«In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte. Ma ci muoviamo in società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede. Nella società di oggi, l’essere umano rischia di smarrire il centro, il centro di se stesso. L’uomo contemporaneo, infatti, si trova spesso frastornato, diviso, quasi privo di un principio interiore che crei unità e armonia nel suo essere e nel suo agire. Modelli di comportamento purtroppo assai diffusi ne esasperano la dimensione razionale-tecnologica o, all’opposto, quella istintuale. Manca il cuore». Lo scrive Papa Francesco «nella sua nuova lettera enciclica Dilexit nos pubblicata giovedì (qui il link al testo integrale). Il vaticanista del Corriere della SeraGian Guido Vecchi, nell’articolo che vi segnaliamo questa settimana, la definisce «la più sorprendente e forse anche la più bella del suo pontificato». Un’enciclica dedicata all’amore umano e divino del Cuore di Gesù. Scrive ancora il Papa: «il modo in cui Cristo ci ama è qualcosa che Egli non ha voluto troppo spiegarci. Lo ha mostrato nei suoi gesti. Guardandolo agire possiamo scoprire come tratta ciascuno di noi…». Per Francesco sottolinea Vecchi, «il mondo può cambiare a partire dal cuore. È come se lo opponesse all’”io penso” cartesiano. Al cuore “non è stato concesso un posto specifico”. Gli si sono preferiti “altri concetti come quelli di ragione, volontà o libertà”. E invece, fa notare il Papa, “in ultima analisi, io sono il mio cuore, perché esso è ciò che mi distingue”. Qui sta la differenza essenziale tra l’essere umano e le macchine, per quanto evolute: “L’algoritmo all’opera nel mondo digitale dimostra che i nostri pensieri e le decisioni della volontà sono molto più “standard” di quanto potremmo pensare. Sono facilmente prevedibili e manipolabili. Non così il cuore”». Così osserva il Papa, «nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore».
Tra vita e morte, il 15 novembre a Brescia incontro con Violante e Carrón
Venerdì 15 novembre alle 18.15, a Brescia al Centro Paolo VI in via Gezio Calini 30, la Fondazione San Benedetto promuove un incontro sul tema «Tra vita e morte la vera battaglia». Interverranno Luciano Violante, presidente emerito della Camera dei deputati, e Julián Carrón, docente di teologia all’Università Cattolica di Milano. L’occasione è data dalla recente uscita del libro dello stesso Violante «Ma io ti ho sempre salvato» (ed. Bollati Boringhieri).
Luciano Violante
Nel libro viene messa la questione del rapporto con la morte, partendo dall’esperienza autobiografica dell’autore. Nei momenti di crisi, come quello che stiamo attraversando,è necessario porsi le domande cruciali del convivere civile, imporci di tornare ai fondamentali. Quando la tenuta stessa della società civile sembra essere messa in discussione conviene fermarsi e domandarci quale sia il collante che ci tiene uniti, quale il criterio che sopra ogni altro può farci restare umani.
La partecipazione è aperta a tutti, sino a esaurimento posti, previa registrazione a questo link dove è possibile iscriversi immediatamente.
Il Papa, le guerre e gli algoritmi: «Il mondo sta perdendo il cuore»
di Gian Guido Vecchi
dal Corriere della Sera – 25 ottobre 2024
«Viene da pensare che la società mondiale stia perdendo il cuore».La miseria, l’uso «antiumano» delle tecnologie, le guerre. Francesco evoca il dolore delle donne anziane nei conflitti, scrive: «Veder piangere le nonne senza che questo risulti intollerabile è segno di un mondo senza cuore». La quarta enciclica di Francesco si intitola Dilexit nos, «Ci ha amati», ed è la più sorprendente e forse anche la più bella del suo pontificato.
È dedicata al «Sacro Cuore» di Gesù, immagine di una religiosità semplice che peraltro Bergoglio esorta a non deridere, «che nessuno si faccia beffe delle espressioni di fervore credente del santo popolo fedele di Dio, che nella sua pietà popolare cerca di consolare Cristo». Ma soprattutto è un testo che parla del cuore in senso alto, teoretico, come facoltà conoscitiva che rappresenta il «centro intimo dell’uomo» anche se tende a essere svalutata o disprezzata, talvolta anche nella Chiesa. Domani (sabato 26 ottobre) si chiuderà il Sinodo, verrà votato un documento finale, ma intanto alla vigilia Francesco chiarisce che bisogna tornare ai fondamentali, con buona pace di chi invoca riforme «strutturali» per affrontare la crisi della fede. Perché il «Sacro Cuore» di Gesù è una «sintesi del Vangelo», scrive a beneficio di «comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti»: spesso ne risulta «un cristianesimo che ha dimenticato la tenerezza della fede, l’esser conquistati dalla bellezza di Cristo».
