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L’ultima campanella di Francesco e dei suoi compagni

  • Data 15 Giugno 2024
Si è chiuso da pochi giorni l’anno scolastico e mercoledì inizieranno gli esami di maturità. Spesso la scuola e i ragazzi che la frequentano finiscono sotto i riflettori per le situazioni problematiche, che certo non mancano, o per gravi episodi di cronaca, ma non possiamo accettare che questa sia l’unica narrazione. Semplicemente perché non rappresenta la realtà. Lo documenta in modo singolare e autentico quanto ha scritto ai suoi compagni Francesco, uno studente di Brescia, al termine di cinque anni di vita condivisa, giorno dopo giorno, sui banchi di scuola. Nel testo, che potete leggere di seguito, emerge una coscienza della realtà matura e positiva. Si coglie un senso delle relazioni con gli altri e del tempo che abbiamo a disposizione che con semplicità esprime qualcosa di estremamente vero. «Mi siete entrati nel cuore – scrive Francesco -, c’è poco da dire, mi avete permesso di riscoprire emozioni che ormai credevo perdute, di riscoprire come ci si sente a casa quando non lo si è. Mi guardo attorno e mi rendo conto che queste pareti, questi corridoi, questi momenti non sono più scontati». Questa consapevolezza vale molto di più di qualunque titolo di studio perché è la condizione per ogni vera conoscenza. Possiamo dire che è la vera prova di maturità. Ed è un motivo di speranza che possa farsi strada in un diciottenne che frequenta le nostre scuole, dove gli insegnanti (insieme agli infermieri e alle badanti) sono i veri eroi del nostro tempo.

N.B.
Siamo venuti a conoscenza di questa lettera casualmente. Solo oggi Francesco scoprirà che ne abbiamo fatto oggetto della nostra newsletter domenicale.

«La vita è piena di sorprese»

Premetto che non sono bravo a esprimere quello che provo, un po’ perché non so parlare l’italiano e un po’ perché ho sempre preferito i silenzi alle parole, la sicurezza alla vulnerabilità fino ad arrivare a un sottile strato di apatia, dunque non aspettatevi un discorso da Oscar. Siamo tutti al corrente che tra poco suonerà l’ultima campanella, si spera, ma quel suono non sarà come il solito a inizio giornata, all’intervallo e a fine lezione di questi ultimi 5 anni. Quel suono sarà diverso, quel suono lo ricorderemo e sarà quello che ci farà passare notti insonni, quello che ci farà cadere una lacrima al solo pensiero, quello che rimarrà inciso sulla pelle, nel cuore e nella mente. Cinque anni fa questo giorno sembrava lontano, queste emozioni sembravano impensabili e questi ricordi impossibili, ma, si sa, la vita è bella anche per questo, perché piena di sorprese, nel bene e nel male. Ho pensato spesso di mollare, non ve lo nego, probabilmente spinto da troppe situazioni esterne che rendevano il tutto invivibile. Mi sentivo spaesato, incapace di creare legami e non volevo che si aggiungesse un altro problema nella mia vita. Come al solito, nelle situazioni difficili, mi sono sfogato con mia mamma, la mia bussola, la donna che amo, dicendole quello che provavo. Ricordo come se fosse ieri le sue parole: «Francesco, come al solito, a causa del tuo passato, stai cercando di avere tutto sotto controllo, hai paura di sentirti solo e stai cercando di forzare amicizie, il fattore più semplice e naturale della nostra esistenza, stai cercando di trasformare quello che non è in quello che è, sbagliando. Tutto questo però non vuol dire che non sarà, devi dare tempo a te stesso e ai tuoi compagni che magari, a tua insaputa, stanno provando quello che provi tu, magari anche loro hanno paura. Ascolta il tempo che ti darà risposte».

Da lì tutto è cambiato, da quel giorno vi ho dato tempo, ci siamo dati tempo e mai scelta in vita mia fu più giusta. Ora siamo qua, contemplanti su ciò che sarà di noi, del nostro rapporto nella speranza che tutto questo non finisca mai. Mi siete entrati nel cuore, c’è poco da dire, mi avete permesso di riscoprire emozioni che ormai credevo perdute, di riscoprire come ci si sente a casa quando non lo si è; alla fine casa non sono quattro mura, casa è dove ti senti a casa e quel posto è proprio con voi. Mi guardo attorno e mi rendo conto che queste pareti, questi corridoi, questi momenti non sono più scontati; credo e spero che, per una delle poche volte nella mia vita, ho fatto qualcosa di buono, concedetemelo anche nel caso di illusione, questa volta non voglio più analizzare, questa volta voglio fidarmi di quello che provo.

Chissà, magari un giorno accompagnerò Bubi all’altare, magari un giorno sarò di nuovo al fianco di Zanni in un’altra sfida che la vita gli presenterà, magari cercherò Lalla quando sarò in difficoltà, cercherò Jassi per sentirmi capito, cercherò Edo quando avrò bisogno di ridere, cercherò Marti quando avrò bisogno di capire il valore dell’essere sensibile, cercherò Gio quando avrò bisogno di capire il valore del perdono, cercherò Mario quando avrò bisogno di un insegnante con occhi da amico, cercherò Ame per un promemoria sul senso di responsabilità e così per Dani, Bea, Ele, Giulia, Mati, insomma cercherò tutti voi quando avrò bisogno di ritrovare piccole parti di me sparse in giro.

Per quanto sia difficile nella vita bisogna saper andare avanti, saper accettare la fine ed è proprio questa nostra impotenza davanti al corso della vita che aumenta il sentimento di dispiacere; ma ricordatevi quello che vi ho detto qualche giorno fa: «Siate felici perché c’è stato, chi deve piangere è chi non I’ha vissuto». Vi ringrazio, a prescindere di ciò che sarà, per avermi fatto sentire a casa. Vi voglio bene.

Tag:scuola

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piergiorgio

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In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

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