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La natura illusoria del potere

  • Data 1 Luglio 2023

di Antonio Socci

da Libero – 26 giugno 2023

https://www.antoniosocci.com/lotte-per-il-potere-che-pero-e-illusorio-la-testimonianza-profetica-di-benedetto-xvi/

Siamo alla vigilia di un crollo in Russia? Secondo Lucio Caracciolo la rivolta della brigata Wagner è un colpo di stato momentaneamente messo in pausa. Forse per arrivare a una redistribuzione del potere in modo concordato anziché traumatico e cruento. Perché con i colpi di stato, le rivoluzioni e le rivolte non si sa mai cosa può accadere. Non saltano solo le poltrone, ma anche le teste.

C’è pure chi crede che da questa vicenda Putin esca rafforzato. Pare improbabile. Ma, anche se fosse, il suo potere (che dura da 24 anni) resta effimero per l’età (ha 71 anni) e per le circostanze oggi molto sfavorevoli a lui. Del resto è fragile ogni potere umano e il terrore di perderlo ne mostra l’insicurezza.

Shakespeare ha già detto tutto… La natura illusoria del potere è quello che spesso i protagonisti tendono a dimenticare (lo vediamo in presidenti americani che – nonostante l’età avanzata – non concepiscono l’idea di passare la mano). Ma tendono a dimenticarlo anche gli analisti e i media, come se il presente fosse eterno e immune da rovesci improvvisi. Eppure anche solo nella nostra generazione ne abbiamo viste tante.

Governi e presidenze che passano, re e regine che muoiono. A volte potenti che sembrano saldi fanno la tremenda fine di Gheddafi in Libia. Perfino tiranni idolatrati e terribili (come Stalin o Hitler) sono finiti. Abbiamo visto, nei nostri anni, imperi che sembrava fosse impossibile demolire – come l’Urss e il sistema comunista dell’Est – che sono implosi d’improvviso.

È l’esperienza che Vladimir Putin ha vissuto personalmente e che ha sempre evocato come il suo grande trauma. Nel suo drammatico discorso di sabato scorso, a dire il vero, ha evocato il 1917, quella sì una tragedia orribile per la Russia. Ma è probabile che avesse in mente soprattutto il crollo dell’Urss.

Nel 1917 fu cancellato il sistema zarista che sembrava anch’esso granitico da secoli. Da allora – sono passati circa cent’anni, la generazione nostra e dei nostri genitori – quanti crolli di potere abbiamo potuto vedere?

La Germania hitleriana che voleva diventare padrona del mondo è stata spazzata via in poco tempo. In Cina nel XX secolo è crollato l’antico impero e nel 1949 è stato imposto il regime comunista. Che comunque crollerà, anch’esso, come gli altri.

Ci sono stati regni millenari nella storia di cui oggi non resta che qualche pietra e di quei potenti, ritenuti a volte divinità, solo polvere.

Giacomo Leopardi, nella “Sera del dì di festa”, lo ricorda così: «E fieramente mi si stringe il core,/ A pensar come tutto al mondo passa,/ e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito/ il di festivo, ed al festivo il giorno/ volgar succede, e se ne porta il tempo/ ogni umano accidente.

Or dov’è il suono/ di que’ popoli antichi? Or dov’è il grido/ de’ nostri avi famosi, e il grande impero/ di quella Roma, e l’armi, e il fragorio/ che n’andò per la terra e l’oceano?/ Tutto è pace e silenzio, e tutto posa/ Il mondo, e più di lor non si ragiona».

Certo, il potere inebria e può dare un’illusione di forza, perfino di onnipotenza. Ma è un delirio a cui non dar credito.

IL COMANDO INEBRIA

Il grande Pascal aveva racchiuso in un suo pensiero folgorante l’insegnamento della realtà e della storia: «Cromwell stava per devastare tutta la cristianità; la famiglia reale sarebbe stata perduta, mentre la famiglia di lui sarebbe stata per sempre potente, se un granello di sabbia non si fosse messo nel suo uretere. Roma stessa stava per tremare di fronte a lui; ma appena quella pietruzza s’è andata a conficcare là, egli è morto, la sua famiglia è decaduta, tutto è tornato in pace, e il re è stato rimesso sul trono».

Forse per ogni uomo di potere bisognerebbe ripetere quel rito che un tempo si faceva in Vaticano all’insediamento di un nuovo Pontefice. Dopo l’incoronazione, il cardinale protodiacono davanti al Pontefice appena eletto bruciava della stoppa (che, com’è noto, si consuma in un attimo) e pronunciava la frase latina sic transit gloria mundi, parole tratte dall’Imitazione di Cristo ( O quam cito transit gloria mundi, o quanto passa rapidamente la gloria di questo mondo).

LE PAROLE DI BENEDETTO XVI

Tutti dimenticano quanto è effimera. Ma – fra le tante cose grandi che Joseph Ratzinger ha insegnato – non va dimenticato il gesto della sua rinuncia, una luminosa testimonianza di non attaccamento al potere (del resto mai lo cercò). Benedetto XVI, il più grande saggio del nostro tempo, ha scritto: «Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. L’unica cosa, che rimane in eterno, è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l’amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre l’anima alla gioia del Signore».

Ad un Angelus disse: «Alla fine, quando ci incontreremo faccia a faccia con Dio, tutti gli altri doni verranno meno; l’unico che rimarrà in eterno sarà la carità, perché Dio è amore».

Tag:Benedetto XVI, Leopardi, Pascal, potere, Putin, Russia

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piergiorgio

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È la letteratura la vera educazione affettiva
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In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
8 Novembre, 2025

Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

Il Cristo di Manoppello e Sgarbi trafitto dalla bellezza
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«Nei mesi attuali di oscurantismo, immersi nell’orrore di Gaza, nella guerra in Ucraina, nell’oppressione della cronaca, anche personale, mi convinco che vi sia molto più Illuminismo cioè quella tendenza a invadere il reale di razionale – nel pellegrinaggio al Cristo di Manoppello che non nella realtà di oggi, che sembra imporci comportamenti irrazionali». Lo scrive Vittorio Sgarbi in un articolo sul settimanale «Io Donna» a proposito del Volto Santo di Manoppello, il velo che porta impressa l’immagine del volto di Gesù, custodito nella chiesa di un piccolo paese in provincia di Pescara. Una reliquia di origine misteriosa di fronte alla quale passa in secondo piano se sia l’impronta di un volto o un’immagine dipinta. Per Sgarbi «quel volto è il volto di Cristo anche se non è l’impronta del suo volto, perché è ciò che la nostra mente sente essere vero, non la verità oggettiva di quella cosa». Si dice trafitto dalla «sua bellezza, che splende più della sua verità, cioè della sua vera o presunta corrispondenza al volto del vero Gesù, “veramente” risorto». Ecco oggi l’esperienza di cui più la nostra vita ha bisogno è proprio questo essere feriti dal desiderio della bellezza. Solo questa esperienza può mobilitare ragione, intelligenza e volontà a prendere sul serio la nostra sete di infinito, spingendo a non accontentarsi di false risposte tanto comode quanto illusorie. E si può solo essere grati che a ricordarcelo sia un inquieto e un irregolare come Sgarbi.

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