• Statuto
  • Organi
  • Le nostre attività
  • Sostienici
  • Archivio
  • Contatti
Email:
info@fondazionesanbenedetto.it
Fondazione San BenedettoFondazione San Benedetto
  • Statuto
  • Organi
  • Le nostre attività
  • Sostienici
  • Archivio
  • Contatti

Fissiamo il Pensiero

  • Home
  • Fissiamo il Pensiero
  • Da Omero a Guareschi per riscoprire se stessi

Da Omero a Guareschi per riscoprire se stessi

  • Data 5 Novembre 2023

Nei giorni dedicati al ricordo dei morti ci hanno colpito le considerazioni, pubblicate su Sette, del filosofo Mauro Bonazzi, che ripercorrendo le pagine dell’Iliade dopo l’uccisione di Ettore da parte di Achille, osserva: «Gli uomini non sconfiggeranno la morte, ma possono comunque conferire un valore umano alla loro vita. Costruire qualcosa insieme. Achille e Priamo piangono insieme. Si scoprono uomini in un mondo indifferente. Riconoscersi uomini tra uomini, imparare a stare insieme. Di fronte allo scandalo della morte altro non possono fare». Dopo oltre 2700 anni queste pagine di Omero ci dicono dunque ancora qualcosa di molto vero, che ci riguarda personalmente. Sulla stessa lunghezza d’onda segnaliamo l’articolo di Giorgio Vittadini sul quotidiano online ilsussidiario.net. Il suggerimento arriva in questo caso dal don Camillo di Guareschi. È un invito al riscatto della coscienza che nell’epoca digitale, dell’iperconnessione, appare invece sempre più svuotata. «Non viviamo senza gli altri, senza una comunità prossima, e senza luoghi di appartenenza più ampi – scrive Vittadini -. Ma se questi luoghi non aprono a quei momenti di dialogo personale con noi stessi e con la verità che alberga in noi, si perde la strada, anche se si rimane in compagnia». La decisione spetta a ciascuno di noi. Come abbiamo ricordato alcune settimane fa citando Tolkien, in fondo «tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare con il tempo che ci viene concesso».


Insieme di fronte alla morte come fece Achille con Priamo condividendo il pianto 

di Mauro Bonazzi

da Sette – 27 ottobre 2023 

Simone Weil lo aveva definito il «poema della forza». Ma l’Iliade è ancora di più il poema della morte, perché di quello si parla: della lotta contro la morte che toglie valore a tutto, rendendo le nostre vite così inutili. «Come le foglie, così le stirpi degli uomini: alcune vengono alcune vanno», spiega Glauco a Diomede: Qual è il senso di qualcosa che è destinato a finire nel nulla? Gli eroi che si accalcano sulla piana di Troia – greci o troiani non fa differenza – sempre eccessivi ed esagerati, sono quelli che non accettano questo destino ineluttabile. Con le loro azioni e il loro coraggio loro sono lì a mostrare che non è vero che le loro vite non hanno valore. Morire si muore tutti. I personaggi che corrono, combattono, piangono, ridono davanti a quelle mura lo sanno meglio di chiunque altro. Ma a differenza degli altri loro sono quelli che hanno deciso di affrontare a viso aperto questo nemico implacabile: l’eroe è chi ha scelto di morire bene, dando prova del proprio valore, conquistando la gloria, che rende immortali. È solo così che si può vincere questa battaglia – lasciando dietro di sé qualcosa, una memoria di sé, non conquistando vite improbabili nell’aldilà.

È la storia di Achille, il più giovane, il più forte, il più bello, il più solo. Ma Achille, l’eroe più lucido, è anche colui che a un certo punto capisce la vanità di questa ambizione. Quando Patroclo muore, Achille si rende conto sulla sua pelle cosa significa la morte – la sua potenza. Capisce che la morte vince sempre, che tutte le speranze sue e degli altri eroi sono solo patetiche illusioni. Siamo a metà del poema, e tutto cambia. Perché Achille d’ora in poi si farà servitore della morte. È morto Patroclo, la morte ha vinto: tutti devono morire. Il poema entra così in una dimensione onirica – in un incubo in cui nessuno può più salvarsi. Lo scontro finale con Ettore, l’assassino di Patroclo, e lo strazio del suo cadavere sono solo la conclusione logica di questo percorso. Ma il poema non è ancora finito, e riserva un’ultima sorpresa. Achille, arrivato al fondo della disperazione, capisce.

