male possibile delle idee di chiunque e si può, ovviamente, combatterle con tutto se stessi, anche se pure su questo occorrerebbe misurare di più le proprie esagitazioni. Ma non si può odiare una persona o meglio, purtroppo si può, ma questo spalanca le porte ad una società della violenza e dell’intolleranza. Inutile poi sventolare bandiere della pace ed invocarla sulle guerre degli altri, se non siamo capaci di interrompere le nostre quotidiane piccole guerre!

Su tutto questo mondo di violenza e disprezzo reciproco, che sempre più conquista spazio nelle nostre democrazie e civiltà, si sono levate come un momento di respiro e grazia le parole di Erika Kirk, la moglie, la vedova di Charlie Kirk, che al funerale ha avuto il coraggio e la forza per pronunciare quella parola che nessuno usa mai, affinché all’odio non si rispondesse con l’odio. Perché siamo tutti bravissimi a gridare pace e ancor più frettolosi a schierarci dalla parte giusta, quella dei buoni che combattono i cattivi; ma nessuno ha più la forza di usare l’unica parola che può portare la vera pace: perdono.

Ed è chiaro che sia così! Chi potrebbe farlo, chi, cioè, può portare veramente la pace nel mondo degli uomini, così incapaci di perdonare? Neppure Erika Kirk c’è riuscita. Per poter dire quella parola ha dovuto usare la frase di un altro, uno che ha portato nel mondo qualcosa di più della sola umanità, per salvarla, la nostra umanità: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” e solo dopo, con un soffio di voce ha detto dell’assassino del marito: “quel giovane uomo, io lo perdono”.

Occorre riconquistare la coscienza della nostra fragilità e della nostra impotenza, e quindi l’urgenza di riconoscerci bisognosi di una forza altra, non umana, altrimenti nessuna tragedia fermerà più il nostro odio e la nostra mano.

Tag:America, Charlie Kirk, Chiesa, Europa, perdono

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piergiorgio

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In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

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