Lo scandaloso mistero del Natale
Quando i giorni diventano via via più corti, quando, nel corso di un inverno normale cadono i primi fiocchi di neve, timidi e sommessi si fanno strada i primi pensieri del Natale. Questa semplice parola emana un fascino misterioso, cui ben difficilmente un cuore può sottrarsi. Ma per il cristiano – e in particolare per il cristiano cattolico – Natale è anche qualcos’altro. La stella lo guida alla mangiatoia col Bambino Gesù, che porta la pace in terra. L’arte cristiana ce lo pone davanti agli occhi in innumerevoli e delicate immagini, mentre antiche melodie, da cui risuona tutto l’incantesimo dell’infanzia, lo cantano.[…] Quando la sera gli alberi di Natale luccicano e ci si scambiano i doni, una nostalgia inappagata continua a tormentarci e a spingerci verso un’altra luce splendente, fintanto che le campane della Messa di mezzanotte suonano e il miracolo della Notte Santa si rinnova su altari inondati di luci e di fiori: “E il Verbo si fece carne”. Allora è il momento in cui la nostra speranza si sente beatamente appagata.
Ognuno di noi ha già sperimentato una simile felicità del Natale. Ma il cielo e la terra non sono ancora divenuti una cosa sola. La stella di Betlemme è una stella che continua a brillare anche oggi in una notte oscura. Già all’indomani del Natale la chiesa depone i paramenti bianchi della festa e indossa il colore del sangue: Stefano, il protomartire, che seguì per primo il Signore nella morte, e i bambini innocenti, i lattanti di Betlemme e della Giudea, che furono ferocemente massacrati dalle rozze mani dei carnefici. “Rallegriamoci tutti nel Signore, perché è nato nel mondo il Salvatore! Oggi la vera pace è discesa dal Cielo”. Che significa questo? Dov’è ora il giubilo delle schiere celesti, dov’è la beatitudine silente della notte santa? Dov’è la pace in terra? “Pace in terra agli uomini di buona volontà”. Ma non tutti sono di buona volontà. Per questo il Figlio dell’eterno Padre dovette scendere dalla gloria del cielo, perché il mistero dell’iniquità aveva avvolto la terra. Le tenebre ricoprivano la terra, ed Egli venne come la luce che illumina le tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolto. A quanti lo accolsero Egli portò la luce e la pace; la pace col Padre celeste, la pace con quanti come essi sono figli della luce e figli del Padre celeste, e la pace interiore e profonda del cuore; ma non la pace con i figli delle tenebre. Ad essi il Principe della pace non porta la pace, ma la spada. Per essi Egli è la pietra d’inciampo, contro cui urtano e si schiantano. Questa è una verità grave e seria, che l’incanto del Bambino nella mangiatoia non deve velare ai nostri occhi. Il mistero dell’incarnazione e il mistero del male sono strettamente uniti. Alla luce che è discesa dal cielo si oppone tanto più cupa e inquietante la notte del peccato. Il Bambino protende nella mangiatoia le piccole mani, e il suo sorriso sembra già dire quanto più tardi, divenuto adulto, le sue labbra diranno: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e affaticati”. Alcuni seguirono il suo invito […].
Dove il Bambino divino intenda condurci sulla terra è cosa che non sappiamo e a proposito della quale non dobbiamo fare domande prima del tempo. Una cosa sola sappiamo, e cioè che a quanti amano il Signore tutte le cose ridondano in bene. E inoltre che le vie, per le quali il Signore conduce, vanno al di là di questa terra. Se mettiamo le nostre mani nelle mani del Bambino divino e rispondiamo con un “sì” al suo “Seguimi”, allora siamo suoi, e libera è la via perché la sua vita divina possa riversarsi in noi. Questo è l’inizio della vita divina in noi. Essa non è ancora la contemplazione beata di Dio nella luce della gloria; è ancora l’oscurità della fede, però non è più di questo mondo ed è già un’esistenza nel regno di Dio. La vita divina, che viene accesa nell’anima, è la luce che è venuta nelle tenebre, il miracolo della notte santa. Chi la porta in sé capisce quando se ne parla. Invece per gli altri tutto quello che possiamo dire al riguardo è solo un balbettio incomprensibile. Tutto il vangelo di Giovanni è un balbettio del genere a proposito della luce eterna, che è amore e vita. Dio in noi e noi in lui, questa è la nostra partecipazione al regno di Dio, che ha nell’incarnazione la sua base.