Nella sua tenda appare Priamo, il re di Troia, il padre di Ettore. Supplica l’assassino di suo figlio perché gli renda il cadavere, così da poterlo seppellire. Di fronte a un simile gesto Achille raggiunge una nuova consapevolezza sulla condizione umana. Una cerimonia funebre è il tentativo di dare senso e valore umano al fatto bruto di un corpo che si decompone. Questo vuole Priamo e Achille impara finalmente ad accettare la sua condizione di essere mortale. Il mondo intorno a noi probabilmente non ha senso, è un meccanismo cieco che ingloba e distrugge tutto. Gli uomini non sconfiggeranno la morte. Ma possono comunque conferire un valore umano alla loro vita. Costruire qualcosa insieme. Achille e Priamo piangono insieme. Si scoprono uomini in un mondo indifferente. È difficile immaginare una scena più intensa. Riconoscersi uomini tra uomini, imparare a stare insieme. Di fronte allo scandalo della morte, altro non possiamo fare. Ma non è poco, ed è questo, in fondo, che rende il due novembre un giorno così importante, per tutti. «Così onorarono la sepoltura d’Ettore domatore di cavalli»: è l’ultimo verso del poema, ed è il più bello.


Don Camillo, il Cristo e il riscatto della coscienza

di Giorgio Vittadini 

da ilsussidiario.net – 3 novembre 2023 

Come non esistiamo senza relazioni, così non possiamo esistere senza un dialogo interiore. Quest’ultimo è fortemente in crisi

In un mondo in subbuglio bisogna sapere prendere atto dei cambiamenti e “ricalcolare il percorso”, come dice il navigatore delle auto, senza guardarsi indietro, disponibili anche a rimettere in discussione i riferimenti utilizzati per una vita intera. Riflettendo su questo non ho potuto fare a meno di pensare ai dialoghi tra don Camillo e il Cristo del suo crocefisso, passaggi cruciali dell’opera “Mondo Piccolo” di Giovannino Guareschi. Come ebbe a scrivere lo stesso autore, “chi parla nelle mie storie non è il Cristo, ma il mio Cristo cioè la voce della mia coscienza”.

Don Camillo parla con il Cristo di quello che gli accade, mettendo a tema le vicende tristi e liete della vita quotidiana, sue e delle persone intorno a lui: la povertà, il lavoro, la giustizia sociale, la meschinità, la sete di vendetta e in generale il male procurato dagli uomini e quello che viene dalla natura, la politica locale e quella globale. Guareschi percorre in lungo e in largo quella dimensione orientativa dentro di sé. Il dialogo di don Camillo con il Cristo è quello di un figlio con un padre a cui ha la libertà di chiedere tutto, di esprimere senza formalismi e finzioni tutto sé stesso.

Il linguaggio della “coscienza di Guareschi” espressa dal Cristo nei racconti è quello dei Vangeli. Non si impone con violenza e autoritarismo, ma partendo dall’osservazione dei fatti spinge don Camillo, spesso con ironia, a riflettere, a ragionare, utilizzando la verità che è dentro di lui. Il dialogo interiore si mostra così potente che don Camillo cambia, si corregge e ha modo di accorgersi che la fede è il seme che non muore e rinasce dopo ogni tragedia, sconfitta, sconvolgimento. Per questo don Camillo accetta qualunque privazione e sacrificio, ma non rinuncia al dialogo con il suo Cristo in croce. Forse le pagine più commoventi di tutto “Mondo Piccolo” sono perciò quelle in cui don Camillo, confinato in un paese di montagna per le sue intemperanze politiche, torna a prendere il suo Crocifisso e camminando per una notte intera sotto la neve lo porta sulla cima del monte.

Una riduzione intimistica della fede? Che quello di Guareschi non fosse un Cristianesimo “da sacrestia” è piuttosto evidente. E anche il suo personaggio principale, don Camillo, mostra una fede tutt’altro che privata. È un’astrazione quella che divide il rapporto con Dio da quello che abbiamo con le persone. La qualità del rapporto con Dio dice della qualità del rapporto con le persone e viceversa. Non si possono dividere, perché la persona è una, unita.

Al di là di questo, il tema è quello del riferimento. Il rischio che vedo è lo svuotamento dell’autocoscienza personale, ma anche culturale, delegato a un’entità fuori di noi. Come non esistiamo senza relazioni, così non possiamo esistere senza un dialogo interiore. Quest’ultimo è fortemente in crisi. In una recente intervista, Derrick de Kerckhove parla del pericolo di un’identità personale che tende a crearsi sempre più fuori di noi, anziché dentro. Osserva il sociologo: “Quando avevo 13 o 14 anni, cominciavo ad avere le mie idee, facevo le mie letture, mi confrontavo con gli amici, ma avevo già una coscienza interna di chi fossi. I ragazzi di oggi, invece, si prendono sul serio a condizione che siano conosciuti, visti, apprezzati, che ricevano like, commenti e così via. […] Il sé del ragazzo si svuota: l’interno del suo essere evapora nel discorso permanente dei social; il chiacchiericcio dei social media dà al singolo un sentimento di valore”.

