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È la letteratura la vera educazione affettiva

  • Data 15 Novembre 2025

In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». Si rivolgano invece – aggiunge Ferrara – «alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Dove va a finire lo Stato sociale, incontro a Brescia il 24 novembre 

Lunedì 24 novembre alle 18 a Brescia in via San Martino 18 (palazzo Martinengo – Sala del camino), su iniziativa della Fondazione San Benedetto e della Fondazione per la Sussidiarietà si terrà l’incontro sul tema «Dove va a finire lo Stato sociale». L’iniziativa è stata promossa, in collaborazione con il Comune di Brescia, in occasione della pubblicazione del rapporto «Sussidiarietà e welfare territoriale» che sarà illustrato dal professor Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Introdotti dal presidente della Fondazione San Benedetto Graziano Tarantini, interverranno al dibattito che seguirà Laura Castelletti, sindaca di Brescia, Mario Mistretta, presidente della Fondazione Comunità Bresciana, Giuseppe Pasini, presidente del Gruppo Feralpi, e il professor Claudio Teodori del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Brescia. In quale stato di salute versa il nostro sistema di welfare? Sta assolvendo adeguatamente alla sua funzione universalista? Come sta incidendo sull’andamento della povertà e delle disuguaglianze? Sta svolgendo l’altro suo importante compito, quello di essere motore di sviluppo? Queste le domande principali che hanno guidato la ricerca.
La partecipazione all’incontro è aperta a tutti sino a esaurimento posti. Si raccomanda la puntualità. È gradita la registrazione a questo link


Per un’educazione sentimentale meglio Flaubert che una lezioncina scolastica

Se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nelle relazioni, ci si rivolga alla letteratura

di Giuliano Ferrara – da Il Foglio – 12 novembre 2025

Questa cosa dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria. Meglio l’educazione sentimentale, cioè un avvio alla comprensione della vita, dell’amore, della trasgressione, del fallimento e della speranza, dell’ambizione, della scena metropolitana e di provincia, con il dispiegamento ben temperato dei caratteri, dei viaggi, dei va e vieni dell’esistenza, del lavoro, del denaro, dei pensieri e dei sogni a occhi aperti su un battello fluviale, magari attraverso la lettura, buone traduzioni o lingua originale, del romanzo di Gustave Flaubert che, appunto, ha per titolo “L’educazione sentimentale”. La semiconferenza dell’insegnante, che avrà anche lui o lei i suoi problemi, o il contributo dello specialista, dello psicologo, in collaborazione scuola-famiglia, scuola-social-famiglia, con in più l’informazione d’attualità e i talk-show del pomeriggio, mi sembrano un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne. Si rivolgano alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali. 

Non c’è solo Flaubert, che è certo il meglio dell’Ottocento e oltre.

La strada, il villaggio (possibilmente non globale), l’ambiente, i parenti, gli amici e le amiche, certi sconosciuti, i modelli pubblici positivi e negativi, e infine o prima di tutto il resto i libri, i buoni libri con i loro personaggi, quel tanto di sogno e di fantasia e di romanzo che è certo meglio di un certificato di buona condotta affettiva, non parliamo sessuale, rilasciato dalla scuola con il timbro di approvazione di mamma e papà. C’è anche il buon cinema, il teatro, ci sono le biografie delle grandi parabole umane del talento e dell’arte, per i più piccini ci sono anche le favole, che non stonerebbero nemmeno per alcuni grandicelli, dalle medie in su si moltiplicano gli strumenti a disposizione di un’educazione sentimentale pubblica, fatta di buona e apprezzabile cultura letteraria, attraverso la quale apprendere non soltanto com’è fatta l’Italia, e per quello ci sono “I promessi sposi” e “Pinocchio” e “Lessico famigliare”, Manzoni Collodi e Ginzburg, ma che tipo di cosa siano la storia, la politica, il potere, il legame personale e morale, il mondo intero con gli obblighi, i doveri e i diritti delle persone, che non sono mai così vere come quando sono rappresentate nel falso letterario di una buona scrittura.

L’educazione civica è una cosa, non sputare, non sporcare, non fare chiasso o danni a detrimento della convivenza eccetera. Quella si può comporre di regole e regolette, importanti e obiettive. Piccoli cittadini cresceranno, forse. Ma l’educazione dei sentimenti e dell’amore, l’incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime, affidare tutto questo a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale, ecco un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti, non scolasticume più o meno mediatizzato, non pezza a colori, ma capolavoro riconosciuto di probità intellettuale e di misura estetica ed etica. Le generazioni precedenti alle presenti hanno avuto, e non solo nelle classi borghesi dei licei classici, mille esemplarità non scontate, non dossierose, non parascientifiche, non ricattatorie, non computabili in pagelle e voti, ma tutto sommato simili a una libera scelta coadiuvata dal pensiero critico, con cui confrontarsi. Ne è uscito molto di bene e qualcosa di male, ovvio, qualche trascuratezza e sottovalutazione ed equivoco si sarà pure insinuato ma non è sicuro, al contrario, che si possa fare meglio con una ondata di affettivismo psicologico docente e discente, una piccola bestemmia, priva di carisma e di fascino.

Tag:educazione affettiva, educazione sessuale, Giuliano Ferrara, Massimo Recalcati, scuola

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piergiorgio

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In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

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