L’amore di Cristo non conosce confini, non viene mai meno, non si ritrae di fronte all’abbiezione morale e fisica. Cristo è venuto per i peccatori e non per i giusti. E se il suo amore vive in noi, allora agiamo come lui e andiamo dietro alla pecorella smarrita. Essere figli di Dio significa camminare dando la mano a Dio, fare la volontà di Dio e non la propria, riporre nelle sue mani ogni preoccupazione e speranza, non affannarsi più per sé e per il proprio futuro. Questa è la base della libertà e della gioia del figlio di Dio. La fiducia in Dio rimane incrollabile solo se essa include la disponibilità ad accogliere qualunque cosa dalla sua mano. Dio solo infatti sa quel che è bene per noi. Se lo facciamo, allora possiamo vivere il presente senza lasciarci turbare dal futuro. Il “sia fatta la tua volontà”, in tutta la sua estensione deve essere il criterio della vita cristiana. Esso deve scandire la giornata dal mattino alla sera, il corso dell’anno e di tutta la vita. E deve quindi essere anche l’unica preoccupazione del cristiano. Tutte le altre il Signore le prende su di sé. Nell’età infantile della vita spirituale, quando abbiamo appena cominciato ad affidarci alla guida di Dio, sentiamo la sua mano forte e robusta che ci conduce; vediamo con estrema chiarezza quanto dobbiamo fare e tralasciare. Ma la situazione non rimane sempre così. Chi appartiene a Cristo deve vivere tutta la sua vita. Deve maturare fino all’età adulta di Cristo, imboccare un giorno la via della croce, dirigersi al Getsemani e al Golgota. E tutte le sofferenze che provengono dall’esterno sono un nulla a paragone della notte oscura dell’anima, allorché la luce divina non brilla più e la voce del Signore tace. Perché fa così? Siamo qui di fronte ai suoi misteri, misteri che non possiamo penetrare fino in fondo. Un po’ però li possiamo già perscrutare. Dio è divenuto uomo per farci di nuovo partecipare alla sua vita. Partecipazione che era al principio e che è l’ultimo fine.
Ma nell’intervallo c’è ancora qualcos’altro. Cristo è Dio e uomo, e chi vuol partecipare alla sua vita, deve prender parte alla sua vita divina e umana. La natura umana da lui assunta gli diede la possibilità di soffrire e morire. La natura divina, da lui posseduta dall’eternità, conferì alla sua passione e morte un valore infinito e la capacità di compiere la redenzione. La passione e morte di Cristo continuano nel suo corpo mistico e in ognuna delle sue membra. Ogni uomo deve soffrire e morire. Ma se egli è un membro vivo del corpo di Cristo, la sua sofferenza e la sua morte diventano, grazie alla divinità del capo, redentrici. Il Bambino divino è diventato il Maestro e ci ha detto che cosa dobbiamo fare. Per permeare tutta una vita umana di vita divina non basta inginocchiarsi davanti alla mangiatoia e lasciarsi prendere dall’incanto della notte santa. A questo scopo bisogna stare quotidianamente in contatto con Dio per tutta la vita, ascoltare le parole che egli ha pronunciato e che ci sono state tramandate e metterle in pratica. “Chiedete e vi sarà dato”. E’ una sicura promessa di esaudimento.
Inoltre Cristo non ci ha lasciati orfani. Ha inviato il suo Spirito, che insegna a tutti noi la verità. Ha fondato la Chiesa, che è guidata dal suo Spirito, e ha istituito in essa i suoi rappresentanti, dalla cui bocca il suo Spirito ci parla in parole umane. “E il Verbo si fece carne”. Ciò è divenuto verità nella stalla di Betlemme. Ma si è adempiuto anche in un’altra forma. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Come il corpo terreno ha bisogno del pane quotidiano, così anche la vita divina aspira in noi ad essere continuamente alimentata. “Questo è il pane vivo che è disceso dal cielo”. Chi lo fa veramente il suo pane quotidiano, in lui si compie quotidianamente il mistero del Natale, l’incarnazione del Verbo. E questa è indubbiamente la via più sicura per conservare ininterrottamente l’unione con Dio e radicarsi ogni giorno sempre più saldamente e profondamente nel corpo mistico di Cristo.
Lungo è il cammino per passare dall’autocompiacimento del “buon cattolico”, che “compie i suoi doveri”, ma per il resto fa come gli piace, ad una vita che si lascia guidare per mano di Dio ed è caratterizzata dalla semplicità del bambino e dall’umiltà del pubblicano. Chi però l’ha imboccata una volta, non lo rifà più a ritroso: sarà un rivoluzionamento di tutta la loro vita interiore ed esteriore.
I misteri del cristianesimo sono un tutto indivisibile. Chi ne approfondisce uno, finisce per toccare tutti gli altri. Così la vita che si diparte da Betlemme procede inarrestabilmente verso il Golgota, va dalla mangiatoia alla Croce. Quando la santissima Vergine presentò il Bambino al tempio, le fu predetto che la sua anima sarebbe stata trafitta da una spada, che quel bambino era posto per la caduta e la risurrezione di molti e come segno di contraddizione. Nella notte del peccato brilla la stella di Betlemme. Sullo splendore luminoso che irradia dalla mangiatoia cade l’ombra della croce. La luce si spegne nell’oscurità del venerdì santo, ma torna a brillare più luminosa, sole di misericordia, la mattina della risurrezione. Il Figlio incarnato di Dio pervenne attraverso la croce e la passione alla gloria della risurrezione. Ognuno di noi, tutta l’umanità. perverrà col Figlio dell’uomo, attraverso la sofferenza e la morte, alla medesima gloria.
Edith Stein, 1931
stralci tratti da “Il mistero del Natale”, editrice Queriniana