Non c’è solo l’isolamento digitale a darci l’alibi di poter ignorare il nostro riferimento interno, ma anche dinamiche di gruppo non vissute con la giusta distanza critica. È vero che nel rapporto con gli altri trovo me stesso, ma non lo trovo se non do il giusto ascolto al mio mondo interiore. Credo che questo sia un momento in cui serve rallentare, fermarsi e recuperare questa dimensione. E nel frattempo continuare a lasciarci ispirare da Guareschi. Non viviamo senza gli altri, senza una comunità prossima, e senza luoghi di appartenenza più ampi. Ma se questi luoghi non aprono a quei momenti di dialogo personale con noi stessi e con la verità che alberga in noi, si perde la strada, anche se si rimane in compagnia.

https://www.ilsussidiario.net/editoriale/2023/11/3/don-camillo-il-cristo-e-il-riscatto-della-coscienza/2612585/

Tag:don Camillo, Giorgio Vittadini, Guareschi, Iliade, Mauro Bonazzi, morte, Omero

  • Condividi
piergiorgio

Articolo precedente

Nella notte del mondo passione e compassione
5 Novembre 2023

Prossimo articolo

Il dramma della guerra e le nostre finte battaglie navali
12 Novembre 2023

Ti potrebbe interessare anche

Crisi demografica, una società che pensa solo al presente
3 Dicembre, 2023

A fine anno l’Italia rischia di collezionare un altro record negativo in tema di natalità. Sarebbe l’undicesimo anno consecutivo in cui si registra un calo delle nascite. In un articolo sul Foglio il …

Perché l’assassinio di Giulia ci riguarda 
26 Novembre, 2023

In questi giorni le cronache sono state riempite dalle notizie sempre più sconcertanti sull’assassinio di Giulia Cecchettin. A queste è seguito un bailamme di commenti purtroppo molte volte dettati da cliché ideologici che non aiutano certo a stare di fronte alla drammaticità della realtà. La politica ha dato le sue risposte anche se non sarà certo una nuova serie di norme ad arginare un problema molto più complesso. E poi, da ultimo, sull’onda dell’emotività si è scaricato sulla scuola l’ennesimo compito, quello di educare al rispetto aggiungendo nuove ore di «lezione» con gli «esperti». Noi vorremmo provare a offrire un punto di vista diverso che parte anzitutto dalla considerazione della vera natura di quanto è successo. Lo facciamo riproponendo l’intervista pubblicata sul sito del mensile Tempi con la psicologa della coppia e della famiglia Vittoria Maioli Sanese, da oltre cinquant’anni alle prese con le relazioni uomo-donna e genitori-figli. «Possiamo fare tutte le leggi del mondo – afferma nell’intervista -, ma se manca il passaggio dentro di sé, il cambiamento della persona, non succederà nulla di significativo. Sembra che oggi in Italia si abbia paura di andare a fondo del problema». E il problema non è di sicuro un patriarcato che non esiste più, ma semmai il narcisismo sempre più diffuso che «diventa intollerabilità del proprio limite, intollerabilità della frustrazione». Ma questa vicenda è anche la storia di un grandissimo dolore, anzitutto per le famiglie di Giulia e di Filippo, davanti al quale sembra impossibile stare senza fuggire e dimenticare oppure cedere alla rabbia. In questo può essere d’aiuto la lettura delle «Lettere sul dolore» di Emmanuel Mounier, raccolte nel libro da poco ripubblicato dalla Bur Rizzoli, scritte dal grande intellettuale francese durante la malattia della sua piccola figlia Francoise. Uno sguardo sul mistero della sofferenza che non censura nulla e nel quale la morte non è mai l’ultima parola. Pubblichiamo una presentazione del libro di Mounier scritta da Giovanni Fighera.

Non ci sono vite a perdere
19 Novembre, 2023

Ha colpito la vicenda della piccola Indi Gregory nata con una malattia rara e morta lunedì in Inghilterra dopo che i giudici avevano deciso, contro la volontà della famiglia, di interrompere tutti …

Cerca

Categorie

  • Fissiamo il Pensiero
  • I nostri incontri
  • Mese Letterario
    • 2010 – I Edizione
    • 2011 – II Edizione
    • 2012 – III Edizione
    • 2013 – IV Edizione
    • 2014 – V Edizione
    • 2015 – VI Edizione
    • 2016 – VII Edizione
    • 2017 – VIII Edizione
    • 2018 – IX Edizione
    • 2019 – X Edizione
    • 2021 – XI Edizione
    • 2023 – XIII Edizione
  • Parlano di noi
  • Scuola San Benedetto – edizioni passate
  • Tutti gli articoli

Education WordPress Theme by ThimPress. Powered by WordPress.

VUOI SOSTENERCI?

Siamo una fondazione che ha scelto di finanziarsi con il libero contributo di chi ne apprezza l’attività

Voglio fare una donazione
Borgo Wührer, 119 - 25123 Brescia
info@fondazionesanbenedetto.it

Resta sempre aggiornato

Iscriviti subito alla nostra newsletter per non perderti le attività e gli eventi organizzati dalla Fondazione San Benedetto.

Iscriviti

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy