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Una società all’altezza della tua anima

  • Data 12 Dicembre 2021

La diffusione del virus in Italia è più contenuta rispetto agli altri Paesi europei. Il numero dei vaccinati ci colloca tra i primi. Mercoledì l’Ocse ha certificato che il Pil italiano cresce più della media europea e più di quella mondiale. Abbiamo imparato a non rinunciare alla vita sociale e lo facciamo, tutto sommato, in modo responsabile, anche le manifestazioni di dissenso sono più ordinate. Stato e regioni sono tornate a collaborare. Una settimana fa la Colletta del Banco Alimentare ha coinvolto milioni di persone, che hanno donato qualcosa, aiutate da 140.000 volontari.

La domanda che timidamente nasce è: stiamo diventando un Paese migliore? L’Italia si sta avviando lungo una strada che la porterà (di nuovo) a essere un luogo attrattivo, in cui è bello vivere, in cui trovare opportunità inedite per realizzare la vita di chi vi abita e magari per offrirne anche ad altri? Si potrebbe intraprendere una lunga analisi per capire quali fattori renderebbero un sistema migliore. Ad esempio, la crescita del tasso di occupazione e della quota di lavori gratificanti, dignitosi e ben retribuiti; una Pubblica amministrazione più efficiente e una tassazione più equa; un livello di istruzione più capillare e qualificato; un’offerta di servizi di welfare più personalizzato, oltre che di qualità. Si potrebbe allungare di molto l’elenco dei problemi di contesto e analizzarli anche più nel dettaglio. Mancherebbe però un elemento fondamentale, quello soggettivo, per stabilire che ci si sta avviando verso una svolta.

Prendiamo ad esempio il caso delle “grandi dimissioni”, la rinuncia del posto di lavoro a tempo indeterminato a cui stiamo assistendo da un anno circa a questa parte. Un fenomeno che riguarda in Italia, tra aprile e giugno di quest’anno, 484.000 persone, una tendenza che la pandemia ha solo acuito ma che era già avviato e che in molti considerano connessa a una domanda più profonda sul senso e sulla qualità della propria vita e del proprio tempo. È stato chiamato “capitale semantico”, la capacità di dare significato e senso a ciò che ci circonda. Dipende dalle circostanze che si vivono, ma anche, in gran parte, dal senso che coltiviamo di ciò che viviamo.

Il sociologo e scrittore belga Léo Moulin, parlando della convivenza tra monaci in un convento medioevale, persone estremamente diverse, scrive: “Questa realtà, fatta di gente così costruita, questa realtà può essere il luogo di una umanità nuova. Il problema sei tu, come guardi e come vedi, come ami le persone, come perdoni e qual è lo sguardo di stima e di ammirazione con cui guardi tutto ciò che si muove lì dentro. Sei tu, è l’altezza della tua anima, è l’altezza e la profondità, la magnanimità e la larghezza della tua anima”.

Ma come, questo livello individuale, può essere “intercettato” e messo a frutto nel collettivo?

La sociologa Martha Nussbaum si poneva la domanda “che cosa può fare ed essere una persona?” e su questo aveva osservato che il paradigma delle capacità cambia il ruolo del soggetto pubblico, imponendogli di impostare le politiche sulla creazione di strumenti che abilitino e valorizzino la crescita delle abilità personali. Secondo la Nussbaum, una società democratica è il luogo in cui i diritti fondamentali sono rappresentati come un insieme di capacità, o possibilità di operare.

Timothy Radcliffe in “Accendere l’immaginazione. Essere vivi in Dio” collega la coscienza personale e relazionale alla costruzione sociale. Racconta: “Alla Saint John’s University del Minnesota, ho avuto modo di ascoltare la conferenza di un commentatore politico che collegava la polarizzazione radicale della politica americana al crollo delle amicizie tra esponenti dei due partiti. Il relatore spiegò come, alcuni decenni fa, i parlamentari del Congresso risiedessero a Washington per periodi continuativi di alcuni mesi: democratici e repubblicani potevano così conoscersi tra loro. I loro figli frequentavano le stesse scuole, s’incontravano in chiesa e alle feste, nascevano amicizie che consentivano di capire e rispettare gli avversari e quindi di pervenire ai necessari compromessi. Oggi i politici prendono l’aereo per votare in Senato o alla Camera dei Rappresentanti, e si precipitano subito dopo a casa. Redigono i loro discorsi avendo in mente soltanto i sostenitori locali. Non c’è tempo per le amicizie con gli avversari e così riesce impossibile ogni soluzione di compromesso. E gli Stati Uniti tendono a diventare ingovernabili”.

Oggi il cambiamento personale, sociale, politico sta nella riscoperta di queste capacità della persona, del confronto franco e della vera amicizia persino in politica.

 

di Giorgio Vittadini

da ilsussidiario.net

https://www.ilsussidiario.net/editoriale/2021/12/3/societa-allaltezza-della-tua-anima/2259080/

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piergiorgio

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Un’amicizia imprevedibile
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In attesa del Conclave che dovrà eleggere il nuovo papa, nella newsletter di questa settimana ci soffermiamo ancora sulla figura di papa Francesco proponendovi la testimonianza di due giovani siciliani, Giuseppe e Claudia, oggi marito e moglie, che l’hanno conosciuto in un frangente molto complicato della loro vita. La riprendiamo dall’articolo, pubblicato sul sito del movimento di Comunione e Liberazione, che vi invitiamo a leggere. È la storia di un’amicizia imprevedibile, una testimonianza che parla da sola per la sua semplicità e per la straordinaria intensità di vita che comunica.  