Ma la riflessione va oltre le questioni interne. Per Francesco, «il mondo può cambiare a partire dal cuore». È come se lo opponesse all’«io penso» cartesiano. Al cuore «non è stato concesso un posto specifico». Gli si sono preferiti «altri concetti come quelli di ragione, volontà o libertà». Forse non era facile «collocarlo tra le idee “chiare e distinte”». E invece, fa notare il Papa, «in ultima analisi, io sono il mio cuore, perché esso è ciò che mi distingue». Qui sta la differenza essenziale tra l’essere umano e le macchine, per quanto evolute: «L’algoritmo all’opera nel mondo digitale dimostra che i nostri pensieri e le decisioni della volontà sono molto più “standard” di quanto potremmo pensare. Sono facilmente prevedibili e manipolabili. Non così il cuore». Così, «nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore».
Viene in mente la lettera nella quale Francesco, tre mesi fa, citava Proust e Borgesper dire l’importanza della letteratura nella formazione dei cristiani. Come nelle «intermittenze del cuore» di Proust, in Dilexit nos affiorano immagini dell’infanzia, ricordi intimi che «nessun algoritmo» potrà mai custodire. «Penso all’uso della forchetta per sigillare i bordi di quei panzerotti fatti in casa con le nostre mamme o nonne», scrive. O a quando si giocava «la prima partita di calcio con un pallone di pezza».
Solo il cuore permette legami autentici. Se manca, come nello Stavroghin de I demonidi Dostoevskij, «diventiamo incapaci di accogliere Dio». Il primo Papa gesuita affronta il «giansenismo» attuale come accadeva ai confratelli nel Seicento, contestando il «rigorismo» che «guardava dall’alto in basso tutto ciò che era umano, affettivo, corporeo». E chiede «un nuovo approfondimento sull’amore di Cristo rappresentato nel suo santo Cuore». La Chiesa «ha bisogno» del cuore. Ne hanno bisogno tutti: «Quando non viene apprezzato, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, l’incontro con gli altri, la poesia. Alla fine della vita conterà solo questo».
Pochi giorni fa è stato presentato il Rapporto annuale Almalaurea che analizza il profilo e la condizione occupazionale dei laureati in Italia. Si tratta dell’analisi più autorevole e documentata sul …
«È innegabile che al fondo di tutto il nostro disagio, di tutta la nostra solitudine, di tutto il nostro malessere, al fondo di tutto questo, sta un ultimo desiderio di bene. Se così non fosse, se non fossimo fatti per questo bene, non proveremmo orrore e disgusto per il male. Ma allora è proprio questo infinito desiderio di bene che ci sfida e in qualunque situazione può riaprire la partita. Perché se gli diamo credito ci costringe ad alzare la testa e a cercare». Lo scrive Emilia Guarnieri, insegnante e per molti anni presidente del Meeting di Rimini, nell’articolo che vi invitiamo a leggere questa settimana, pubblicato pochi giorni fa sul quotidiano online il sussidiario.
Lo scenario in cui si gioca questa sfida è quello di oggi segnato da un’esplosione di violenza insensata che, dalle guerre alle pareti domestiche, sembra non conoscere limiti. Insieme ci sono la crisi delle nostre democrazie liberali e il clima di sfiducia che pervade la società e avvelena le relazioni. In questa situazione pensare che la soluzione sia «staccare la spina» e rifugiarsi in una comfort zone è solo una misera illusione. È una forma di alienazione che stacca la spina prima di tutto da se stessi. L’invito è invece a ripartire dal desiderio di bene che resiste nel cuore di ciascuno, a fargli spazio dentro tutte le contraddizioni e le difficoltà in cui ci troviamo. Questo è anche ciò che ci interessa più di ogni altra cosa nelle proposte che facciamo come Fondazione San Benedetto.
Dopo l’incontro del 29 maggio in occasione dei vent’anni della San Benedetto in cui è stato rilanciato il tema dei corpi intermedi e del loro ruolo fondamentale per non svuotare la democrazia, questa settimana vogliamo continuare l’approfondimento proponendovi un intervento pubblicato pochi giorni fa sul Sole 24Ore del rettore dell’Università Cattolica Elena Beccalli. Nell’articolo si mette in evidenza come le formazioni sociali, i corpi intermedi, tutte quelle realtà che fanno della società non una somma di io isolati, anonimi e autosufficienti ma l’articolarsi di soggetti in continua relazione tra di loro, siano uno snodo fondamentale per riuscire a coniugare competitività e solidarietà. Questa è stata la forza (forse oggi un po’ appannata e confusa) del modello europeo anche a livello economico. In Italia questo modello di economia sociale, ricorda Beccalli, ha una storia importante fatta di «mutualismo, comunità, sussidiarietà» che oggi ha bisogno di un nuovo «slancio» creativo per continuare. E così in Europa. In un quadro mondiale sempre più «terremotato», come si può intuire, si tratta di una questione vitale. Su questi temi come fondazione intendiamo lavorare e proporre iniziative nei prossimi mesi.