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Il miracolo della natalità

  • Data 11 Ottobre 2020

Ha sollevato polemiche la decisione della giunta comunale di Iseo di prevedere un aiuto mensile di 160 euro per un anno e mezzo alle donne che per problemi socio-economici sono in difficoltà nel portare avanti una gravidanza e pensano di ricorrere all’aborto. Una strada che nel Bresciano anche altri Comuni hanno intenzione di percorrere per offrire un’alternativa che non veda l’interruzione della gravidanza come unica opzione. Una misura che mira a dare un sostegno immediato e concreto. Eppure c’è chi, non riuscendo mai a dismettere le lenti deformanti dell’ideologia, ha visto in questa scelta un attacco alla legge 194 e alla cosiddetta autodeterminazione della donna. A chi lo avesse dimenticato è forse il caso di ricordare che proprio questa legge già nel suo titolo parla di «norme per la tutela sociale della maternità». E nel testo prevede espressamente che quando la richiesta dell’interruzione volontaria della gravidanza sia motivata «dall’incidenza delle condizioni economiche, sociali e familiari» c’è il compito di aiutare la donna, nel rispetto della sua libertà, a «rimuovere le cause» che porterebbero all’aborto. Molto laicamente e senza forzature la decisione del Comune di Iseo dà attuazione la 194. È stata presa da una maggioranza di centrodestra. E allora? Basta per bollarla come un attentato alla libertà delle donne come se questa dovesse esprimersi solo nella scelta di abortire? In realtà se le categorie politiche avessero ancora un senso, la mozione adottata a Iseo dovrebbe semmai essere considerata di sinistra, intendendo con questo termine una politica maggiormente attenta ai temi sociali, inclusiva, vicina ai più deboli. Tutti a parole dichiarano di essere contro l’aborto, lo definiscono sempre una sconfitta, ma poi quando qualcuno si muove per offrire un’alternativa reale ecco partire il fuoco delle polemiche viziate dall’ideologia. C’è molta ipocrisia in tutto questo. Qui si tratta di andare oltre le contrapposizioni tra i fondamentalisti pro-life e quelli dell’autodeterminazione. E poi quale autodeterminazione? La vita non si autodetermina, dipende sin dall’origine dalle relazioni, dagli altri e dall’ambiente in cui viviamo, come dimostra anche la questione del Covid. Osservava Hannah Arendt che «il miracolo che preserva il mondo, la sfera delle faccende umane, dalla sua normale, “naturale” rovina è in definitiva il fatto della natalità». Perché non fare quindi di tutto per agevolare questa possibilità specie quando le circostanze sono sfavorevoli? Se anche 160 euro al mese possono servire a tale fine, ben vengano.

Piergiorgio Chiarini

da Bresciaoggi 11 ottobre 2020

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piergiorgio

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In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

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