«Non addomesticate le vostre inquietudini», ricordando Francesco
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«La parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino». Questa settimana apriamo la nostra newsletter domenicale con queste parole di papa Francesco tratte dalla sua lettera ai poeti, pubblicata l’anno scorso, di cui vi proponiamo la lettura. Fra i tanti testi possibili abbiamo scelto questa lettera per esprimere la nostra gratitudine per ciò che questo Papa è stato. Le sue sono parole che vanno dirette al cuore. La poesia e la letteratura diventano un aiuto formidabile «a capire me stesso, il mondo, ma anche ad approfondire il cuore umano». Fanno emergere un’esperienza «debordante», che spinge ad andare «oltre i bordi chiusi», a non addomesticare le inquietudini. «Raccogliete gli inquieti desideri che abitano il cuore dell’uomo – scrive ai poeti -, perché non si raffreddino e non si spengano». Allo stesso modo c’è l’invito a non «addomesticare il volto di Cristo, mettendolo dentro una cornice e appendendolo al muro». Significa «distruggere la sua immagine».

foto rawpixel.com

Quanto scrive Francesco lo sentiamo particolarmente vicino perché esprime molto efficacemente lo spirito che ci ha sempre mosso nella proposta di un’iniziativa come il Mese Letterario. Come abbiamo sottolineato non si tratta di un’attività culturale o di divulgazione, né tantomeno è una forma di intrattenimento. Nel suo piccolo per tante persone è stata invece un’occasione per riscoprire la ricchezza umana che la letteratura può offrire oltre al valore della lettura come atto di libertà. In alcuni grandi scrittori e poeti abbiamo trovato quel fuoco che è alimentato dalle domande fondamentali sull’esistenza e da un desiderio di verità, di giustizia, di bellezza che non accetta di adeguarsi a qualche sistemazione accomodante. Tra parantesi ricordiamo che giovedì 8 maggio prenderà il via la quindicesima edizione del Mese Letterario. Per chi non si fosse ancora iscritto è possibile farlo a questo link dove trovate anche il programma degli incontri. 
Tornando a papa Francesco, in questi giorni sono stati pubblicati parecchi articoli, alcuni davvero interessanti, sulla sua figura e sul suo pontificato. Qui vogliamo semplicemente segnalarvi un breve ricordo scritto dal cardinale Angelo Scola sul Corriere. «In questi giorni — più che interessarmi di analisi e bilanci del papato di Francesco, in ogni caso troppo prematuri — la domanda che si è aperta in me – osserva Scola – è stata: quale richiamo il Padre Eterno ha suggerito alla mia vita e per la mia conversione attraverso papa Francesco?». Ecco questa domanda descrive, prima di ogni analisi o considerazione, la posizione più vera per vivere questi giorni.      

Alla fine di un mondo
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«L’uomo che vuole fare senza Dio, fallisce. Alla fine dei conti, arriva a fare esperienza di vuoto. Di vuoto di senso. Non riesce a costruire prospettive a lungo termine. In questa società post secolare l’uomo è rimasto con la fame dentro. Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Mi viene ora in mente l’Inquisitore dei Fratelli Karamazov, “dategli il pane e staranno bene!”. Diamo il pane, diamo la giustizia umana… tutte cose che abbiamo già visto. Poi l’uomo si accorge che resta affamato, alla ricerca di qualcosa che gli riempia la vita e il cuore. Lì la Chiesa deve intervenire con la sua proposta». A parlare così è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, in un’intervista davvero interessante pubblicata dal Foglio, che vi vogliamo proporre come lettura in occasione di questa Pasqua 2025. Un testo da leggere con grande attenzione che contiene passaggi illuminanti che vanno al cuore dei problemi di oggi. Nell’intervista Pizzaballa si sofferma sull’attuale situazione in Terra Santa, dove «niente tornerà più come prima», per passare poi alla crisi della Chiesa e al tema della fede. «Non dobbiamo temere i cambiamenti – sottolinea il patriarca -, non dobbiamo vivere di paura. Sta finendo un modello di Chiesa. Credo che Benedetto XVI l’abbia detto bene: sappiamo che sta finendo qualcosa ma non sappiamo come sarà dopo. Si definirà col tempo. Anche questa crisi, dunque, produrrà qualcosa. Le nostre valutazioni sono sempre molto umane, c’è la tentazione del potere, dei numeri, della visibilità. Ci sta anche, eh. Dobbiamo essere visibili. Ma non dobbiamo temere più di tanto questo, perché c’è anche Dio, c’è anche lo Spirito Santo. C’è la Chiesa che, attraverso la testimonianza di tante realtà, crea ancora qualcosa di buono. Non avrei troppa paura. Bisogna preoccuparsi, e lo ripeto, di essere autentici, genuini. La Chiesa non deve fare marketing: la Chiesa deve dire che non c’è niente di meglio nella vita che incontrare Gesù Cristo». Quello di Pizzaballa è anche un forte invito a riscoprire la differenza che il cristianesimo introduce nella vita dell’uomo e della società: «Il rischio – spiega – c’è sempre, sia nella Chiesa sia fuori dalla Chiesa, quello di non complicarsi la vita, di stare nell’ordinario, fatto di orizzonti normali, che stanno dentro una comprensione solo umana. Mentre invece l’incontro con Dio rompe sempre gli schemi e su questo il cristianesimo deve fare la differenza. Se non la fa, puoi avere anche tante chiese e belle basiliche, ma diventi irrilevante perché non hai niente di importante da dire». 

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