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25 Aprile senza pace 

  • Data 28 Aprile 2024
È appena passato il 25 aprile segnato dal solito contorno di polemiche, di insulti e di divisioni, che da parti opposte denotano un’incapacità di leggere la storia e di guardare il presente senza le deformazioni dell’ideologia.

Foto Massimo Piazzi da Flickr

Tra un anno verrà celebrato l’ottantesimo anniversario della Liberazione e il rischio reale è che tutto questo tempo, dal 1945 a oggi, sia trascorso invano anziché far crescere «la consapevolezza di un sentimento comune sulle autentiche radici della nostra Repubblica», come ha scritto Ferruccio de Bortoli (che sarà prossimamente nostro ospite a Brescia) qualche giorno fa in un editoriale sul Corriere della Sera di cui vi proponiamo la lettura. «Ci si dovrebbe domandare – continua l’articolo – se caricare l’appuntamento del 25 aprile di questioni legate all’attualità, giuste o sbagliate che siano, non finisca per snaturarlo. Non releghi in secondo piano proprio quegli italiani coraggiosi che lottarono contro il totalitarismo. La giornata è dedicata soprattutto a loro e ai valori che incarnarono. Combatterono il nazifascismo sotto diverse e ideologicamente contrapposte bandiere. Formazioni che se fossero state intrise del particolarismo e del personalismo della politica contemporanea, non avrebbero sconfitto, al fianco delle truppe alleate, le peggiori dittature del Novecento, consentendo all’Italia di restare nell’Occidente libero». 

Europee e presidenziali Usa, due incontri per capire 

Affrettatevi a iscrivervi 

Nei giorni scorsi in molti si sono già iscritti per partecipare ai due incontri che la Fondazione San Benedetto promuove a Brescia in vista delle elezioni europee dell’8 e 9 giugno e delle presidenziali americane del prossimo autunno. Per far fronte alle numerose richieste abbiamo prenotato anche una seconda sala al Centro Paolo VI, in via Gezio Calini 30, dove si svolgeranno gli incontri. Ricordiamo che la partecipazione è gratuita e aperta a tutti sino ad esaurimento dei posti disponibili ma è necessario registrarsi cliccando su questo link. Invitiamo perciò ad iscriversi al più presto.
Il primo appuntamento sarà giovedì 16 maggio alle 18 sul tema «L’Europa che vogliamo». Interverranno Ferruccio de Bortoli, giornalista e saggista, già direttore del Corriere della Sera, Mario Mauro, già vicepresidente del Parlamento europeo e ministro della Difesa, e Romano Prodi, già presidente della Commissione europea e presidente del Consiglio.
Il secondo incontro si svolgerà invece giovedì 23 maggio alle 18 sul tema «Gli Stati Uniti verso il voto» con gli interventi di Marco Bardazzi, giornalista e autore di «Rapsodia americana», e Lorenzo Pregliasco, analista politico, co-fondatore e direttore di YouTrend.

25 aprile: ottanta anni non sono bastati

di Ferruccio de Bortoli – dal Corriere della Sera – 25 aprile 2024 

Ci siamo illusi in tutti questi anni che il 25 Aprile diventasse veramente una giornata di memoria comune. La Repubblica ha ormai la vita media di un italiano. Il tempo di una generazione dovrebbe essere la garanzia della formazione di una coscienza collettiva. Un così lungo periodo di democrazia repubblicana non è però bastato per provare insieme — senza amnesie o inutili distinguo — orrore e vergogna per la tragedia di una dittatura che trascinò l’Italia in guerra. Cioè per fare i conti, fino in fondo, con la Storia, scrollandoci di dosso, per esempio, l’autoconsolatoria retorica degli «italiani brava gente». Ottant’anni non sono stati sufficienti perché tutti maturassero orgoglio e riconoscenza, senza troppa retorica, per il coraggio dei partigiani e di tutti coloro che si ribellarono al nazifascismo. Né per esprimere meglio la gratitudine nazionale per i militari che dissero no a Salò, finirono internati e dimenticati nel Dopoguerra. Noi italiani del secolo dopo, che respiriamo un’aria di libertà come se fosse una condizione naturale della Storia, avremmo avuto lo stesso coraggio di quei nostri concittadini? E rischiare la vita, anche dei familiari, per il proprio Paese?

La consapevolezza di un sentimento comune sulle autentiche radici della nostra Repubblica, che è per fortuna antifascista, non vuol dire che tutti debbano pensarla allo stesso modo. È sinceramente inutile chiedere continuamente, a chi è più preda della nostalgia, anche nella classe dirigente attualmente al potere, di dichiararsi antifascista quando non lo è. Meglio una sincerità che fa discutere di un’ipocrita frase di convenienza.

Quella di oggi è la Festa della Liberazione dalla dittatura fascista, dall’occupazione nazista, dalle leggi razziali, non è una generica Festa della libertà, annacquata perché vada bene a tutti. Né l’occasione per parlare d’altro, della guerra in Ucraina o del conflitto in Medio Oriente. Ci si dovrebbe domandare — ma è accaduto tante volte anche in passato — se caricare questo solenne appuntamento di questioni legate all’attualità, giuste o sbagliate che siano, non finisca per snaturarlo. Non releghi in secondo piano proprio quegli italiani coraggiosi che lottarono contro il totalitarismo. La giornata è dedicata soprattutto a loro e ai valori che incarnarono. Combatterono il nazifascismo sotto diverse e ideologicamente contrapposte bandiere. Formazioni che se fossero state intrise del particolarismo e del personalismo della politica contemporanea, non avrebbero sconfitto, al fianco delle truppe alleate, le peggiori dittature del Novecento, consentendo all’Italia di restare nell’Occidente libero.

Ogni 25 Aprile, così febbrile per il concentrarsi di polemiche già destinate, da domani, a un precoce oblio, dovremmo fare un piccolo esercizio: recitare una sorta di preghiera laica. Qualunque sia la nostra opinione. Andare a rileggersi gli scritti di chi stava per dare la propria vita alla Patria (concetto sul quale siamo tutti d’accordo, vero?) e aveva perduto ogni speranza. Nella consapevolezza però che il proprio sacrificio non sarebbe stato vano. Sono le Lettere di condannati a morte della Resistenza, 8 settembre 1943-25 aprile 1945 (Einaudi). Uomini, donne, persone di ogni ceto e di ogni età. Parole strazianti, profonde, di grande amore per l’Italia. C’era anche chi chiedeva perdono per il dolore che avrebbe inflitto ai propri familiari. Quasi ottant’anni dopo dovremmo domandarci se non sia il caso, almeno qualche volta nella nostra immemore attualità, di chiedere noi perdono a loro.

 

Tag:25 aprile

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piergiorgio

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In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

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