Terremoto, tra domande furenti e una speranza da tenere viva
di Marina Corradi
da Avvenire – 8 febbraio 2023
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/furenti-pure-le-domande
Una telecamera in una strada turca ha ripreso l’attimo dell’inizio. Quando, sotto a un bagliore di fulmini, la terra ha cominciato a scricchiolare, poi a scuotersi, sempre più rabbiosa, di dosso quei palazzi, quelle case che per decenni e persino per secoli avevano retto. Orribile il suono dei muri che ballano prima di aprirsi, del cemento armato che sembra ribellarsi, non vuole cedere, e poi in un clangore schianta. E dopo il boato spaventevole, il silenzio: e nebbia, solo una fittissima nebbia sulla città.
Città? Al mattino, dall’alto, nel ronzio dei droni parranno, quelle falangi di palazzi accartocciati, nidi di formiche. Nei bar sotto casa in Italia la gente guarda lo schermo della tv per due minuti, muta. Poi non regge, volge lo sguardo a terra, paga il caffè ed esce. Troppo, troppo male in Turchia, e in Siria, già massacrata dalla guerra. Un insostenibile male.
In verità, penso fra me andandomene a capo chino come gli altri, il peggio è ciò che in quelle immagini non si vede: sotto, dentro il cemento, nelle intercapedini in cui ancora un po’ d’aria resta.
Le madri con i loro bambini prigionieri, il figlio che ti muore fra le braccia, le grida, i lamenti. Nel buio e nella polvere che brucia gli occhi, e la gola. Acqua, acqua, implorare un goccio d’acqua. Battere disperatamente contro un muro, ma nessuno ti sente. Il raspare disperato di un cane che cerca il suo padrone. Come cento atomiche, è stato detto, non un sisma ma un’enorme furia, un’apocalisse sul sonno delle famiglie, dei bambini. Una mole, un Vajont di dolore innocente. (Ma, non è scritto che «Ogni capello del vostro capo è contato»?, ti interpella acremente una domanda). Al pensiero di ciò che accade sotto le case crollate, e che non sapremo mai, mi è quasi meno doloroso quell’affannarsi frenetico di soccorritori sulle macerie, con le scale, con le ruspe, con i badili e le mani. Cercano, prima di tutto, i bambini, che, piccoli, possono sopravvivere per ore in minimi spazi. Se ne vede in un video una che carponi, in pigiama, scivola fuori da sotto una lastra di cemento, Come un gatto. O come un miracolo. Se ne vedono, neonati, in braccio a uomini che forse non sono i loro padri, eppure piangono di gioia, nel sentirseli caldi sul petto, nel sentirli vivi. Commuovono, i soccorritori visti dall’alto dei droni, così piccoli, su quello sfacelo. Che può fare quella ridicola ruspa, sulle rovine di dieci piani di cemento? Eppure, come si affannano, come rischiano la loro stessa vita, come si fermano di scatto, se appena sembra di cogliere, da là sotto, una voce. Gli uomini sanno anche, a volte, essere buoni. (A volte. In Siria, ancora fresco è il sangue di un altro massacro. In Ucraina tuonano i cannoni). Ma, mi dico fissando l’asfalto del marciapiede, gli occhi a terra, io proprio non capisco, e mi ribello. Tutta quella morte, sul sonno migliaia di bambini che sognavano il giorno, la mamma, la scuola. Lo comprendo, l’Ivan dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij che voleva « restituire il biglietto » . Il biglietto per questa vita, restituirlo, come rinunciando a un giro di giostra troppo caro, dal costo insostenibile: non trovando risposta né pace, di fronte al dolore innocente.
Eppure quei là, laggiù, si affannano a scavare, a salvare, e aiuti stanno arrivando da tutto il mondo, cibo, farmaci e non armi, per una volta. Così radicato nell’uomo è anche un desiderio di bene, accanto a tanto male. Te ne stupisci, quasi. Perché, se fossimo figli del nulla, dovremmo desiderare, anche, il bene? C’è da attaccarsi a questo pensiero come a una corda di salvataggio. C’è da pregare, da soffrire con, e aiutare. Che roba è stata due giorni fa in Turchia, sotto a quel cielo di fulmini, che roba è stata quel furore della terra? C’era forse anche la notte del 6 febbraio 2023 in Turchia e in Siria, nella notte del Sabato che Cristo ha traversato? C’erano, anche, quei bambini? Smettila, dico a me stessa, che vuoi capire. Non c’è risposta a tanta sofferenza. Solo, ostinata, coriacea anzi, mi resta dentro una speranza: oggi vediamo confusamente, come in uno specchio, ma un giorno vedremo “faccia a faccia”.
Il nunzio Zenari: il mondo aiuti Aleppo, serve subito un cessate il fuoco
di Luca Geronico
da Avvenire – 8 febbraio 2023
https://www.avvenire.it/mondo/pagine/terremoto-siria-turchia-carinale-zenari-aiuti-aleppo
Appello del cardinale per la città martire ora dilaniata anche dal sisma dopo la guerra civile la Siria: voglio sperare che il senso di umanità prevalga, tacciano le armi, rimbocchiamoci le maniche
«Qui le temperature sono molto rigide. Partendo questa mattina da Damasco abbiamo trovato la neve: la gente sfollata, cominciamo dal sottolineare questo, vive in questa situazione climatica molto dura». Ha appena terminato la visita alle comunità religiose e alle comunità cristiane colpite dal terremoto ad Aleppo, il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, quando risponde ad Avvenire. Parrocchie e conventi trasformatisi nel volgere di una tragica notte in primi centri di accoglienza e di coordinamento spontaneo degli aiuti degli aiuti.
«Sono incontri molto toccanti, l’ultima era una comunità che ora accoglie mille persone. Tutti mi dicono che la gente ha molto paura: pure io poche ore fa, mentre visitavo una chiesa, ho sentito il pavimento tremare. La gente ha paura di rientrare nelle case, non sono più stabili, spesso danneggiate dagli anni di guerra. Sinora non ho visto molte case rase al suolo, ma i danni peggiori sino quelli che non si vedono all’esterno: le fessure che le rendono inagibili. Un palazzo di sei piani, che ho visitato, è rimasto in piedi solo per metà. Nella parte rimasta illesa abitava un vescovo emerito, in quella crollata il suo segretario, un sacerdote di 50 anni trovato poi estratto morto da sotto le macerie.»
Cardinale Mario Zenari, come si può intervenire per portare aiuti umanitari in questa tragedia, tenendo conto anche della situazione politica molto complessa della Siria. Il governo ha ribadito di voler gestire gli aiuti su tutto il territorio della Siria…
È un punto molto delicato, credo che questa tragedia sia un test umanitario sia per la Siria, sia per la comunità internazionale. Tutti devono essere capaci di superare contrasti, conflitti: purtroppo qui in Siria siamo in una situazione di guerra non ancora superata. Voglio sperare che il senso di umanità prevalga, si possa arrivare a questo auspicato cessate il fuoco, che tacciano le armi e che ci si rimbocchi tutti quanti le maniche per soccorrere la gente bisognosa. E poi indurre la comunità internazionale a superare gli interessi politici, le divisioni politici: qui c’è da soccorrere l’umanità tout court. Sarà un test di umanità e saremo giudicati tutti di fronte alla storia: la Siria che deve superare divisioni e conflitti interni, come la comunità internazionale. Un test di umanità.
Eminenza, ma che grido ha visto levarsi in queste tragiche ore da Aleppo, che è una città simbolo di tutte le sofferenze e le contraddizioni del popolo siriana?
Aleppo è una città martire. Mi ricordo quello che ha vissuto questa città nel 2016, negli ultimi giorni della terribile battaglia di Aleppo nevicava e pioveva mentre centinaia di migliaia di sfollati fuggivano dalla città. Questa è gente che ha sofferto il martirio, ogni genere di armi sono state sganciate su questa popolazione, poi è stata quella che io chiamo la “bomba della povertà”, con oltre il 90% della popolazione sotto la soglia sussistenza e adesso questa orribile catastrofe naturale. Ora la gente, anche i religiosi ti ti chiedono: perché ora anche questa tragedia? Difficile rispondere, qui c’è solo la risposta della solidarietà.
Aleppo è anche la città delle sette cattedrali cristiane che convivono in pace. Cosa rappresenta questa comunità per la Chiesa universale?
Ad Aleppo ci sono sei vescovi cattolici, due vescovi ortodossi, un pastore protestante: prima del conflitto c’erano 150mila cristiani di varie denominazioni. Adesso sono 30mila. Anche questa è un’altra tragedia, e ora il confronto con la calamità del terremoto. La Chiesa cattolica un anno fa fece una conferenza per organizzare la carità e un paio di mesi è insediata una commissione per organizzare gli aiuti umanitari. Appena in tempo, viene da dire. Ma questi 12 anni di guerra ho visto molta gente morire, ora sto vedendo la speranza morire: per questo tutti noi come Chiese dobbiamo cercare di tenere viva la speranza di Aleppo.